domenica 23 marzo 2014

2012 Tytanchaos in Espana

TYTANCHAOS IN THE WILD UNKNOW
TYTANCHAOS NEL SELVAGGIO IGNOTO


Sverige & Espana, luglio 2012.

Martedì 3 luglio)  Questo è il virtuale addio a cui tengo di più. Perché la landa madre che ha partorito la mia essenza è questa. Perché vengo da qui. Perché amo questa enorme penisola più di ogni altra terra del pianeta. Perché le rocce che emergono sono eterne come l’ego. Perché la taiga è la foresta delle foreste. Atterro in Svezia alle 8.30. Quest’anno ho unito il 1° tratto del Kungsleden, una sezione del Nordkalottleden e tutto il Padjelantaleden: 272 km di marcia perché esagerare è bello e esagerare per noi titani del caos significa leteralmente usare la nostra tenacia al di là del nostro corpo. Andrò a vincere e questo lo so già. Ma la cosa più bella, più bella della sfida, è l’edonismo, la lussuria. E così dopo il crocevia di Singi devierò per terre a me ignote e per giorni vagabonderò libero per nuovi paradisi selvaggi che sono sconosciuti ai miei occhi. Per i primi giorni mi accompagnerà Cristian, un amico di vecchia data. La natura deve amarlo perché solo uno che è amato dalla natura può avere l’intuizione di scegliere il Kungsleden. Così un altro uomo si appresta a sudare e soffrire per scoprire il vero, antico volto della Terra. Ora è sera e il mondo intorno a me, fuori dal finestrino, profuma perché la foresta è buona; auto non se ne sentono da ore e ditte non se ne vedono da centinaia di chilometri e il silenzio della foresta è la beatitudine che mi spetta di diritto. La mia gatta è l’unica cosa che mi manca. Tra poche ore, quando mi risveglierò sballottato dal treno, so che la taiga sarà ancora più assoluta. Perché salgo sempre più su, fino a quasi dove finisce il mondo. O dove inizia il mondo.
M 4) Un tedioso ritardo e così scendiamo dal treno alle 16.00. Ultima spesa nell’avamposto della civiltà. Poi porto Cristian a vedere la potenza dell’Abiskojokk che ruggendo scompare nella caverna e sempre ruggendo esce sull’altro lato del tunnel. Il mio friend è ammirato, impressionato e anche preoccupato perché il path è lungo il bordo del canyon e non ci sono protezioni. Provo parecchia soddisfazione nel constatare che gli piace parecchio. Verso le 18.00 valichiamo il mitico portale di legno del Kungsleden e conduco Cristian nei territori selvaggi. Questo trekking è ancora più lungo dei 5 precedenti (06- 07 – 09 -10 -11) e lo zaino dai 23 kg usuali, quest’anno mi pesa 29 kg ed è un peso che mi rompe il culo. Nella taiga sterminata ci accampiamo di fianco al meraviglioso Abiskojokk, cuciniamo 3 salsicce svedesi sulla griglia che prepara Cristian e io mi sparo anche il risotto alla parmigiana. Conosciamo un boscaiolo svedese che mi spiega che sull’altro lato del fiume, la montagna è spartita territorialmente da 3 linci che non sono difficili da incontrare e poi mi spiega dove è più comune avvistare gli orsi. Altrimenti, come so benissimo, lui mi dice: “In 21 giorni passerai infinite volte vicino a loro, magari a 5 metri. Ma stanno fermi e ti guardano nascosti dalle betulle e tu non te ne accorgi.”
Ascoltando la potente melodia dell’Abiskojokk mi addormento.
G 5) Il freddo mi sveglia verso le 4.00 e devo attendere le 6.00 per riaddormentarmi. Cristian ha una tenda monoposto della Ferrino ma è ancora meno isolante. 29 kg sono veramente estenuanti da trasportare. Marciamo per 13 km e alle 19.00 ci accampiamo ai piedi delle Alpi Scandinave. La mia tenda è aperta sulla preistorica fenditura della cascata del monte Giron mentre a circa 300 metri, un altro fiume pieno di rapide, grosso e possente, ruggisce eternamente. Cristian è appagato dalla bellezza che lo circonda. Al secondo stop abbiamo conosciuto un gruppo di hikers colombiani.
V 6) Marciamo sotto la pioggia che cela l’eden dove ho portato il mio amico. 28 kg sulla schiena sono veramente estenuanti. Anche ieri, per esempio, anche se non c’erano dislivelli nei 15 km fatti, potevo dire che un solo giorno con 28 kg  è il 40% più duro della salita al Legnone dal classic Roccoli Lorla (1200 metri di up). Oggi, con i dislivelli (moderati) vado in continuo down energetico  e devo mangiare di più. Cristian trova una hut e c’infiliamo a rifocillarci ribeccando il nostro amico boscaiolo. Io mangio i noodles piccanti e quando ripartiamo il cielo è aperto, c’è il sole e il sipario delle alpi scandinave  è spalancato per il mio amico. Questo tratto di 20 km del Kungsleden  è una meraviglia continua  e dopo i guadi a piedi nudi nei torrenti subpolari ( che mi fregano le ciabatte), il trail termina nel paradiso del fiume Aleusjokk. Un luogo che amerò e ricorderò fino alla morte.
S 7) Viaggiamo nei paradisi incontaminati. Cristian è molto soddisfatto della infinita bellezza che scopre ad ogni passo. Mi pone anche qualche lecita domanda su come gestire psicologicamente una fatica e una sofferenza così grande come il percorrere decine di km con più di 20 kg sulla schiena. Lui non molla e questo è il centro di ogni risposta. Il tratto Aleus-hut – Tjaktja-hut è uno spettacolo continuo. Ad Aleus metto lo knapsack sulla pesa per curiosare. I 27 kg del mio zaino sono veramente un fardello rompiculo. In più il trek è tutto in salita, moderata ma continua. 12 km dove si trekka sul pianeta Terra così com’era quando l’uomo non l’aveva ancora violentata con il suo stolto, vuoto desiderio di ricchezza e potere. I supertrek precedenti erano sempre iniziati dopo il 15 luglio e infatti adesso le montagne sono più bianche e i ghiacciai che circondano il canyon di Tjaktja hut sono imponenti muri de neve. Ma il trek non finisce qui. Col cazzo che monto la tenda a questa altitudine, 200 km sopra il circolo polare artico. Dopo aver conosciuto un’ araba, guido Cristian lungo l’ultima ascesa e le ultime 2 h di marcia. Stanco, marcio verso il passo di Tjaktja: una dura salita fra sassi anneriti dalle paludi e ambigui ghiacciai dilaniati dai crepacci. Solo con le scarpe da trek e 27 fottuti kg sulla schiena, trekkare sui ghiacciai è lento, durissimo e devo stare attento a dove metto i piedi. Passiamo a 10 metri da un crepaccio. Vorrei fotografarlo ma sfidare la sorte non è cosa saggia. Partiti stamane alle 11.00, raggiungiamo il passo Tjaktja e la dolce, piccola baita alle 20.45. Il selvaggio e bianco mondo che mi circonda verso nord è bello, ma a sud, solo scendendo per 15 minuti, c’è uno dei paradisi più belli del mondo. La valle di Tjaktja, un luogo che appartiene al mio cuore. 
D 8) Stavolta, come la 1° volta, 6 anni fa, la valle di Tjaktja me la gusto tutta. Il suo fiume furibondo e libero partorito dalla genesi del mondo. Cristian condivide il fatto che Aleus e Tjaktja siano i luoghi più belli del Kungsleden-sezione A. E infatti, seguendo un culto proprio, seppelisce una pietra nella tundra, al punto migliore del point-of-view. Scesi nella valle di Salka, marciamo fra le imponenti montagne-puffo, seguendo il corso del Tjaktjajokka, che qui, più in basso, è già diventato una larga striscia blu che serpeggia fra la tundra sconfinata disegnando una poesia immota ed eterna. Ne ho visti più di 80 di territori selvaggi in tutto il mondo ma la bellezza della Svezia e delle Alpi Scandinave può essere pareggiata solo dalla Norvegia e quindi dalle stesse montagne sul versante occidentale. I 27 kg dello zaino mi hanno scassato i coglioni e non vedo l’ora, consumando provviste, di scendere a livelli duri, va beh, ma accettabili per la sciena, cioè circa 24. Accampati vicino a Salka hut, in mezzo a un mondo uscito dai balocchi del caos, Cristian dice: “E’ un lusso mangiare e dormire qui.”
Io: “Quando il sole spuntò per la 1° volta all’orizzonte, tutti gli umani e non-umani abitavano eden come questi. Perché la Terra selvaggia è tutta un eden. Dei maiali incravattati e le loro bastarde consorti ingioiellate hanno tramutato gli eden in vuote schifezze che chiamano città, centri commerciali, ditte e merdate varie. Ce l’hanno rubato l’eden e io torno sistematicamente a riprendermelo perché mi appartiene di diritto. E come mi appartiene l’amore per le linci che girovagano qui intorno, così mi appartiene di diritto l’odio totale e gustosissimo per i maiali e le cagne che si sono incravattati.”
L 9) 2 h dopo la partenza, al crocevia, a metà strada da Singi, io e Cristian ci salutiamo. Lui raggiungerà Nikkaluokta come la maggior parte degli hikers, nella classica, meravigliosa traversata del Kungsleden sezione A.Io devio a ovest, solo. Devio verso terre ignote. Imbocco il Nordkalottleden, supero un fiume incantato di un blu fatato e salgo in una valle perduta. Le Alpi Scandinave sono così, strepitose e stupefacenti ovunque. Devo fare 15 km fino a un punto che ho prescelto. Trekko in up; c’è un continuo dislivello. Ci sono carcasse di renne lungo il sentiero. Quanto bramo l’incontro con un orso. Mentre costeggio dei grandi laghi perduti, un’aquila, bassa e vicinissima, volteggia sui branchi di renne e le madri mettono in fuga i piccoli. Sui ghiacciai dimorano splendidi maschi dai palchi pittoreschi e bellissimi. Trekko e trekko e il passo non si vede, o meglio, ci sono dei passi ingannevoli e valicatili, non scendo, anzi, continuo in up. Incrocio l’unico altro hiker, un francese: “Down? No, rimane sempre così fino a Hukejaure hut. E poi ancora e ancora. Scenderai di quota solo domani pomeriggio.”
Cosa!? Merda, sono nei guai!! Non posso accamparmi a questa altitudine, 200 km a nord del circolo polare artico!  La temperatura scenderà a 1°. E cosa ancor più preoccupante sono le possibili tempeste di vento. Devo fare 25 km con 27 kg! E con il dislivello! Con la tensione e l’adrenalina che narcotizzano i morsi della fame trekko e trekko in un susseguirsi di mondi incredibili. Laghi lunghi anche 5 km, semighiacciati, che assomigliano alle coste della Groenlandia o dell’Antartide quando si sciolgono. La mia mente torna a quando avevo 14 anni e desideravo e sognavo luoghi così guardando i documentari. Verso le 17.30, guado un fiume freddissimo e profondo stando attento a non farmi ingannare dalla corrente. Il Kebnekaise e gli altri over 2000 ora non li vedo più. Ora sono dentro altri colossi subartici, montagne dimenticate dall’umanità. Ora sono al punto che mi ero preposto ignorando il fatto che è troppo in alto. Un luogo tanto bello quanto terrificante se dovesse cambiare il tempo…Trekko e trekko e arrivo su un altro pianeta, un plateau fra le cime, disseminato da enormi, infiniti macigni. E infatti per le leggende questo era territorio dei ciclopi. Spaccato ed esausto sono fra l’altro costretto a solcare o ad aggirare (quando posso!!)  decine di nevai e ghiacciai. Sono le 20.30 quando trovo il cartello: “ Norge, 5 km a ovest, Hukejaure, 2 km a sud.”
Merda, sono salvo! Finalmente ho raggiunto la hut! Ciò che c’è al di là del passo è un’altra incredibile visione per i miei occhi. Sono fra le cime innevate delle alpi lapponi, nell’Amazzonia d’Europa. Tundre, ghiacciai e nevai e macigni ricoprono un plateau digradante e sterminato. E in mezzo c’è un grande lago innevato, semighiacciato e in fase di scioglimento. La neve in poltiglia è il confine fra il ghiaccio letale e l’acqua assassina. E’ un landscape pazzesco, sono in un mondo pazzesco, mi sembra di essere in Groenlandia. La mia mente assorbe ogni dettaglio e viaggia nella remota essenza di questo heaven. Freddo, brutale e spietato, il landscape è un viaggio per un uomo che viene dalle Alpi, dove il sole può battere forte e la montagna è classica. Il mio corpo assorbe l’aria profumata dell’inverno eterno e io sento nel profondo delle mie viscere che questo incanto bianco mi accarezza la pelle con la tecnica e la sensualità che userebbe un pitone. Posso ucciderti quando voglio. Questo mi dice il sortilegio. Col cazzo che mi accampo qua! Anche se il sole splende ancora, l’aria è gelida e mi penetra le ossa. Chissà stanotte…Scendo in riva al lago. E il mondo intorno a me mi sussurra una sublime, splendida litania che ha per sottofondo un’ipnotica, costante, deliziosa minaccia di morte…Entro nel rifugio Hukejaure alle 21.45. Io e una svedese siamo gli unici ospiti della vecchietta rifugista. Mi dice che quando porta in giro il cane ha sempre con sé un ombrello che apre e sventola per sventare i frequenti tentativi delle aquile di rapirgli Fido.
M 10) Valli a 1000 metri e plateau infiniti. Così è la terra dei ciclopi. Narrano le leggende che qui abitavano dei giganti con un occhio solo che usavano lanciare dei macigni durante le battaglie. Le cime delle alpi si specchiano nei grandi laghi subpolari, laddove la neve è sciolta. E’ un mondo spettacolare e mortale quello che attraverso. Ed è un mondo che sembra non avere fine. Ci sono macigni ovunque e uno è in bilico sull’angolino in modo tale che anche uno scettico o un ottuso inizierebbe a dubitare seriamente della mitologicità dei ciclopi. Valico l’ennesimo passo. Ed esco dalla landa dei massi erratici e mi ritrovo su un altro plateau infinito, più basso in altitudine e aperto. Le montagne, ora, sono su, dietro. Trekko nella tundra per 19 km. Adesso, invece, marcio in un luogo grazioso ma lontano anni-luce dalla bellezza di prima, ieri o dei giorni passati. Questi fottuti 26 kg sulla schiena mi rompono il cazzo. Sono le 20.50 circa quando salgo l’ultimo crinale e sotto di me, dopo 7 giorni e 104 km rivedo un fottuto, schifoso pilone dell’elettricità. E un agglomerato di una ventina di case di legno. E le squallide cars. Non c’è asfalto ma una strada sterrata che domani dovrò percorrere per 22 fottuti chilometri.
M 11) Sotto la pioggerellina che va e viene, sotto le nuvole scure, m’incammino lungo la sterrata che porta a Ritsem. E’ una join-road che devo fare per congiungere la mia avventura Kungsleden-Nordkalottleden con il Padjelantaleden. Marcio per 22 km fra la tundra incontrando solo qualche sporadica abitazione e alcuni gatti delle nevi lasciati a marcire sul ciglio dell’infinita sterrata. Le alpi scandinave, lontane, sono innevate e i colossali ghiacciai splendono di una bianca luce fatiscente. Io trekko verso il massiccio Akkha, colosso di Stora Sjofallet. Arrivo a Ritsem. Un avamposto umano nella terra della natura. Un negozio, qualche cottage, un campeggio e un molo, questa è Ritsem. E una strada che penetra nella foresta. Mi mangio una spanish salsiccia Chorrizo e il cous cous. Nel territorio di Padjelanta i rifugi STF non vendono un cazzo fino a Saltoluokta (5 giorni di marcia). Devo fare i conti con la carne che mi devo portare perché ai sami di merda non gli compro neppure 1 gr di carne di renna e neppure di salmone perché la tundra è dei lupi e i sami devono andarsene. Che se ne vadano in città a fare business perché questa landa non li vuole più. 126 km di marcia. Sono a metà del trek in fatto di giorni. Chissà se Cristian è salito sul Kebnekaise? Le uniche cose che mi mancano della civiltà sono la Coca cola, la pizza e un pallone.
G 12) Prendo il battello al molo di Ritsem e attraverso il lago Akkhajaure. E’ pomeriggio quando approdo sull’altra sponda, nel territorio selvaggio di Stora Sjofallet. Ho già attraversato 2 volte Stora Sjofallet est, ma qui sono nella parte ovest, sotto il massiccio Akkha. Stanco, m’inoltro nella taiga di betulle, sotto la pioggia e sotto la mestosa e splendida montagna chiamata Akkha. Il suo ghiacciaio è come un’eruzione bianca in mezzo alla punta aguzza del massiccio innevato. Oggi devo fare solo 4 km per raggiungere il mio campsite. Arrivo al ponte sul Vuojatadno. E’ il fiume più potente che abbia mai visto. E’ largo e camminare sopra la sua schiuma ribollente è come camminare sopra un mostro titanico che può spazzarmi via come se fossi un moscerino. Proprio sotto le passerelle si gonfia e schiumando bianco ruggisce impattando il suo stesso letto d’acqua.
V 13) Sotto una pioggia intermittente marcio per 12 km fino al rifugio di Kisuris. Finalmente il peso dello zaino è calato sotto i 24 kg e marcio veloce sul Padjelantaleden, fra le betulle profumate. Verso la fine del trek passo sopra a un altro fiume furibondo e selvaggio, il Sjnjuvtjudisjakha. Arriva direttamente dal Sarek e il ponte segna il triplice confinecon i 3 parchi nazionali adiacenti: Stora Sjofallet, Sarek e Padjelanta. Dopo pochi centinaia di metri salgo su un altro ponte, sopra un fiume che scorre formando tantissime, basse rapide. Io entro nel Padjelanta national park ma alla mia sinistra parte il sentiero non segnalato che s’inoltra nel Sarek. E’ il trail che dopo 3 giorni serpeggia lungo il Rapadalen. E’ un sentiero carico di significato per me. Adesso sono accampato nella taiga, solo 500 metri dentro il Padjelanta, con il Gisuris, la prima delle montagne del Sarek, davanti. 140 km nelle lande selvagge.
S 14) Ho 2 giorni di vantaggio rispetto alla tabella di marcia e le previsioni che mi riferisce la rifugista prevedono che pioverà a lots. Così decido di andare in letargo per 1 giorno. La mia strategia è giusta perché piove ininterrottamente dalle 22.00 del 13 alle 21.00 del 14. Un ottimo libro sui vichinghi di Hickmann & Weis combattono la noia. Ho finito la carne e domani avrò la marcia più lunga del Padjelantaleden. Oggi mi sparo 180 gr di pasta e fagioli e domattina come carbo-energy mangerò il purè.
Quest’inverno ero ingrassato per abuso di cibo e ero salito a 97 kg! Da marzo a maggio sono poi sceso ai miei 83 kg. 14 kg in 3 mesi li ho persi applicando una dieta che mi sono fabbricato conoscendo il mio body e non rinunciando al piacere! Così ho cancellato completamente la colazione e tutti gli spuntini fuori-pasto. Mangio solo 2 volte al giorno. A mezzogiorno un 50 gr circa di carboidrato, 100 gr di proteine e una brioches anche con la nutella se lo voglio! Alla sera 150 gr di carboidrati (pasta, riso o patate), carne e gelato. E 1 volta alla settimana vegetarian day dove faccio scorta della miglior e più stabile energia: le fibbre delle verdure. Per 3 mesi avevo sempre fame e soffrivo sempre. Una sofferenza divertente e ovviamente lieve in confronto al soffrire del trekking. E ha funzionato e perdevo peso giorno dopo giorno senza perdere ne potenza ne il minimo di grasso necessario per poter trekkare. Adesso il mio corpo è abituato e manterrò questa dieta per sempre. Ovviamente durante un supertrek come questo devo applicare una dieta diversa: mattina prima di partire: carboidrato (polenta o pane), carbo e nutella; mezzogiorno: zuppe di verdure, pane e dolce; sera: carbo (pasta o riso o noodles), carne.
D 15) Dopo un giorno intero il diluvio è cessato. Alle 7.00 di mattina mi mangio il purè. Le patate danno sazietà, potenza e gusto. Mi serviranno per i 24 km che dovrò spararmi. La prima metà del trek percorre le creste di diverse dune tundrose fra la taiga di betulle e offre solo un modesto landscape. Ma dopo mezzogiorno le cupe nuvole temporalesche provenienti dall’Atlantico si diradano e salito di quota c’è uno spettacolare point-of-view over il Vastenjaure, uno dei grandi laghi collegati del Padjelanta N.P. E’ vasto e lo specchio azzurro lambisce le rive dell’orizzonte. L’orizzonte è la corona bianco-grigia delle immacolate Alpi Scandinave. Con li peso ormai sui 23 kg marcio più veloce e soffro ma meno di prima. (Mi sono liberato della prima bombola di gas). Raggiungo la baita Laddejakka. L’edificio di legno è sopra l’ansa di un verde fiume che curva placido e splendente come uno smeraldo. Ma poche centinaia di metri più a sud il fiume ha tutt’altro aspetto. Vado al mio solito bagno serale per la consueta pulizia ghiacciata. Giunto al ponte mi ritrovo un ennesimo corso d’acqua furioso e brutalmente selvaggio che schiuma e s’ingrossa in rapide terrificanti proprio nella zona del ponte. Guardo bene e trovo l’unico punto in cui è possibile lavarsi. C’è una spiaggetta lunga 1 metro fra i macigni lisci e preistorici che custodiscono il feroce fiume. E una micro-baia dove l’acqua giunge perifericamente e smorzata della potenza tremenda del river. Mentre mi lavo, a neppure 2 metri, il fiume, ruggendo, passa furioso schiumando e infrangendosi contro le rocce della Scandinavia. 164 km all’interno delle lande selvagge.
L 16) Up, plateau, down. Classico trek scandinavo. Qui le alpi della penisola vichinga assomigliano in tutto e per tutto alle Highlands britanniche. La tundra ha varie tonalità di verde pastellato che la fa assomigliare a una prateria scozzese. E le montagne sono gonfie e addolcite dalle ere passate. Le montagne primordiali e fiabesche invece, sono lontane, all’orizzonte, imbiancate. E sono il bordo del grande lago Virihaure che altrimenti precipiterebbe dall’altra parte del mondo. A metà strada passo accanto a un monolite alieno che in epoche remote fu probabilmente un tempio. Marcio nel freddo perché l’aria è uguale a quella che c’è in Italia a gennaio, poco prima di nevicare. L’aria profuma di neve. Alla notte il freddo mi sveglia 3 volte. Nonostante il saccoapelo e la felpa, mi entra nelle ossa e anche se mi raggomitolo come un lupo non riesco a scaldarmi.
M 17) Oggi è un trek easy perché sono solo 10 km. A parte qualche ora, sono 5 giorni che trekko sotto un cielo buio, minaccioso e totalmente coperto da nuvole di pioggia. Sembra che debba scoppiare un temporale nel giro di 10 minuti ma per 5 giorni, eccetto qualche ora, non piove. Così sono le lande estreme al di là del polar circle. Una natura senza mezzi termini, implacabile e imprevedibile.  E così dopo 5 giorni di preludio, oggi piove veramente. E sotto la pioggia salgo a 800 metri e trekko ancora sopra l’inviolato lago Virihaure. Il plateau è di un verde pisello ed è simile agli Appennini dopo il passo Cavuto. Ed è l’unico tratto degno di nota, perché forse complice il cielo cupo, questo Padjelantaleden non mi sta entusiasmando come le meraviglie che ci sono a est o a ovest, in Norvegia.  185 km all’interno delle lande selvagge. Oggi peso lo zaino: 19 kg.
M 18) Mi lascio alle spalle il lago Virihaure e salgo di quota. Sono 8 giorni che il cielo è nuvoloso e che il sole non si vede rendendo il trek molto meno bello e fotograficamente quasi inutile. La cortina buia delle nuvole si apre leggermente presso il passo, a 900 metri. Le alpi sono onde verdi e cascate a scala squarciano il green delle valli immense. Un guado più gelido dei soliti è l’ultimo ostacolo prima della baita Tuottar, gestita da uno svedese e da sua moglie, italiana. Oggi è stato il day più bello del Padjelanta. Immerso nel verde di una valle bellissima raggiungo i gelidi laghi semighiacciati del mio rifugio. Oggi dormo in baita perché a 900 metri, sulle scandinave lapponi fa freddo tosto e mentre cucino, di sera, cala la nebbia. Oggi ho varcato la soglia dei 200 km.
G 19) Nella nebbia m’incammino fra i numerosi laghi glaciali. Solo dopo 2,30 h raggiungo il passo e scendo di quota lasciando l’inverno delle alpi svedesi. Oltre il passo, un fiume sinuoso serpeggia fra le paludi in mezzo alle alpi che qui sono di un meraviglioso verde vellutato. Sono nell’angolino occidentale del Sarek e si vede. E’ una bellezza senza tempo e senza eguali. Il custode della baita Tarraluoppal mi dice: “Quella valle che tipiace tanto la devi percorrere domani. E’ piena di orsi. Hai paura?”
Piena di orsi ?! Domani sarà un trek magico. Sento l’irrequietudine ma non è una cosa saggia. Saggio è montare la tenda, godersi questa bellezza e lasciare con calma che il domani arrivi. E chissà, magari anche la fortuna di vederli. 214 km all’interno delle selvatiche lande. Bears free to be bears.
V 20) A quota 18 kg non sento neppure più il bisogno di soste e le faccio solo per il bruciore alle spalle. Scendo di quota e mi lascio i dannati nuvoloni alle spalle seguendo il fiume Tarratno che azzurro scorre fra le lussureggianti alpi che brillano cupemente di tanti verdi vellutati. Scendo nella taiga e trekko fra gli orsi. Laddove la taiga di betulle è squarciata da bellissimi prati ondeggianti, il Tarratno pennella di blu la selvaggia e meravigliosa valle verde scura, di un verde così intenso da far sembrare un dipinto le antiche alpi. Dopo 10 giorni un forte vento scaccia gli ambigui nuvoloni e dopo 10 giorni nel tetro maltempo rivedo il sole splendere e il cielo azzurro. Mi accampo nella foresta degli orsi in riva a un ruscello e sotto 3 montagne brutali: una granata, una che è un cono di buia roccia e la terza bassa e minacciosa. Lavo il pentolino e la scatola del tonno per evitare che i bears mi sfondino la tenda e perché non posso lasciare le scatolette fuori perché potrebbero tagliarsi la lingua. Sono le 21.15, ho appena finito di mangiare. Vieni orso, vieni. Io la conosco tutta la verità delle cose e non ho paura di te. Con me quel rincoglionito di Darwin non attacca. Oggi dopo diversi giorni in montagna sono sceso a 500 metri e dopo 16 giorni non ho freddo. Ci sono 4 donne che trekkano sul mio percorso e ormai sono 4 giorni che si accampano nei miei paraggi. Sono 2 austriache e 2 svedesi. Si vede dagli occhi che hanno una voglia di cazzo immenso. Ah,ah, beh, io sono 18 giorni che non faccio nessun tipo di sesso. Ho i coglioni che sembrano quelli dei boxer o dei rotweiller. Per una donna è più difficile resistere perché loro hanno un’energia sessuale ninfomane ma parecchi maschi di questa era oscura si fanno ingenuamente ingannare dalla pantomima femminile e credono che i maschi pensano al sesso più delle donne. Ah,ah, Darwin e compagnia bella, quanto non ci avete capito un cazzo. Sono a 2 giorni dal 1° villaggio, a 2 giorni dal ritorno nellaciviltà umana. Coca cola fredda, kebab & riso, salmone e dolcetti svedesi: queste sono le cose che non vedo l’ora di gustarmi appena lascio la taiga. 229 km nelle lande selvagge. Non li vedo gli orsi. Ma in mezzo a loro che stanno fiutando il mio cibo, io mi addormento.
S 21) Scendo dalle alpi marciando nella taiga di betulle e ascoltando il perenne ruggito del fiume Tarratno. Superata la baita di Tarrekaise, la taiga diventa una giungla subartica perché il sottobosco è fittissimo e alto circa 1 metro. Profuma dei fiori viola e di quelli gialli che colorano vivacemente il selvaggio bianco-verde della foresta boreale euro-asiatica. Il cielo oggi è bello ma nel tratto giungla scende un diluvio di circa 30 minuti, che complice il sottobosco, mi masarano completamente i miei rain-dress. Salito sull’altura che precede Njunjes, cessa di piovere e il vento in circa 2 minuti mi asciuga completamente. Sull’altura di Njunjes mi godo l’ennesima valle paradisiaca della Scandinavia. Il Tarratno scorre blu intenso fra le alpi spettacolari e solenni. La Svezia con Aleus, Tjaktja, Salka, Rapadalen e questa ha le valli più belle che ho mai visto su una trentina di nazioni visitate. Dopo 21 km mi accampo in riva al Tarratno che canta la sua potenza nell’ultima mia notte nelle terre selvagge.
D 22) Alle 9.00 comincio l’ultima marcia. L’ultimo trek. Ora sono nella taiga di pianura e le betulle hanno ceduto il mondo alle conifere. Le conifere da sogno dei confini del mondo. La classica taiga, quella che si vede anche dai finestrini della transiberiana. Esotica e infinita, questa foresta che percorro per 17 km è il confine del mondo, perché poi, più su, c’è solo la tundra, poi l’ Oceano Artico e poi il Polo Nord. Perché questa foresta sterminata, altro non è che l’estremità occidentale della foresta più grande del pianeta Terra. Inizia poche decine di km a ovest, sulla costa atlantica della Norvegia e continua verso est, verso l’infinito, attraversando la Lapponia svedese e finlandese, la Russia settentrionale, la Siberia e finendo solo dove finisce l’Asia, sullo stretto di Bering, dove l’orizzonte è l’America. Questa foresta è la taigaboreale euro-asiatica, più vasta della taiga americana e più grande dell’Amazzonia. Dopo 19 giorni e 272 km di trekking, alle 13.10, raggiungo un piccolo molo di legno sulla riva del Tarratno. 5 metri di assi che galleggiano fra le conifere senza fine. Le 2 austriache, le 2 svedesi e altri 2 deutsch attendono anch’essi la fine dell’odissea. Alle 14.00 arriva il motoscafo del socio di Bjorn, il mio amico. L’imbarcazione, dopo 4 km, mi lascia sul molo di Kvikkjokk e dopo 19 giorni rivedo un villaggio e una strada asfaltata. Kvikkjokk, una trentina di case di legno in mezzo alla foresta. Domani lascio il paradiso e torno in città.
L 23) Quando sono piccoli i leopardi giocano coi cani e coi lupi. Poi, quando crescono, camminano da soli. E si cecano una pantera nera da coccolare e amare. Quando sono circondati dagli altri, i leopardi sono pieni di sé per via della loro bellezza. E quando sono da soli sono ugualmente pieni di sé perché nella solitudine possono ascoltare se stessi. Se mi guardo indietro vedo un passato pieno perché i leopardi non buttano mai via la loro vita. E posso ricordare nitidamente tutte le persone che ho conosciuto. Le posso ricordare con amore o con simpatia o con divertimento o con odio. Intanto il tempo passa. Ore 8.50. Salgo sul bus e lascio le terre selvagge e dopo 20 giorni rivedo e torno in una città. Una fighissima botta mentale. Praticamente uno sballo ritornare nella civiltà dopo 20 giorni di rude, paradisiaca natura. Le città sono quelle che sono: brutte, noiose e sofisticatamente comode, l’opposto delle foreste. Sono 3 le cose divertenti da fare in città: mangiare, fare sesso e guardare il calcio. Così, alle 11.00, mi sparo una deliziosa colazione: 1 h di squisito salmone fresco; un trancio di very tasty pane svedese (ce ne sono circa 7-8 tipi): questo esteticamente assomiglia a una focaccia rotonda e morbida. Nel gusto invece è molto differente e non è così salato; Coca cola fredda; ciambella e dolce alle noci svedese che mi fa godere ogni volta. Sono le 14.00 invece quando giungo a Gallivare. La foresta e le montagne lontane sono silenziose ma io odo quel silenzio ed ella mi chiama. E da solo m’incammino verso i Pirenei.
M 24) Lavanderia al mattino e body building al pomeriggio e la giornata mi passa. Sceso a Malmberget scatto qualche fotografia ai vecchi edifici storici della città mineraria. Graziose case in legno colorate e una bella chiesa in stile scandinavo. Ha sia il caratteristico tetto che l’imponente campanile coperti con tegole di legno scuro. Alla gym pompo i pettorali, le spalle, i trapezi e le braccia in 2 ore. Tornato a Gallivare cazzeggio con una trentenne castana che mi vuole scopare e che ha come unico problema il trovare il tempo adatto in cui il marito “potrebbe tornare improvvisamente a casa”. Per cena mi sparo un filetto di maiale (pork filet) da 4 etti! (35 kr, circa 4 euro). Patatine fritte con mayo e ketch-up (comprate dove ho conosciuto la tipa) e 2 bicchieri di yoghurt alla pera. Uhm, me la godo alla grande.
M 25) To rest. Riposare. Sostituisco il pranzo con la deliziosa colazione nordeuropea comprata al supermarket e consumata sui tavolini dei bungalows: 2 hg di salmone crudo e freschissimo aromatizzato con delle erbe (e godo come un porco), succo di mela, pane swedish e dolcetto svedese. Ne sto provando un paio al giorno (1 a colazione perché il lunch non lo faccio e 1 a cena). Sono tutti buoni ma quello alle noci è imbattibile. Quindi ho deciso di comprarlo ogni giorno più uno nuovo per la sera. Dopodichè me ne vado a leto e mi sdraio senza dormire. E in questa pausa, dopo 272 km di trek, sento tutta la stanchezza stagnare e cullarmi nel mio corpo, nele gambe, nella schiena e anche nella voglia di divertirmi (andare a bere, giocare a calcio etc). Gli scoiatoli litigano sugli alberi. In questi bungalows, praticamente ci sono 5 persone fra le 10.00 e le 18.00. Poi arrivano gli hikers che giungono via bus e treno dalle mie terre selvagge e in più arrivano, in macchina o in camper, i turisti che viaggiano verso Capo Nord. Tutti ci restano ovviamente solo 1 giorno. Ma io, avendo finito prima il mio trek, devo attendere venerdì per prendere il mio treno per il sud.
G 26) Altro giorno alla gym a ripetere pettorali, trapezi, spalle e bicipiti. Questo bis basterà a tenere tonificati i miei muscoli fino al ritorno in Italia. Alla mattina, invece, stando sdraiato, ascolto letteralmente il mio corpo. E’ un viaggio ascoltare questa sensazione. La stanchezza per i 272 km percorsi è come un eco che si propaga dai muscoli e dalle ossa del mio body. La sensazione che sento è come un eco continuo che dalle mie membra e viscere sale alla mia coscienza. Se mi metto in movimento, invece, sento solo una pacata stanchezza. Il corpo umano è una macchina sofisticata generata dalla natura selvaggia e facendolo faticare e soffrire non faccio altro che diventare più duro e più forte. Le automobili e le altre macchine inanimate (perché non hanno anima e quindi coscienza), invece, sono squallide, fredde cagate senza essenza e bellezza e sono ovviamente fottutamente fragili. Sono i giocattoli degli umani. La maggior parte degli umani vive per queste cagate e non coltivando l’essenza, squallidamente, ha come divinità il denaro e i loro volti, anche quelli belli, spesso sono scialbamente privi di fascino perché i soldi sono vuoti e nel vuoto non c’è magia. Il mio corpo invece è caldo, resistente, potente e filtra l’aria e i profumi del mondo. Ma il corpo degli animali appartiene a un altro livello. Loro sono più forti. E i predatori oltre che belli, sono totalmente strutturati per combattere. Su internet osservo bene la foto dei lupi russi. Anche se tanti hanno una stazza simile a quella dei pastori tedeschi, i lupi ti comunicano molta più potenza, massa e violenza. Hanno le gambe più o meno dele stesse dimensioni del cane ma le zampe sono grosse e solide. Il collo è più lungo e traccia una linea separativa fra la testa e il dorso cosicchè i lupi possono mordere velocemente e ritrarsi immediatamente esponendo al minimo il loro corpo a un contrattacco. Adottano la tattica che usavano i cavalieri sciiti: mordi e fuggi rapidi perché sanno quali sono i loro punti forti e quali i loro limiti. D’altro canto i canidi hanno parecchia intelligenza. A distanza di 21 anni dalla prima volta in cui vidi da vicino un lupo dal vivo, tuttora non ho mai visto un umano avere gli occhi più affascinanti di quelli di un lupo. L’alone metafisico ma carpibile alla vista che circonda e ammantagli occhi di un lupo è qualcosa che gli umani difficilmente possono avere. Questo alone è un fascino, un fascino speciale. I felidi, invece, dopo aver conquistato una distanza tattica ideale attraverso la malizia, impattano con tutto il loro corpo perché sono i Pelè del fare a botte e siccome oltre ad avere il fisico di Pelè hanno anche la tecnica di Maradona, un felide che ti salta addosso, spesso è una punizione all’incrocio dei pali, è la morte che ti ghermisce e dalla morte non si torna più indietro. Alla sera mi mangio un tipico piatto svedese, paltastugan, boh, un nome del genere: sono 3 gnocchi grossi come knodel  e fatti con le patate. Soo che non so come condirli. Me li mangio con il pepe.
V 27) Finalmente l’attesa è giunta al termine. Stasera prendo il treno per il sud. La prima parte dell’avventura è at the end. Colazione con prosciutto affumicato svedese (very good) e un formaggio che si chiama Grodd adel molto buono, in stile Stilton inglese ma meno amaro. E poi ciambella alla cannella che è il più classico dei pastry svedesi. Stasera hamburger, patatine fritte con senape al rafano, hot dog e altro dolce swedish. E mi bevo un succo di berry chiamato Ivertinbar. Alla sera scendo a sud del circolo polare artico e dopo 24 giorni rivedo un tramonto. E di notte, verso la Svezia centrale, dopo 24 giorni rivedo l’abbozzo di una notte, qualcosa di oscuro che assomiglia alla notte e una stella.
S 28) Stockholm. La receptionist dell’hostel cerca 3 volte d’incularmi e per 3 volte non ce la fa. Questa bastarda, grandissima faccia di cazzo, s’inventa 3 cazzate per fottermi sul prezzo e per 3 volte respingo i suoi giochi infelici. Non soddisfatto, perché  comunque l’unica cosa che da soddisfazine è la vendetta, domattina la fregherò ulteriormente. Nella mia stanza ci sono una coppia di lesbiche. Dopo 3 weeks di taiga & tundra le città mi appaiono più noiose che mai eccezion fatta per l’armoniosa architettura di Gamla Stan, quartiere reale di Stockholm. Ma gli esseri umani, soprattutto i turisti che vengono dalle mie parti e comunque da fuori dell’Europa del Nord, quanti di loro sono veramente il vuoto personificato, loro e i loro giocattoli che chiamano “averi”. E le loro femmine, beh, loro, quante di loro sono il vuoto che non ricorda neppure il tutto. Le uniche persone che mi divertono sono i passeri che danzano intorno alla mia brioches e un gatto. Alla sera mi mangio il solito kebab dal solito negozio in centro: squisiti peperoni verdi, un bordello di kebab tagliuzzato in grossi pezzi, salsette, riso e me la godo alla grande con 10 euro. Tornato al mio hotel, che è una nave, inculo per la 4° volta la troia figlia di puttana della receptionist e poi mi corico. Dopo 1 ora entra una svedese che inizia a parlarmi e così io ci provo.
D 29) Dopo aver rifilato la giusta vendetta alla bastarda della receptionist, alle 10.30 del mattino, mi mangio un vero breakfast svedese che io trasformo in un pranzo: attik strommings. Un pesce crudo cosparso di mayo e cipolle e di un erba che veramente mi fa godere. Poi, aringa fritta e cipolle. Good anche sela migliore versione dell’aringa rimane quella olandese a Volendam. Seduto davanti alla graziosa Gamla stan attendo il mio fly. Una nuova avventura. Un altro paese. Per la prima volta volo in Spagna.
L 30) Beh, in effetti una delle poche cose che mi mancavano in Scandinavia era la notte, una vera notte. Blu, stellata e affascinante. Madrid, h 23.30. Esco dalla metro e per la prima volta sono in Spagna, la penisola più occidentale del continente asiatico. L’ Iberia. L’altra cosa che in Scandinavia non c’è sono i 35-38° torridi della meseta castillana. La receptionist del mio hotel è la più bona e sexy receptionist che abbia mai visto. Spagnola, mora, occhi azzurri, carnagione scura, tettona, scollata e in minigonna. Nella mia via c’è un bar che vende il prosciutto a 19 euro al piatto dicendo che è il migliore della nazione. Eh mio caro, a me non mi freghi. E domattina so già dove mangiarlo  e quanto all’incirca spenderò. Alla mattina scendo in strada aspettandomi di trovare una popolazine molto simile a quella italiana e invece mi ritrovo ad avere a che fare con un’altra tribù. O meglio…con altre tribù. Mi diverto parecchio in Spagna. Giunto a Manzanares, villaggio a 1 h da Madrid, giro intorno al perimetro del castello.La guardia mi dice che il lunedì è chiuso. No problem, troverò il varco per gustarmi la sua feature esterna che è quella che mi interessa. Ma sulle alture che dominano il villaggio ci sono delle strane, aliene formazioni rocciose. Un altro alien world! Godo! Oh, cazzo, non lo sapevo neppure se no mi portavo i vestiti da trek e l’asciugamano. Salgo nei vicoli, sotto il caldo torrido, e raggiungo le colline verdi-gialle-rossastre. Rossastre perché sono costellate da centinaia di enormi rocce tondeggianti, lisce e scolpite alienamente dalla natura. La bassa vegetazione che attraverso, risalendole, è costituita da erba ingiallita e secca e anche se il subdeserto è più a sud e questo è un habitat temperato caldo, il clima e l’aridità sono molto simili anche se nel subdeserto fa ancora più caldo e gli arbusti sono alti. Salgo fino a un passo per curiosare sul territorio celato dai massi levigati. La meseta è un mondo spettacolare, grottesco, dove la roccia liscia e granata prendono forme e dimensioni mitologiche. Risceso nel paesino vado nei negozi e al supermercato e con 3 euro mi compro 1 hg di chorrizo e 1 hg di lomo, forse si chiama così. 19 euro un piatto a Madrid, ah, ah,ah. E con 1,5 euro, un dolce gigante, il lazo. Gli spanish non parlano inglese ma lo capiscono e quando non lo capiscono, capiscono l’italiano e io capisco facilmente lo spagnolo. Qui nella Castilla e a Madrid sono per lo più castani, carnagione chiara e occhi di tutti i colori. Le donne belle mi piaciono abbastana e si vestono molto free: cosce al vento e seni scollati. Girando intorno al castello trovo 2 point-of-view perfetti, anche se nel 2° devo salire in piedi in piedi sul muretto suscitando la curiosa preoccupazione degli spagnoli. Il castello Manzanares è il castello da guerra più bello che ho mai visto. Ogni pietra è stata murata per la guerra e solo per la guerra e la forma è davvero una figata. Ha le torri coi merletti incassate in altre 2 torri merlettate più grosse e più basse. Il muro delle torri è edificato con sassi tondeggianti, magari per comodità logistica ma al contempo questo rende più difficile la sua distruzione alle catapulte e più pericolosa la scalata. E’ proprio una figata. Tornato a Madrid, l’autista del bus per Medina del Campo non mi fa salire perché non fa i biglietti e io non ho tempo per farlo in biglietteria e così pedo la visita a un altro castello superfigo. Così mi mangio il mio chorrizo che è un salame rossastro e piccante e uno dei salami più buoni al mondo. E mi mangio il lomo (?), un altro ottimo affettato. Il dolce, il lazo, è mandorlato. Mi sto veramente divertendo in Espana. Poi entro nel Santiago Bernabeu e visito lo stadio e il museo del club più vincente del mondo. Perché nessuno ha 32 scudetti, 9 coppe dei campioni e 2 coppe Uefa (che negli anni 80 era una coppa tosta). Uno stadio grande e bellissimo. 90000 posti. Davanti al mio hotel trovo una birreria che fa le medie a 2 euro! E io me ne scolo 4. Alla sera mi mangio 5 tipi di tapas, fra cui il gazpacho, una strana crema o zuppa o snack o cena. Il gazpacho è l’unica tapas che non mi piace tanto. Le altre sono almeno discrete. Molto meglio i salumi e il dolce.
M 31) Giungo a Zaragoza all’alba. Salito sul van scendo nell’anonimo villaggio di Sabinanigo per prendere il bus per il parco nazionale più bello di tutta la penisola iberica. Ho 2 h di stop e così vado da un salumiere e mi compro 1 hg di un tipo di jamon e il queso, un formaggio. Ho provato il prosciutto di un’infinità di nazioni, dagli italiani allo svedese, ai tedeschi, all’inglese, agli ungheresi etc ma questo spagnolo è il più buono del mondo. Puttana troia se godo. E anche il formaggio è buono. Proseguendo il viaggio attraverso questa bellisima terra dove le montagne sono verdi e gialle e i meravigliosi Pirenei si alzano maestosi sui prati giallastri dell’Aragona. Scendendo verso il mio camping, un tedesco riesce a fotografare un bellissimo viperide lungo e tigrato. Ed è solo per pochi secondi che io non lo vedo. Lo snake si nasconde nei muretti sassosi della mulattiera. Sono in un luogo idilliaco, con i Pirenei stupendi e lo stupendo canyon di Ordesa davanti alla mia tenda. A Torla, dopo aver litigato con una stupida francese, mangio la mia prima paella. Ottima. Ma i risotti del nord-Italia rimangono i piatti di riso più buoni al mondo. E poi mangio il churro, un dolce zuccherato anche in superficie, di discreta bontà. Anche qui, però la versione argentina è molto più buona.
Martedì 1 agosto) Con i 272 km ancora nelle gambe e con il corpo ancora indurito dai 20 kg trasportati per 19 giorni, i 900 metri di dislivello senza zaino, li faccio sentendomi un maestoso gigante contro gli altri, buoni, escursionisti.Li asfalto, li faccio a pezzi, tranne 2 francesi più veloci di me e una bonazza française che mi sta in culo fino al rifugio senza demordere. Parto da 1300 metri e salgo a 2200. All’inizio marcio in una stupenda foresta di enormi, alte e massicce betulle e pini. Ogni tot c’è una cascata meravigliosa che precipita in ruscelli dai poetici blu. Le cascate dei Pirenei sono fra le più belle d’Europa e scendono a gradoni fra stretti e pericolosi canyon. Ma il canyon dei canyon è il gigantesco Soaso: raggiunti i 1900 metri trekko verso le lontane cime dei Pirenei lungo valli dimenticate dalla civiltà. Il Soaso è un fantastico muro di roccia ondulata e levigata. E’ gigantesco, bellissimo e sull’altro lato il canyon è formato invece da Pirenei ammantati dalla prateria alpina. Ma sono praterie uniche in Europa perché sono verdi ma anche gialle, colorate non so se da infiniti fiori o erba abbrustolita dal torrido sole della penisola iberica. Io trekko in un vasto paradiso fra i bastioni invalicabili e dolomitici del canyon. Intanto le cime over 3000 davanti a me diventano sempre più vicine. Salgo di fronte a una cascata strepitosa e osservo il canyon di Ordesa dall’alto: un’enorme fenditura nella Spagna, uno spettacolo imponente e selvaggio. Raggiunto il rifugio Goritz scopro che ci si può accampare e mi girano i coglioni perché i 3000 metri dei Pirenei sono sopra di me, a poche h di trek, ma per farli dovrei dormire qui, a 2200. Dopo 8 h di trek esco dal paradiso e vado a mangiare in un altro ristorante e io godo della Spagna. Mi porta una gustosa zuppa di fagioli, bacon, salumi e peperoni verdi very good. E poi 3 bistecche sapientemente condite con una salsa rossastra che sa di piselli e aglio. Infine patate fritte speziate con prezzemolo e aglio. E io godo.
G 2) Sul Cotatuero trail c’è molta meno gente rispetto a quello di ieri. Ho parecchia gamba e salgo potente e veloce la ruvida salita fino ai 1800 metri del Cotatuero. I possenti muri di roccia s’innalzano anche qui. Le splendide praterie alpine verde-giallastro formano un selvaggio puzzle con le conifere. Le praterie sono costituite da una dura e quasi spinosa flora verde e il giallo è determinato da miriadi di fiorellini color del sole. Trekko fra il limite della foresta e i possenti muri di roccia che si ergono a 90°, invalicabili fino oltre i 2300 metri. Solo con il climbing si può scalarli e accedere al plateau che conduce ai 3000 pirenaici. Sono mura stupende dalle forme selvagge. Il limite del massiccio, invece, è una punta pratosa che sale in cielo modellata dallo scultore per eccelenza, l’artista che non si ripete e non annoia mai: madre natura. Alla sera, a Torla, il mio viaggio nella cucina spagnola prosegue egregiamente. La mia cena oggi è un classico mix di tapas succulente; il t…boh de cerdo è una dura e spessa striscia di carne di pig, le alette di pollo sono condite con qualche spezia, la crocchetta spagnola è molto più buona dell’italiana e delle altre europee. E’ ripiena di carne e di un succulento formaggio. Ma il top del piacere sono le anchoas. Le modeste acciughe, che ovunque sono un normale spuntino o un buon ingrediente, qui in Espana sono un capolavoro. Sono impregnate di aceto bianco e altri sapori. Il tedesco è accampato dietro di me e siamo amici. Oggi ha fatto una cosa pazzesca: è salito sul Perdido in 1 giorno! 2000 metri di up e 2000 di down. E alle 20.00 ora è a Torla. E’ ovvio che ha un fisico speciale. Infatti i ranger inorridiscono al pensiero della fatica che ha fatto.
V 3) Dopo l’usuale breakfast delle 8.30 in riva al fiume, composto da 1 hg di affettato (oggi un altro tipo di salame), pane, yoghurt, the e dolce ( una torta ripiena di crema con la pasta mandorlata), salgo il duro trail chiamato senda de los cazadores. 600 metri di dislivello molto duri. Praticamente, partendo da A, tracciando una verticale perpendicolare, sopra, ti ritrovi sulla linea A. Senza soste e devastando un bordello di spagnoli e stranieri raggiungo così i 1900 metri del trail Pelay. E trekko nel paradiso di Ordesa. E’ nuvoloso oggi e il torrido caldo iberico non picchia. Cammino sul canyon di Ordesa ma sull’altro lato rispetto al Soaso.  E’ un canyon fantastico e levigato come le torte a spirale. Sopra di me, anche qui, i Pirenei sono appuntiti e colossali muri di grigia, roccia verticale e nuda. Anche qui invalicabili per gli hikers. E’ un trek bellissimo fino al circo di Soaso dove torno indietro dal sentiero di mercoledì. Il deutsch, invece, compie un’altra impresa. Stavolta non di tenacia ma di coraggio. Fa una cosa temeraria e pericolosa: sale la parete attrezzata a 32 chiodi senza corda e va in cima al monte Salarons, sopra dove ero io ieri. Stasera purtroppo sbaglio completamente la scelta del ristorante e quella cornuta di merda della padrona mi porta altre 2 specialità spagnole, ma riscaldate. Roba da sbattergliele in faccia.
S 4) Dopo aver mangiato la longaniza (la loro salamella) e i boquerones, lascio i Pirenei e approdo a Huesca, anonima cittadina all’interno della torrida piana aragonese. Giungo con 1 giorno di anticipo per evitare di non trovare posto sugli affollatissimi bus per Barcelona. Dopo essermi ubriacato in un pub con le pinte di San Miguel a 2,5 euro, anche oggi sbaglio ristorante e questo cornuto mi porta la paella riscaldata (dopo 5 minuti che l’ ho ordinata…) e di secondo le albondigas…fanculo! Ma sono le polpette al sugo uguali, identiche a quelle italiane. Fanculo!
D 5) Sto male di brutto tutto il giorno e vomito 2 volte. Ho delle forti fitte all’intestino e un malessere con nausea. Quel cornuto mi ha dato il pesce avariato?
L 6) Cazzo, non è il pesce. Bensì la fottuta infezione che mi è risalita. Evidentemente non l’ho curata perfettamente e a distanza di 15 mesi mi è risalita. A digiuno perciò prendo il bus per Barcelona gestendo il dannato malessere. C’è una montagna incredibile poco prima della città azulgrana. Sull’autostrada superiamo tanti camion coi maiali destinati al macello. Guardo i loro occhi assonnati e mi dispiace di brutto. Dovrei diventare vegetariano per non partecipare a questo infame scempio contro queste povere creature. Ma la mia lussuria è tanta. In meno di 2 h giro la città catalana e osservo le opere di Gaudì, dall’eccezionale Sagrada Familla agli altri edifici curiosi ma francamente sopravvalutati. L’ingresso al Camp nou mi costa 23 euro! Cornuti. Dall’esterno è brutto mentre all’interno è enorme e spettacolare anche se meno bello del Santiago Bernabeu.
M 7) Volo sull’Italia. Sto male, sono digiuno e resisto alle fitte fottute. Tra poco sbaciucchierò la mia gatta.
By Tytanchaos

2011 Tytanchaos in Scotland

TYTANCHAOS ON GREEN ISLAND
TYTANCHAOS SULL’ ISOLA VERDE


Scotland, Great Britain. Agosto 2011

Lunedì 29) Decollo per il mio 5° supertrekking. Mi attendono più di 100 rudi chilometri sulle colline più famose del mondo. Siccome quest’anno mi sono abbuffato di tigri, leoni, lupi e orsi posso anche accontentarmi di marciare in territori dove i più bei figli della Terra sono stati estinti dall’egoismo dell’umano. 11 anni dopo atterro in Gran Bretagna, l’isola più grande d’Europa. E’ tardi ma rieco lo stesso a trovare un indian fast-food aperto. Con 5 euro mi da uno spiedino indiano alla biryani, coke, una pita e insalata. Seusi latesta ti diverti anche nella 3° nazione più cara del subcontinente europeo.
M 30) Glasgow è cupa e pioviggina. La mia guest house è in mezzo a 2 chiese molto belle. Non è che vado matto per l’architettura cristiana ma le chiese scozzesi mi piaciono un sacco. Monocromatiche, di roccia cupa, morfologicamente graziose e antiche. Direi addirittura esotiche. Trovo una catena di stores che vende tutto a 1 sterlina e così mi compro un pacco da 25 (!) penne, 2 paia di batterie al litio per la digitale, 255 grammi di prosciutto (!!), un grosso Cedar cheese, pane per 7 giorni e accendini. Trovo le bombole del gas adattabili alla Primus proprio in un negozietto di fianco alla stazione per Milngavie. Mica scemi i dealers a scegliere la location! Arrivato a Milngavie raggiungo l’obelisco. L’obelisco è in centro, nel grazioso villaggio britannico. Qui inizia il West highland way, il sentiero da trekking più importante del Regno Unito. Vado al tourist information a comprare l’ultimo dettaglio: la mappa. Gli scozzesi sono allegri, simpatici e le tipe di bellezza media. Le case sono fighe e un villaggio britannico è 2° in graziosità solo a uno deutsch. Alle 14.40 scendo le scale della piazza, mangio un pessimo fish n chips cucinato da un indiano (…) e quindi parto per la 5° impresa della mia carriera di hiker entrando nel bosco. Non piove. Incrocio un capriolo. Questo 1° giorno di marcia è asolutamente noioso e a parte qualche quercia, qualche piccola palude e una collina, marcio nei campi coltivati e nei pascoli della pianura scozzese. I boschi che attraverso sono piccoli e odo le macchine che sfrecciano sulla statale vicina ( a non più di 300 metri). 16 km così. Assolutamente il peggior trekking della mia vita. Voto landscapes: 5.
M 31) Spero proprio di non aver sbagliato stavolta. Dopo un altro tratto di zone rurali e noiose (certo sono meglio del trekking Sesto-Cinisello-Seregno…) mi sparo 2h di salmone fresco e1l di yoghurt alla banana e moreal villaggio di Drymen. Quindi entro, finalmente, nella foresta di conifere. Il suolo è bellissimo, tutto ammantato daun tappeto di muschio verde quasi fosforescente. Ma ci sono tratti disboscati e i ruscelli sono avvelenati da schiume e veleni vari. La prima salita su una collina delle Highlands migliora un po’ la situazione. Perché queste colline tappezzate da arcobaleni di verdi sono spettacolari. Sono spoglie di boschi già a metà altezza e praterie verdi e rosse ne tappezzano le forme tozze e maestose. Valli di prati enormi giaciono sotto il perpetuo, cupo, grigio cielo totalmente coperto dalle nuvole. Ma fortunatamente anche oggi non piove. Scendo sull’altro versante, sopra il grande lago Lomond. L’ondulata Scozia rurale e i villaggi si perdono nell’orizzonte, sull’altra sponda. Sulla mia riva, invece, boschi di quercia si specchiano nella placida acqua del lago. Acqua che è cupa come il cielo scozzese. Tuttavia i ruscelli sono sporchi: l’acqua del lago Lomond è inquinata e una strada carrozzabile ne costeggia la riva. Non sono nel wild, questa non è wilderness. Spero proprio di non essermi sbagliato stavolta a scegliere. Lo zaino pesa 20 kg. Ho fatto 31 km di marcia. Sono spaccato, troppo per essere al 2° giorno e ho già le vesciche. Non sono molto in forma. Voto landscapes: 6.
Giovedì 1 settembre) Ci sarà un motivo se le Highlands sono così famose e sequesto è il path più rinomato che le attraversa! Ma riparto e ancora i landscapes non decollano. Ancora la fottuta strada asfaltata!! Questo fino a Rowardennan, poi il mio viaggio e la mia fatica trovano il perché! Eccole le Highlands! Spettacolari, sull’altra sponda del Lomond. Sono le colline dei verdi perché sono ammantate da almeno 7 tipi diversi di bellissime tonalità verdi. In più, la fottuta strada carrozzabile finisce e io marcio da solo nella buia, bella foresta di querce e conifere. Il suolo è di un brillante, soffice verde perché il muschio è ovunque, sul prato, sulle radici e fin sulle cortecce. Lungo il path ci sono ottimi squarci sulle Highlands, a destra e a sinistra, sul monte Lomond. Sono colline e montagne di spettacolari pendii verdi e le cime selvagge sono anch’esse verdi. Mi accampo nella foresta a pochi passi dalle spiagge sassose del Lomond lake. Voto landscapes: 9
V 2) E’ una dura marcia lungo la costa del lago Lomond. Un up n down continuo di 8 h che gli hikers che incontro definiscono estenuante. Dal sentiero si possono fare delle brevi deviazioni di 50 metri e accedere a numerose spiaggette sabbiose, ma anche rimanendo sul path, quando la foresta si apre in squarci di pochi metri, si può godere del bello e cupo lago Lomond, delle sue rive ammantate dalle foreste di querce e dele Highlands che sull’altra sponda splendono di verdi meravigliosi, vividi e luminosi nonostante il cielo sia perennemente grigio e cupo. Alcune querce crescono orizzontali sulla riva, leggermente rialzate, e i loro rami sfiorano l’acqua buia del Lomond. Dopo 4 giorni di cielo minaccioso, piove e le ultime 2 h le faccio sotto la rain. Arrivo per 1° al rifugio di pietra. E’ free, non gestito, grezzo e spartano. Ci sono delle tavole di legno dove dormire ma non basteranno per tutti e gli ultimi 2 arrivati dormiranno sul pavimento. Oltre a me ci sono 8 deutsch composti da 4 gruppi: 2 maschi con cui faccio amicizia, 2 coppie e 2 tipe. Gli ultimi ad arrivare sono 2 belgi. Siamo tutti bagnati, spaccati e zoppicanti perché così è il trekking in collina: up n down, up n down e ti rallenta e ti rompe il culo anche se non sali a 2000 metri. Io ho le vesciche, i miei amici deutsch sono stati a trekkare nientepopodimeno che in New Zealand! E ne parlano entusiasticamente. Sia loro che una delle coppie dopo aver ascoltato i miei racconti sul Kungsleden sono convinti che sarà la loro tapppa dell’anno prossimo. Fuori piove. Voto landscape: 9
S 3) Oggi marcio 2 h sotto la pioggia e 20 minuti sotto la grandine. Dalle 9.00 alle 18.00 con le scarpe bagnate, le calze zuppe e i pantaloni e la giacchetta wet. Così è la natura, è dura. Marcio da 73 km, sono praticamente a metà dell’impresa. Dopo 3 km abbandono il lago Lomond e m’inoltro sulle colline pratose nel grandioso landscapes delle magnifiche Highlands. Le chiamo colline ma parecchie sono montagne. Bellissime e tutte verdi, di diversi verdi. Le cime sono prati sagomati dall’ invincibile natura selvaggia. I versanti sono prati immensi che confinano con i boschi di querce e di conifere. Mi accampo all’incrocio per Crianlarich, sotto le conifere, nel bosco buio. Domani proseguirò verso sinistra, verso Tyndrum. Oggi invece, montata la tenda e posato lo zaino, prendo lo zainetto ausiliario  e imbocco il path verso destra e cammino nel bosco per 800 metri fino al villaggio di Crianlarich: devo fare la spesa perché il pane e le gallette di riso sono quasi finite e devo ricaricare la carne. Compro il salame danese per domani e un pacco di 6 salsicce per oggi. E mi mangio i buonissimi biscotti al burro dei britannici. Adesso, mentre scrivo, per la 1° volta da quando sono atterato in U.K. il sole splende e il cielo è azzurro !!  Voto landscapes: 9. Adesso sono arrivati un tipo europeo con la sua girlfriend indiana e si stanno accampando vicino a me. Lascio 2 etti di prosciutto su un masso.
D 4) Verso la 1.00 mi sveglio perché un animale sta fiutando la mia tenda. Poi la volpe si abbuffa con l’ham. Oggi per la 1° volta marcio sotto un cielo limpido in Scozia. Limpido relativamente perché nuvoloni grigi e minacciosi lo coprono agli orizzonti e poi lo percorrono ininterrottamente per tutto il day. A 1/3 del trail mi rifocillo a una fattoria con un panino al bacon e burro very good e 2 biscotti english supertasty. Un passeriforme molto bello atterra a pochi cm dalla mia mano e mi chiede cibo. Io spezzo il biscotto e glielo do. Lui indietreggia leggermente per farmi capire che comunque non posso toccarlo. Ma le briciole dolci praticamente gliele do a 1-2 cm dalle zampe. Vicinissimo. Lungo il path becco uno stagno che dimora placido e grazioso fra le conifere. C’è una roccia scolpita con una spada e poi c’è scritto che quello è il laghetto della leggenda della spada perduta. Dopo Tryndum le Highlands appaiono in tutta la loro maestosità e bellezza. Trekko verso il Beinn Dorain, una montagna spetacolare. E mi accampo sotto le sue pendici verdi, vaste e ripidissime. Mi accampo in riva a un fiume. Ho le vesciche sotto entrambi i piedi. E’ un trekking duro anche se i dislivelli sono modesti. Faccio 16 km circa al giorno. Devo rimarcare però che troppi tratti di trail sono vicini alla statale e il rumore delle car mi fa girare i coglioni. Anche i piloni dell’elettricità mi fanno girare i coglioni e i recinti del cazzo per le pecore perché sono brutti agli occhi e alle orecchie. E perché queste colline devono tornare ad essere degli orsi e dei lupi. Solo la Scandinavia e la Russia possono darmi ciò che veramente voglio: totally wild. Fanculo alla civiltà umana. L’unica grande piaga e malattia del pianeta Terra. Voto landscapes: 9.
L 5) Valico la soglia dei 100 km. Precisamente sono partito martedì 30 da Milngavie, 105 km fa. Tutti gli hikers che supero, incrocio o che mi sorpassano (questo solo alle mie soste…), tutti zoppicano. I deutsch rappresentano il 70% degli hikers di questo West Highlands trail. Sono tantissimi e tantissime. Coppie di tedeschi o gruppi di 4-5 bionde, gruppi misti o fidanzati. Io e una tedsca siamo gli unici solitari. Ormai il landscapes delle Highlands è grandioso, ormai non sono più colline ma montagne. La più bassa catena montuosa d’Europa dopo i Pennini inglesi. Basse ma maestose e belle. Lungo i 5 km finali salgo sul Rannoch Moore, un altopiano dunoso ed erboso finalmente selvaggio e privo di recinti del cazzo e lontano dalle statali. E’ circondato dalle verdi, antiche Highlands ed esso stesso è uno dei rilievi delle Highlands. Attraverso anche una palude molto panoramica. Mi accampo in una conca, dietro a un grande, bello stagno paludoso. Proprio 15 minuti fa. E per 10 minuti evito la fastidiosa pioggia britannica. Voto landscapes: 8.
M 6) Succede quello che non deve mai succedere. Mi sveglio di notte, alla 1.30. Non so come ma la tenda ha 2 buchini nel pavimento. Piove a dirotto e c’è anche un vento fortissimo. Il Rannoch moore è fortemente paludoso e ora pieno di pozzanghere. Nonostante sia piazzato in un punto “secco” l’acqua penetra, sotto la mia schiena e sotto le caviglie. Uso l’asciugamano per tamponare e l’impermeabile per coprire il tutto e poter dormire. Il vento ulula e riesco ad addormentarmi solo alle 4.00. Se l’acqua mi bagna anche il sacco a pelo sono fottuto perché se non dormo non posso proseguire. Alle 9.00 mi sveglio e sotto il diluvio riparto. Mi mancano solo 50 kme 3 giorni di viaggio alla fine della mia quinta impresa. I landscapes più belli cominceranno proprio dopo il Rannoch Moore, solo 5 km più a nord. La grandine mi punge la faccia e masarato e zoppicante marcio tranquillo verso il Glencoe. Ma il cielo è brutto e il vento spira troppo forte: questa è una tempesta che non dura poche ore. Le bellissime Highlands sono celate dalle nuvole nere ma riesco a capire che il landscape è eccezionale e superiore ai giorni precedenti. Ma il destino, stavolta ha deciso di fottermi e la mia tenacia nulla può contro la logica. Proprio quando scendo nel Glencoe il vento accellera e diventa potente e furioso come quello di Tjaktja e dei Sedemte ezero. Ma a soli 300 metri d’altezza!! Ci risiamo, come in Bulgaria e in Svezia. Diluvia e io pompo forte contro il vento furioso in salita mentre le raffiche mi spingono indietro sballottando la mia tenda e mi spostano letteralmente verso destra o verso sinistra. Le raffiche sono la parte periferica dell’uragano che ha devastato gli States, sull’altro lato dell’Oceano Atlantico. E si vede.  Sono così potenti che quando mi investono mi danno la sensazione concreta che poco più forte mi staccherebbero dal suolo e mi lancerebbero nel cielo in stile ciclone. Il cakra è aperto e mi sento in balia di una forza che può facilmente uccidermi. In più qui non ho ripari ne massi  ne boschi che filtrino la potenza del vento. In Italia un vento così non possono neppure immaginarlo. Quando la raffica arriva io sento i miei piedi che non hanno alcuna certezza ne gravità e non so se decollerò come un foglio di giornale. Temo che la mia avventura debba terminare. Ma è solo un pacco? ! Una tempesta così finirà a breve. Entro in un lodge e chiedo: “Che tempo farà domani?”
La scozzese mi risponde: “Così. Andrà avanti così fino a fine settimana. Non è usuale per settembre e di solito questo vento giunge in inverno e non così forte.”
E’ finita. Devo rinunciare a completare il West highlands way. Dopo 113 km devo fermarmi e definitivamente. Ho già marciato per 10 giorni sotto la pioggia in Scandinavia, posso rischiare contro questo vento titanico ma non potrei dormire. Mi spaccherebbe la tenda, me la piegherebbe sulla faccia e io passerei tutta la notte nell’acqua e senza dormire. Arriva uno della sicurezza e pone fine ai miei pensieri: “Tu, con lo zaino. Cammina verso di là per 300 metri, fino all’incrocio con la statale. Il bus si ferma lì. E vi raccoglierà lì. Non potete proseguire.”
Dopotutto senza dormire per 3 giorni non si può trekkare. Così prendo atto, a grandissimo malincuore che devo fermarmi. E che la tenacia stavolta non va seguita ma va seguita la saggezza. Proprio sul più bello e a 3 giorni da Fort William. Attendo il bus sulla statale, bagnato nell’autunno scozzese mentre il vento furioso spazza tutta la prateria delle Highlands e il diluvio scende implacabile. Arrivano tanti altri hiker, da nord e da sud, fradici, anch’essi rassegnati. Il bus sfreccia lungo la valle Glencoe fra le Highlands strepitose e d’indescrivibile bellezza. Ce ne è una che è solcata da più di 15 torrenti-cascate che furibondi e in piena scendono nei prati come 15 lacrime schiumose. Dopo 8 giorni torno nella civiltà umana. Nel grazioso villaggio di Fort William. Chiese di pietra scura, palazzi che sono dei micro-castelli, case a graticcio in stile deutsch e la maggioranza in stile english. Trovo posto in una guest house. Ho la stanza privata in tipico stile inglese a 22 sterline.Mangio l’haddock e mi scolo 2 pinte: una Guinness e una Mcevans. Mi piace il popolo scozzese, anche gli inglesi e i gallesi.
M 7) La villa è arredata con sobrio, antico stile aristocratico britannico. Il cameriere è vestito con il kilt e le calze a scacchi e mi porta un super-breakfast dell’isola U.K: succo d’arancia, latte e muesli, marmellata strabuona, pane, biscotti e tea, pancetta cotta very good, uovo all’occhio di bue, fagioli in salsetta di pomodoro e salsiccia british. Mi sposto a est nelle Highlands chiamate Grampian  range. Perché contro un uragano (seppur periferico) non c’è speranza. Sperando che a est non piova. E stavolta mi va bene perché dovrebbe esserci bel tempo fino a lunedì…in Gran Bretagna mai dire una cosa simile! A ovest invece dove non c’è speranza la tempesta proseguirà fino a tempo indeterminato…uno scozzese risponde così al mio quesito: “Fino a settimana prossima? Forse! O forse fino all’anno prossimo!”
Il bus costeggia il lago Ness, dove ogni tanto viene a caccia o a riposare
(ma! Chi può dirlo!) l’indefinibile rettile che abita, probabilmente, i pianeti dentro la Terra. Il lago Ness è più bello del Lomond ed è circondato da foreste e colline basse e rocciose. Arrivo a Aviemore, base del mio 2° obbiettivo britannico: le montagne del Cairngorms National Park. Un italiano che ha il campeggio più vicino al centro mi spara un prezzo ridicolo per il site. E così me ne vado e con sole 3 sterline in più dormo in un letto e ho la stanza tutta per me in un hostel. Alla sera becco un ristorante con piatti che riportano la voce cajoon nel menu e così mi siedo. Ma l’hamburger che mi porta non sa per niente di Louisiana food. Prima di dormire mi mangio lo yoghurt più buono che ho mai provato: papaya, mango e passion fruit.
G 8) Una spagnola del tourist information sostiene che in Scozia i path non sono signposted!! Assurdo, impossibile! Sta mentendo o per farmi prendere la guida o per farmi comprare la mappa che tanto avrei comprato comunque. Che non sono segnati non ci credo ma neanche…infatti scendo dal bus nel villaggio di Kincraig e i trails sono segnati! Of course! Inizio la mia esplorazione del Cairngorns N.P. con una lunga ma facile escursione nella valle, in piano. 24 km lungo il bel lago Insh, le foreste di conifere, betulle e…uhm: c’è un albero bellissimo che è alto, ha il tronco snello e privo di rami. I rami e le foglie crescono solo in cima ma in orizzontale, totalmente diverso dalle conifere della Germania. Si chiama pino caledoniano. Dopo i 113 km con 20 kg di zaino e i continui up n down del West highlands way, questi 24 km con lo zainetto mi fanno lo stesso effetto di quando dalla mia camera vado in cucina. Termino il trekking nelle paludi di Insh, dove gli aironi pescano e i cervi si riposano. All’interno dell’hiking, invece, sotto la foresta, passo vicino a un roe-deer, un capriolo. Non si accorge di me fino a quando non apro il velcro della porta-digitale. Allora s’immobilizza e aspetta la mia mossa. Appena mi muovo per inquadrarlo scappa.
V 9) Qui non posso dire di essere sfigato metereologicamente, ne che questo viaggio sia maledetto dal maltempo; se avessi becato dei sunny days avrei potuto dire, al contrario, di essere stato superlucky perché bisogna mettersi il cuore in pace prima di partire se si sceglie l’isola più grande d’Europa. Perché è così. Devi ragionare così: di solito piove, poi se ti va bene becchi 2 giorni alla settimana di sole. Sotto la pioggerellina scozzese trekko con un francese e la sua girl cinese nella foresta caledoniana. Una foresta di pini che vengono dal passato. Alberi più selvaggi degli alberi che sono già sempre selvaggi. Da 400 metri salgo sulle pendici del monte Cairngorm. Salgo sotto la pioggia distanziando la coppia lungo la bella valle di un fiume schiumoso che s’insinua girando fra le alture di tundra rosso-violacea. Una tundra diversa da quella scandinava. Perché il grande padre, il caos selvaggio, ha disegnato la grande madre con infinita varietà e onnipresente bellezza senza copie o eguali. Arrivato a 600 metri, mi mangio il formaggio più buono che ho mai mangiato: è inglese, non scozzese, e si chiama Stilton. Mi scolo anche 1 l di latte al cioccolato e poi nella nebbia salgo sulla cima del Cairngorm a 1250 metri. Non vedo più in là di 40 metri e salgo solo per mettere un’ altra tacca nella mia collezione e per aver la soddisfazione di conquistare un picco anche delle Highlands. E perché mollare non è un verbo del mio repertorio. Ci sono 5° in vetta. Scendendo avvisto un branco di renne a circa 70 metri di distanza, in riva al bel fiume, nella valle violacea. Da questo punto smette di piovere e il landscape si apre fino a rivelare le altre cime delle Grampian mountains. Alla sera mi sparo un salame spagnolo molto buono: il chorrizo. Voto landscapes: 8.
S 10) Piove. Ovvio. Quello che faccio ogi non è un trekking ma una passeggiata di 3 h su uno dei sentieri del Cairngorms N.p. Cammino da Glenmore. Dentro la bellissima e remota foresta di pini caledoniani. Alti ed endemici sono ancora più spettacolari quando cingono le grandi radure di tundra violacea miste a praterie giallastre. Arrivo a un laghetto di un verde stupendo. Si chiama Green lake e le leggende narrano che un tempo era abitato dalle fate. La sottilissima spiaggia che circonda l’acqua smeraldo giace cullata dal tempo immemorabile nella magnifica forestadi pini caledoniani. Le conifere si arrampicano sui pendii fino alla tundra color velluto scuro per uno dei laghetti alpini più belli che abbia mai visto. Proseguendo per un breve tratto di circa 1 km, passeggio negli eccellenti landscapes delle Highlands orientali, i Cairngorms mountains. Rilievi possenti e arrotondati, coperti dalla tundra cupa e colorati più in basso dai colori dei tronchi, degli aghi e delle felci e dai prati che formano un tappeto di oscura e tenue bellezza. Al ritorno incontro uno scoiattolo. Alla sera vado all’indiano e mangio papadam, riso basmati e pollo in un sugo dell’India del sud. Poi mi compro 1 l di succo d’uva bianca. Alla mattina assisto alla rimonta dell’Inghilterra contro l’Argentina nel mondiale di rugby. Le scozzesi sono buone e gentili. Voto landscapes: 9.
D 11) Ci mette ben 4 h il bus da Inverness ad Aberdeen ma costa 10 £ contro le 41 del diretto!! Viaggio lungo la costa orientale della Scozia e dopo 11 anni torno al villaggio di Stonehaven. Piccolo e poco assalito dai turisti (almeno adesso) è arroccato sulle fantastiche coste del selvaggio Oceano Atlantico.  Che furioso ruggisce per tutta la notte contro la spiaggia di Stonehaven con lunghe onde e schiumosi e alti cavalloni. Dopo aver lasciato lo zaino al mio letto, mi incammino lungo il path che costeggia le spiagge, i 2 golfi e poi s’inerpica sulle cliffs spettacolari dell’Aberdeenshire. Considerando le coste dell’intera Scozia, di Mull, Arran, il Pembrokshire gallese, la Cornovaglia, la Jurassic coast inglese, le Seven sisters e le bianche cliffs di Dover, la Gran Bretagna è sicuramente al 2° posto europeo per bellezza costiera con buona pace di tutto il Mediterraneo, dalla Turchia all’Italia, fino alla Spagna. Seconda perché la Norvegia è prima e nel mondo. Cammino con l’Oceano Atlantico che infinito, monotono e bellissimo schiaffeggia senza tregua le alte scogliere a picco della Scozia. Sono 4 km di grande spettacolo, soprattutto gli ultimi 2, quando, abbandonato il villaggio, il giallo dei campi di grano confina con il blu dell’oceano e lo splendido verde della fantastica costa confina con il bianco delle onde possenti. Il castello di Dunotter non  è bello come il Neuschweinstein tedesco, non è potente e intatto come il Penafiel o La Mota castigliani ma a causa dell’ubicazione è il più spettacolare d’Europa. E’ una rovina dei secoli addietro che si staglia tuttora su uno dei meravigliosi cliffs della costa britannica. E’ sopra e in mezzo a 2 golfi verdi e spettacolari. E’ dietro ai campi di grano e davanti all’oceano sterminato. E’ lì, di fianco alla spiaggia sassosa. 11 anni fa avevo dormito proprio sulla 1° spiaggia con 2 amici. Alla sera mangio un nuovo piatto scozzese: arbroath fish. Un pesce grosso come una trota e affumicato. Molto buono e costa solo 4 pound. Voto landscapes: 10.
L 12) Ovviamente piove e piove tutto il giorno. Sia a Stonehaven che a Dundee dove scalo, sia a Stirling dove giungo. Tanto è vero che non posso andare a vedere ne il castello ne il museo di William Wallace. Così è la Scozia. Piove sempre. E se hai culo, becchi 5 h di tregua e puoi gustarti quello che ti eri preposto, altrimenti chiuditi in un pub e guardati o il mondiale di rugby o il calcio. Ma siccome io bevo solo 1 volta per week e devo bere domani che c’è Barça-Milan, io mi chiudo nell’ostello e navigo su internet. Fanculo.
M 13) Piove. Mangio una very tasty zuppa di broccoli e una grigliata mista guardandomi Barcelona-Milan.
M 14) Lascio la Gran Bretagna. Sapendo che tornerò. Perché sempre e ovunque i guerrieri del caos vogliono la rivincita. E batterò anche la pioggia dell’isola più bella d’Europa. A partire dall’Inghilterra, a sud, dove marcerò con le onde.

By Tytanchaos
© 2013 Fabio Author. Tutti i diritti sono riservati.

ISBN  978-1-291-68740-8

giovedì 20 marzo 2014

2011 Tytanchaos in India

TYTANCHAOS & THE ROARING CHAMPIONS
TYTANCHAOS & I CAMPIONI CHE RUGGISCONO


India, Thailand. Marzo 2011.

Domenica 6 marzo) E’ un fresco mattino e la primavera è appena giunta. Ho sempre desiderato partire in primavera, quando il Sole è tiepido e i fiori stanno per sbocciare e i passeri cinguettano allegri consapevoli di un nuovo inizio. Lo desidero da quando avevo 14 anni. Perché l’ aria della primavera è magica e accarezzandomi la pelle mi sussurra subliminalmente: “Ehi amico, sei libero.”
“Yes, i am.”
Ho fatto la formichina per 5 anni e ora vado a godermi parte dei frutti che ho seminato. Lascio la mia pantera nera alle 6.50 e in bici vado alla stazione. I gatti sono intelligenti e ha dedotto che stavo partendo: zaino, vestiti sul tavolo. La felina ha associato subito; ogni volta che tiro fuori lo zaino poi non mi vede per settimane. E infatti ha avuto comportamenti anomali. Ma lei non può sapere che sto andando dalle sue sorellone e dai suoi fratelloni. Chi può battere un gatto in bellezza? Nessuno, nessun uomo o donna. Il suo viso ( non uso muso perché è un ipocrita distinzione specista degli umani), i suoi occhi verdi, il suo corpo nato dalla guerra. Nessuno può batterlo nella civiltà degli umani. Ma dove vado c’è qualcuno che può farlo. E’ un ossessione, una passione primordiale, un amore immutabile. E’ là, migliaia di km più a est, dove nasce il sole ogni mattina. E dove l’inverno non giunge mai. Qui invece il sole brilla sulle alpi  solenni e pure. Le alpi cingono il Monte Rosa che svetta e domina sopra gli edifici di Malpensa. Le alpi splendono bianche fino ai cieli lontani.  Anche se noi figli del caos bolliamo costantemente di lussuria stamane ho particolarmente voglia di fottere le cosce di parecchie viaggiatrici asiatiche compresa la mia vicina di posto filippina. Ma ci sono cose molto più importanti della calda lussuria delle gambe, cose molto più astrali, piaceri completamente diversi: la mia ossessione. E beato io sono materia e magia.
Sul volo Milano-Abu Dhabi inizia il paese dei balocchi: la cucina asiatica. La cucina italiana è una delle migliori al mondo ma l’asiatica, dalla Siria fino al Japan, per me è la migliore. L’ hostess mi porta pollo arabo con mostarda e curry; e io godo. E riso speziato; e io godo twice. Poi mi porta un dolce al cioccolato, caldo e mischiato alla ciliegia. E poi popcorn al cacao. Iniziamo bene. Mi guardo avatar in english e così recupero l’orecchio. Adesso sto per atterrare negli Emirati arabi.
Aereoporto di Dehli. 5.00 del mattino. Mi avevano detto che numerosi cornuti mi avrebbero “aggredito” per truffarmi e invece non mi cagano. La polizia indiana ha il fucile da guerra. Ci sono un sacco di etnie. I sikh ad esempio hanno una specie di bandana-turbante, sono alti e spesso con la barba. Le donne rajasthani hanno dei vestiti bellissimi, dai colori sgargianti e hanno il velo sulla testa. C’è un aroma buonissimo nell’aria: non so che cazzo fumano ma non è droga. E’ troppo buono.
L 7) Dehli airport è come l’ Europa, è come tutto il mondo. E lì prendo un bus per Dehli station, in centro. Sono le 5.40, è ancora buio quando parto. Sono stanco, assonnato, affamato. Ho anche voglia di venire sulle cosce di qualcuna. Sono sicuro di quello che troverò perché sono già stato in Asia. Ma l’ India non è Asia mongolica. E quando sorge il sole e io scendo dal bus a circa 150 metri da Dehli rail station l’ India è solo l’India. Solo uno che viene in India può capire che cos’è l’India. E sono certo che da queste righe nessuno potrà capire che cos’è l’India. Trip? Musica dark? Libri fantasy? Che viaggi mentali sono in confronto all’India? Per quanto riguarda gli sfortunati che prendono parte ai viaggi organizzati, beh loro in verità verranno in India senza stare in India. Ma, beh….io sono lucky. Appena sceso dal bus un cornuto arriva e mi dice: “No, non è quella la stazione: è quella del metrò. La stazione è l’altra.” E mi indica un edificio moderno con militari armati da armi da guerra.
Io: “Brutto cornuto figlio di puttana, c’è scritto a caratteri cubitali: New dehli central.”
Io fermo un tuk-tuk man e gli dico: “Nizamuddin, how much?”
Lui mi spara la sua cazzata.
Io: “Ok, ok, vado un attimo a Dehli central che c’è lo sportello per gli stranieri così faccio prima a fare il biglietto.”
Prima di essere arrivato alla rail station il tuk-tuk man mi raggiunge. Dietro, seduto, c’è anche il cornuto figlio di puttana!! E mi dicono: “Non andare, le biglietterie sono chiuse.”
A parte la cazzata megagalattica, che cazzo ci fa con lui il cornuto figlio di puttana?!Allora vai a fare in culo, ci vado in treno a Nizamuddin….quanto mai…..
New Dehli station, la stazione più importante del subcontinente indiano insieme a Mumbai e Bangalore.Benvenuti in India! Questa è lei: il disastro sul pianeta Terra. La grande madre trasformata dall’uomo in un abominio. La stazione è vecchia, sporca, con una 20na di binari e i cartelli scritti in sanscrito. Numerosi clochard, sporchi, dormono per terra. La massa invece aspetta alla platform i treni. Gli indiani sono infiniti e camminare vuol dire muoversi a rallentatore in mezzo a una ressa da fiera patronale. Ogni secondo mezza dozzina di indiani attraversano i binari sfidando i treni che arrivano. Altri trascinano asini sulla platform. Ora io devo trovare il mio treno in mezzo a tutto ciò perchè il bigliettaio non lo sa, i cartelli sono in sanscrito e quelli elettronici segnano il nome del treno invece della destinazione e della tappa. Chiedo a uno e lui: “Questo biglietto che hai comprato non è del treno ma è solo per l’accesso alla stazione. E poi non ci sono treni per Nizamuddin. Senti, vieni con me che ti porto io con il taxi del mio amico.”
Io: “Ma vai a fare in culo nei campi di grano.”
Wow, 2 europei, è un colpo di culo…non sanno un cazzo. Uno che non è qui non può immaginare la realtà che mi circonda. Vado al binario 1,  ecco ci sono gli uffici, forse ho ancora speranza di prendere il treno delle 7.40 per il mio amore selvaggio. Io entro nell ufficio e chiedo: “Nizamuddin?”
In Thailandia, in Svizzera, in Italia, in U.S, in Turchia o in Indonesia che cosa succede se fai una domanda del genere? A parte il fatto che non c’è bisogno di una domanda del genere perché ci sono i cartelli. Comunque succederebbe una cosa semplice: il treno è quello per  x e parte dal binario y alle ore aa.bb. Ma qui sono in India. Uno dei bigliettai  mi dice: “Nizamuddin….uh, uh, wait.” Fa tre telefonate e dopo 5 minuti d’ orologio mi dice: “Nizamuddin è il treno bla-bla-bla” ( bla-bla-bla è il nome del treno come golden, para, etc, ma non c’è nessuna indicazione sulla direzione) e convintissimo aggiunge: “è il treno 87214573…”
“Ok, grazie amico, adesso è tutto più chiaro, la nebbia è sfumata. Io troverò il treno 8721…3(?)7(?)8(?)… in mezzo a questo inferno. Io lo troverò! The track ?”
“Why?”
“Ah, no, scusa, è un dettaglio irrilevante. Perchè ti ho fatto una domanda così sciocca?....Fanculo, the track, please.”
Per sapere l’ unica cosa che doveva veramente dirmi si rivolge al capostazione e il capostazione fa altre 3 telefonate e finalmente mi dice “7”
Io: “Wow, i get. A che ora?”
Lui: “Ah, questo non lo so, fra le 6.45 e le 7.20.”
Esco con un barlume di speranza dall’ ufficio dove controllano la logistica della capitale dell’India e quindi anche i passaggi a livello e arrivo al track 7. Il treno per la stazione periferica di Nizamuddin è una delle cose più sorprendenti che io abbia mai visto. E’ largo, il pavimento è sporco e puzza di marcio, di liquidi indefinibili, disseminato di umide cartacce del secolo passato e l’ interno potrei descriverlo solo fotografandolo perché si avvicina ma remotamente ai vagoni del 40 per Auschwitz. Il tickettaro passa da un vagone all altro scavalcando un buco, si, un buco. Pochi km e scendo a Nizamuddin e sondo i prezzi. Mi compro una samosa e un paneer cutlet. E a cucinare gli indiani ci sanno fare. La somosa e i paneer sono speziati con sapienza e il gusto è sublime e accompagnato dalla giusta dose di peperoncino. Il loro peperoncino non è solo piccante ma è anche saporito, buono quasi come quello thai. Stanco, assonnato ed eccitato salgo sul treno per il Rajasthan che dovrebbe, dovrebbe…..partire alle 7.40. E invece parte alle 8.20 perché ritardare è una regola qui. E bisogna farlo dall inizio. Le donne rajasthani sono vestite molto stilose. Hanno 4-5 orecchini sull’ orecchio destro, tutti rotondi e d’oro. Uno grosso sul lobo e gli altri nettamente più piccoli fino alla parte alta dell’orecchio. Il livello medio di bellezza è abbastanza basso ( 2 su 10 sono carine, peggio dell’ Italia) ma tutte hanno gli occhi e il viso ammantati da un fascino molto intrigante. Le rajasthani belle mi piaciono. Hanno la pelle scura e i capelli e gli occhi neri. Molte hanno dei sofisticati tatuaggi tribali sulle mani e sui polsi. Il treno parte e voilà, this is India. Ogni minuto passa qualcuno a vendere cibo e cazzate. Ce né uno che vende le cerniere per gli zaini e i pantaloni e volendo te le aggiusta sul momento. Un altro vende degli spiderman di gomma, un altro i deodoranti. Devo spaccarmi 6h di treno senza poter dormire. La mia tenacia mi tiene sveglio. Guarda cosa faccio per te mia adorata, mia ossessione. Solo uno che è stato in India può capire com è il landscape indiano di Dehli periferia. I palazzoni sono lontano, il treno corre di fianco alle bidonville dove gli abitanti sono felici di condividere con tutti la loro vita privata: tipi e tipe che si lavano a cielo aperto, tipi che cucinano a cielo aperto, che dormono su letti nei prati, che lavano i panni ma il bello arriva dopo….arrivano 2 lady-boy e mi dicono in inglese: “Holy sacrifice, holy sacrifice?” Una benedizione sacra? Si sofferma su di me e mi dice: “Give me  money, please.”     
Io: “Why?”
“Altrimenti non puoi ottenere la benedizione.”
Io: “Che benedizione?”
Lui/lei si avvicina al mio orecchio e mi sussurra: “If you dont give me alm for you no women and no buds.”
Io: “Ma tu mi stai ricattando!”    
Lui-lei ridendo ripete: “Warning: no women and no buds. La benedizione è importante.”     
Fanculo, ma questo è pericolosissimo: mi sta deliberatamente dicendo che se non gli do l’elemosina mi maledirà a non avere donne e buds, gemme, intendendo la ricchezza in generale. E chiama il suo ricatto benedizione! Dopo arriva uno che cammina sulle mani e sul culo e ha una gamba in posizione inconcepibile, l’altra, beh, non si vede. Ha una scopa di paglia e si mette a ramazzare il sudicio pavimento del mio posto e di quelli di fianco a me. E poi allunga la mano e dice: “Thank you.”
Superata Dehli il treno viaggia fra i campi coltivati da numorose contadine in rajasthani uniform. Ci sono anche delle interessanti dune rocciose ma scattare una foto è rischioso perché il landscape indiano è disseminato di indiani/e che cagano spensieratamente davanti a tutti. Guardando dal finestrino, praticamente alla media di ogni 5 minuti è possibile individuare una sagoma seduta nel prato o sui binari ; i binari, anzi vanno proprio di brutto qua. Metti un attimo a fuoco e…1, 2, 3, anche 4 alla volta che cagano davanti a tutti, a noi passeggeri,  e magari a 2, 3 metri da quelli che aspettano il bus, a quelli che passeggiano in strada o addirittura vicino a quelli che si stanno facendo uno spuntino. L’indiano gli da un’occhiata, reputa la cosa assolutamente normale e se ne frega altamente. Cagano, cagano, cagano, tutto intorno a noi. Alle 14.00 giungo finalmente al paesino di Sawai Madhopur. Nel giro di 24 h mi sono catapultato dalla boring Brianza al Rajasthan rurale, dopo 2 voli, 1 treno lentissimo e solo 5 h di sleeping. E decine di persone che cagavano intorno a me. In coma trovo l’albergo che ho scelto camminando per le strade del villaggio. Le mucche riposano sedute in mezzo alla strada. Anche se Sawai è piccolo è lo stesso true India. E’ casino totale. Un casino di aromi, profumi, puzze, marciumi, grida, chiacchere, folla e fottutissimi clacson. Gli indiani suonano sempre: beeeee…beeeee…beeeee….per niente o perché intralciati, loro suonano, sempre, sempre, beeee….beeee…mentre le mucche se ne fregano e attraversano e delle sagome  gironzolano fra i negozi e l’asfalto: non sono cani. Che cazzo sono?....Maiali! Hai capito! Ci sono pure i maiali in giro! La mia camera è grande, piena di ragnatele, la doccia non va e devo lavarmi con i rubinetti sotto di essa. I materassi sono alti, vediamo…uhm…quanto una bottiglietta di Coca cola da 600ml messa in orizzontale. Dopo 1h di sonno, il manager ha la bellissima idea di svegliarmi perché dice che il foglio di compilazione con la mia scrittura è illeggibile e bisogna rifarlo adesso. Mai visto un albergatore andare dal cliente a rompergli i coglioni dopo che lo avevo avvisato: “Ho dormito 5h nelle ultime 36 ore, i’m fucking tired.”
Alle 19.00 mi sveglio e vado a mangiare. Le strade non hanno i lampioni e io vago nel buio fra le sagome degli indiani, fra i maiali, le mucche e il traffico assassino e beeeeeee…beeeeeeeee…in centro c’è una festa religiosa e gli indiani ballano e cantano con grande energia. E questa musica e questi canti si mischiano agli eterni beeeeeeeeee…beee dei fottuti motorini e delle fottute car. Mi sembra di essere in un sogno surreale. But this is india. Mi mangio jari rice, buonino e masala potatos, mediocri. Il mitico lassi qui è diverso, inferiore in bontà a quello in Malesia. Niente carne perché il  posto è solo vegetariano. E’ un ossessione, un amore sterminato, una passione furiosa. Ho fatto tutto questo per te. 5 anni dopo ricomincio da dove avevo finito a Khao yai. Domattina, mia amata. Campione dei guerrieri. Bello fra i belli. Animale come l’essenza è. Anche se ancora non so come ci arriverò perché:
“Per Ranthambore how much tuk-tuk?”
“Yes, yes, sul balcone.”
“Ehi, scusi, si lei, c’è il bus per Ranthambore?”
“Beh, prendi la bicicletta sono solo 14 km.”
“Ah, ok, quindi, io passo allegramente in bicicletta in mezzo a 35 tigri, beh, un po’ come cagare sui binari, davanti a tutti, niente di più logico, normale.”
This is India; 7 marzo, il giorno più assurdo della mia vita.
M 8) Vorrei portare mia madre qui per fargliela vedere e anche la mia pantera; rimarrebbe stupita, interdetta, ma capirebbe il pericolo. Commosso, appagato, non ho più nulla da chiedere alla mia vita: me la sto godendo alla grande come un essere umano è nato per fare. Perché è un ossessione, un’amore totale, una passione radicata come il sangue è radicato nelle vene. E nella pazzesca India, la nazione più assurda che ho mai visto io ora posseggo una reliquia nella mia digitale, la foto n° 26. Una reliquia così importante che domani potrei già tornarmene a casa. E come si è svolta la dinamica! In che posizione è uscita quando stavo per scattare, come si è girata dopo, chiusa dai 2 canter! Potente, bella, grossa. Un leopardo o un lupo in quella situazione si sarebbero allontanati minacciando per difesa. Lei no. Lei si è girata, si è fermata, e con gli occhi meravigliosi ci ha detto: “Mi state facendo girare i coglioni, badate a non sbagliare che vi faccio a pezzi.”
Il manager ha la nuova fottutissima idea di svegliarmi bussando come un dannato….(?)
“Se devi andare a Ranthambore devi andare qua, qua e poi qua.”
Quindi tu mi svegli alle 9.00 per spiegarmi una cosa che posso fare in 20 minuti alle 12.00!! This is India. In tuk-tuk vado all’ ufficio di registrazione del National park. Solo uno che viene in India come facciamo noi backpackers può capire la realtà che mi circonda. India is India e nessun altra country è come lei. Mangio sul tetto del ristorante un piatto dal gusto incredibilmente esotico, strano, boh, con delle spezie stranissime. Poi il khir, buonissimo, e poi devo aspettare che aprano gli sportelli. Ci sono un sacco di procacciatori degli hotels e loro hanno interi canter e jeep prenotate coi clienti occidentali degli alberghi; io, un deutsch e 3 indiani siamo gli unici indipendenti e rischiamo di non trovare posto. Uno degli indiani è bravissimo e ci spiega come funziona. Senza di lui capire i meccanismi organizzativi dell’ India sarebbe stato impossibile perché è un caos totale. Perché non esiste nessun paese come l’India. E anche il deutsch lo conferma: “Thailand? Sumatra? No, no. India is special.”
E infatti quando aprono gli sportelli, dove in qualsiasi nazione occidentale ci sarebbe la fila, dove a Napoli ci sarebbe un pò di agitazione e dove in Indonesia un pò di frenesia, qui in India scoppia la guerra. Una delle guide si mette davanti allo sportello, con le mani contro il muro e spinge contro la parete in continuazione per impedire ai 15 procacciatori asserragliati dietro la sua schiena di schiacciarlo contro il muro e di scavallarlo. Grida, litigi, ecco tanto per far capire a un europeo cosa succede: la stessa cosa che succede a un ultra del Boca  juniors in curva, quando segna il Boca e lui è contro il parapetto dell’anello. Uno dei procacciatori ha 9 disdette! Il destino viene in mio soccorso! Ci dice:  “Datemi i vostri nomi.”
Io, il deutsch e i 3 indiani dell’Uttar pradesh obbediamo e così dalla guerra, dalle spinte, dagli urli, da uno che rischia di prenderle da 2 guide…..voilà, abbiamo i nostri posti. Io e il desutsch aspettiamo al cancello l’arrivo del nostro canter. Proprio davanti al gate c’è un canale che gli indiani hanno trasformato in un orrore vivente-morente: il Seveso e l’Olona al confronto sono ruscelli valdostani: l ’acqua nei pochi squarci dove si vede, è grigia, per il resto è satura di ogni sorta di immondizia: latte, lattine, carta, plastica, vestiti. Il “fiume” ucciso ha un affluente. Qui l’acqua è altrettanto grigia ma puzza un po’ di più e c’è un maiale che sguazza in mezzo all’orrore. I maiali girovagano per le strade e sono ben  in carne perché mangiano di tutto, i cani invece non possono essere guardati da uno che ha un briciolo di sensibilità; rachitici e ignorati, alcuni si adagiano sul fianco dei marciapiedi, sul bordo della strada, sotto il sole tosto e lì si lasciano morire. Fortunatamente di sera qualche leopardo esce dalla foresta di Ranthambore, giunge al villaggio di Sawai e pone fine alle loro sofferenze con la sapiente, splendida tecnica che solo i felini e i pantherini hanno. Accarezzo una mucca e salgo sul mio canter. I canter sono camioncini alti, senza tetto, fatti apposta per i safari. Qualcuno dal basso, dalla strada mi tira la maglietta: è un bambino e mi dice: “It’s my cow, give me 100 rupees for buying grass.”
Io: “Ma non dire cazzate che mangia l’erba dei prati.”
Il bambino mi tormenta per 30 minuti d’orologio, non demorde mai  e nonostante io parlo col deutsch lui continua e ogni 5 secondi ripete: “100 rupees, it’s my cow.”
Finalmente partiamo. La nostra guida è in gamba, si vede dalla faccia. Il canter entra nella foresta di Ranthambore. Io sono in mezzo a loro. Ai miei amati campioni che miagolano. Ovviamente si tratta di una foresta grandissima perché i campioni miagolanti hanno bisogno di un territorio vastissimo. La foresta è come un puzzle. Ogni pezzo confina con l’altro e ogni pezzo appartiene a uno dei campioni che miagolano. E qui ce ne sono 35. I  territori dei leopardi invece si sovrappongono a quelli del più forte mammifero del pianeta. Essendo il Rajasthan a una determinata latitudine, Ranthambore non è assolutamente una jungla ma una foresta tropicale secca. È ampia, nel senso che gli alberi sono a distanze di circa 10 metri fra di loro. L’albero più bello è il baniano. E’ uno spettacolo botanico che dimora grosso, basso e chiaro in mezzo agli altri alberi. Ha il tronco diviso in tanti fusti che si incrociano come radici verticali. Sono passati solo 20 minuti dal mio ingresso. Il canter si ferma. La singapore-lady dietro di me dice al marito: “I’m so exited.”
A 5 metri da me la gattona esce dal sottobosco e potente, bella, alta  e grossa cammina in uno spiazzo fra il bush. Proprio mentre scatto la pics n° 26. La mia reliquia. E’ alta, una macchina da guerra. Il ranger dice che è una femmina. Gli altri canter hanno capito perché ci siamo fermati e arrivano dalla parte in cui sta andando la micia. Il nostro canter fa la retro. Lei esce sulla sterrata. Puttana, se è grossa! Cammina calma e saggia. Arriva il 1° degli altri canter. Praticamente è chiusa fra noi e loro. A lei non piace questo movimento. Lei è sempre in guerra, sempre in malizia. Perché non esiste nessun fottuto istinto, gli animali  pensano, niente di più scontato e semplice.  E infatti si ferma. Si gira e ci guarda. Non ci guarda come mi hanno guardato i lupi e gli orsi. Ci fissa, solo un breve attimo e quegli occhi ci dicono: “Vi faccio a pezzi quando voglio, badate a quel che fate.”
Poi devia nella foresta, si ferma, e controlla se la stiamo seguendo ancora, e poi la tigre svanisce nel suo dom. Boh, il mio viaggio di 90 giorni può anche finire qua. Il safari prosegue per 2,30 h. Seguiamo un bel canyon fra i bellissimi baniani e sotto dei contrafforti di marrone roccia basaltica. I contrafforti antichi sono bellissimi come tutto ciò che  è selvaggio. Incrociamo un sacco di animali: i cervi sambar 5-6 volte; i maschi con le corna lunghe duellano lungo i fiumi. Branchi e branchi di chital: sono cervi più piccoli, sono i bambi, maculati con macchie bianche e la guida li chiama “tiger supermarket”; un grosso gufo, 2 specie di pappagalli; tantissimi langur-duca: sono scimmie bianco-nere. È spettacolare quando scattano e volana da un albero all altro. Tanta potenza e agilità; l’aquila dei serpenti; lo stupendo nilgai, un antilope alta come un alce. Ha le corna corte e la pelliccia grigia; E in uno dei 2 laghi i dinosauri: 3 coccodrilli. Alla sera mangio riso kashmir ( riso, uvette, anacardi, spezie, etc) e dhal piccante. E’ difficile trovare posti che cucinano carne. Sono quasi tutti vegetariani. Poi mi sparo 4 gustosissimi dolci indiani. Sono dei cubetti morbidi ognuno di colore e gusto differente. Peccato che il pasticcere mi da il resto gettandolo sugli altri dolcetti. India is India, India is special. Tigre sei mia.
M 9) Il viaggio in treno è breve (2h). Le mie vicine sono 2 tipe rajasthani. Hanno i tatuaggi sulle mani, i braccialetti intorno alle caviglie e gli anelli sulle dita dei piedi. Mi piace un sacco il loro modo di vestrirsi. Devono essere formazioni della Vindhya range le strane montagne che si ergono dalle pianure coltivate del Rajasthan. Sono montagne basse, sembrano fatte di sabbia e sembra che debbano sgretolarsi al minimo cenno di tempesta. I boschi crescono radi con gli alberi distanti fra di loro che macchiano ma non coprono l’antica superficie dell’Asia. Su alcune di esse ci sono bastioni e forti colossali. Arrivo a Jaipur, la città rosa. India is India. India is special. Fanculo alla civiltà umana. Civiltà, puah, che gli umani imparino dai predator e forse allora potranno stare su questo pianeta senza stonare con esso. Che cos’è la Terra dove l’uomo non l’ha toccata? Che siano foreste, ghiacciai, colline, che siano coste incontaminate, che siano anche paludi, la Terra è bellezza, potenza ed è un paradiso. Ed è pulita. Che cos’è la civiltà umana? È bruttezza, debolezza e sporcizia. Jaipur è merda. Le città generalmente mi danno una totale noia, qui invece mi fanno letteralmente schifo. Uno schifo superiore a quello di luoghi devastati dal nulla e dal vuoto come l’ hinterland milanese o le cittadine brianzole. Jaipur va al di là del vuoto. Jaipur è l’opposto della Terra. È merda. È puzza; gli indiani pisciano all’aperto, sul bordo delle strade, davanti a tutti. Per avere idea della situazione uditiva invece, uno deve calcolare il traffico di una metropoli e deve calcolare che ogni indiano in 100 metri di strada suona almeno 5 volte. Beee….beeeee…beeee…ci sono persone sporche da capo a piedi che dormono contro i marciapiedi, sotto il sole cocente, fregandosene dell’ombra, vicino ai poveri cani, creature dal destino dannato. Se mi fermo a guardare la cartina vengo circondato da 2-10 scassacazzo che mi rompono i coglioni senza alcun ritegno. Se cerco qualcosa sulla cartina poi nella realtà non trovo un cazzo perché in questa country non si capisce un cazzo. Casino e folle ovunque, questa è l’India. Sono tantissimi questi indiani. Se chiedo a qualcuno un informazione chiunque cerca di portarmi in qualche negozio, o sui tetti!!!
“Onto my roof you will get a wonderful view of the city. Just 200 rupees.”
Peccato che non mi fotteranno mai….andate a fare in culo! Ogni 10 metri qualcuno mi chiama per scassarmi il cazzo. Appena sceso dal treno un rottoinculo mi segue e mi racconta cazzate:“Non sono di qua gli alberghi.”
Io: “Rottoinculo figlio di puttana io vado dove cazzo voglio!”
Questo cornuto, grandissimo figlio di troia e di puttana mi segue e mi parla per tutti i 20 minuti di strada che mi separano dalla mia guest house. E dove cazzo sarà la fottuta guest house? Per fortuna becco un’europea e lei mi da la dritta per un’altra. Stesso prezzo, good. Il cornuto, imperterrito, sfidando la mia ostentata indifferenza, sale addirittura nell’ albergo perchè io devo parlare con il receptionist (che in qualsiasi nazione sarebbe nella reception, ma non in India!). Dov’è?! Chi è?! Mah. Il tipo si presenta dopo 20 minuti e il cornuto torna affiancato da un altro scassa cazzo che mi vuole rifilare escursioni e cazzate varie. Per levarmeli dai coglioni gli do puntello alle 19.00.
“Ok, ok, alle 19.00 mi portate alla gym. E quanto costa?”
“E’ free, in India il 1° giorno non si paga.”
È certo! Ma che anima buona, mi vogliono solo accompagnare…..
Uno dei cornuti dice pure: “I soldi vanno e vengono, l’amicizia resta.”
Ma che filosofo, che poeta…..e così siamo amici!Ma che anime gentili…..
Finalmente mi mollano, io esco a piedi e vado verso la città rosa e imparo la lezione: in Thailandia si può, a Sumatra si può trovare quello che si cerca da soli, qui, in India è impossibile. Non si capisce un cazzo, non si capisce neanche come attraversare la strada. E così finisco in un quartiere che non c’entra un cazzo. È l’unico posto dove vendono carne. Sono vie lunghissime, non vicoli perché non sono scemo, ma strette. Hanno le capre nelle gabbie, in strada, fra gli infiniti indiani che camminano nel casino più totale. Uno dei macellai ha una decina di zampe mutilate e ancora pelose sul banco. Non ha congelatori ne refrigeratori e la carne è dietro, attaccata di brutto dalle mosche, ma vende parecchio.  I bambini si abbassano i pantaloni e cagano sul lato della strada, davanti a tutti, a 2-3 metri dalle bancarelle, gli adulti, donne comprese, si limitano a pisciare. Una gang di bambini puzzolenti e sporchi si unisce e mi segue chiedendomi l’elemosina. Appena li mando a fare in culo e gli faccio cenno di andarsene mi arriva un sasso sulla schiena. Io mi giro e li rincorro per menarli. I negozianti e gli adulti allora li sgridano e si frappongono per proteggerli. Fanculo, devo trovare il modo di andarmene da qua senza finire nei vicoli dove la situazione peggiorerebbe. Ma questa via di merda, in questa città di merda è lunga, affollata e non si capisce se sbocca su qualche stradone o finisce in qualche ghetto del cazzo. Wow, vedo una piazza, un nugolo di fottutissimi tuk-tuk. Wow, sono salvo. Ho imparato la lezione su questa country. Ok, fottuto tuk-tuk man portami qua. Naturalmente dopo la guerra per contrattare il prezzo, il tuk-tuk man all’arrivo non ha il resto…ma guarda un po’ che casualità….da Panch patti riesco così a raggiungere il famoso Hawa Mahal. E solo grazie alle indicazioni dei turisti euro-americani! L’ Hawa Mahal è un palazzo stranissimo, fantastico che mi ricorda un alveare rosa. All’ interno dell’ Hawa mahal ci sono gli unici minuti in cui nessuno mi scassa il cazzo. E fra l’altro, esteticamente,  è una gemma in mezzo all’inferno. Uno degli edifici più belli che ho mai visto. Perché l’India is special. È un contrasto di meraviglie architettoniche che dimorano da secoli in mezzo a città infernali. Dall’alto si vede un altro forte mastodontico che domina Jaipur cingendo letteralmente il perimetro sommitale delle collina. Al city palace non entro perché so già che non mi piace; il Jantar invece è un osservatorio astronomico che alla vista appare come un parco costruito da un fissato di geometria. Mai vista una cosa del genere. India is special. Una mia amica argentina in Thailandia mi aveva avvertito: “In India per fare 100 metri ci metti mezz’ora perché ogni minuto ti capita qualcosa.”
Quello che in qualsiasi luogo avrei fatto in 1h qui ci metto 4h!! Vado a mangiare in un ristorante di lusso. Una lunga sequenza di thali, una specie di focaccia del sud, il dhal e il lassi. I piatti del sud mi piaciono parecchio, sono fottutamente esotici, stranissimi, quasi dei viaggi mentali. Il lassi e il dhal non sono squisiti com’erano in Malaysia. Perché? Devo approfondire la questione. I thali sono buonini, livello 6. Nulla di più. Esco e vicino alle mura rosa di Jaipur ci sono elementi devastati dalla povertà e da se stessi secondo me. Totalmente sporchi dormono contro le mura rannicchiati vicino alla munnezza mentre il sole del Rajasthan picchia forte. Ma vai a rubare, a rapinare, uccidi piuttosto, ma chi cazzo te lo fa fare di vivere così? Solo uno che viene in India e li vede dal vivo può capire la realtà che mi circonda. Mai viste scene così. Avevo già visto la povertà in Indonesia ma era una povertà dignitosa e pulita. Ma così no. Uno deve venire qua per capire. Vado dai tuk-tuk men e scoppia la guerra. Sono in 4, iniziano con un prezzo raddoppiato, io tiro, tiro giù. Un altro interviene e abbassa di 10 rupie.
Io: “Ok, andiamo.”…..
….It’s war. Lo attaccano in 4 contro 1. Uno ha gli occhi sbarrati in un espressione folle, sembra che vuole ammazzarlo. Interviene un giovane e dice di sedermi pure sul tuk-tuk del tipo che ho scelto. Poi si mette in mezzo e libera il mio driver dall’ira degli altri. Prima di partire passano 2 minuti di insulti e minacce. India is India. Mai viste scene così. Torno così al mio albergo e con un’ora di ritardo per evitare i rottinculo e invece eccoli lì, che mi aspettano. M’invento che sono stanco e per evitare che domani mi seguano  gli dico di aspettarmi alle 14.30 che andrò con loro a un castello fuori città. Fanculo, mi desterò alle 7.00 e fanculo a Jaipur. Sul tetto conosco uno scozzese che è interessato ai miei trekking nei paradisi selvaggi di mezzo mondo.
G 10) Dormo male e poco, mi sveglio con un fottuto mal di gola e prendo il bus alle 10.00 lasciando la merda-Jaipur e i 2 cornuti ad aspettarmi famelici alle 14.30. Eh beh, ih, ih, ih…..il viaggio in bus dura fino alle 18.00. Per soli 300 km. Lasciando merda-Jaipur l’India è un vasto campo coltivato interrotto da 4-5 città e poi, a ovest diventa sub-deserto. Dove l’uomo è scarsamente presente la Terra respira, dove la Terra respira noi figli del caos respiriamo lei e godiamo. Dove la Terra è coperta d’asfalto e cemento la Terra è un gigante incatenato che ringhia rabbioso e noi figli del caos sentiamo la sua ira e odiamo per lei. Nella parte finale del viaggio nel sudeserto del Rajasthan passiamo fra colli alti poco più di 100-150 metri. Sono di roccia grigia e levigata, liscissima. Sono belli di brutto e posso catalogarli come formazioni della stessa famiglia della Cappadocia e del Wadi Rum (anche se nettamente inferiori in bellezza). Mentre sono fermo in un autostazione un tipo, da terra, mi chiede dove dormo a Jodhpur. Penso che sia uno dei soliti procacciatori scassa cazzo ma mi da un volantino e mi dice il prezzo. Eh, beh, così è meglio: posso trovare subito un letto senza perdere tempo. Ok. Il tipo si segna il mio nome (siamo ancora a 150 km da Jodhpur). Arrivato a Jodhpur non faccio in tempo a scendere e uno dalla ressa degli aggressivi tuk-tuk men esce e mi dice: “You Fardo?”
“Ah, veramente sono Fabio, ma ok, ci siamo capiti.”
E così mi porta alla Baba gh, nel cuore delle mura della città blu. Al contrario di Jaipur, Jodhpur è una figata. C’è una ressa incredibile nei piccoli vicoli che si snodano nella città cinta da mura ma è una figata, è una città di tipo medioevale. Le case, chiamate haveli, hanno il tetto a terrazzo e sono scolpite con miriadi di sofisticate “modanature” e parecchie sono completamente colorate con un blu sgargiante e caldo. La mia gh è pulita, tenuta bene, ottimo prezzo, e sul terrazzo ho una vista eccellente sul maestoso forte Merengarh e sulle miriadi di haveli dipinte di blu. Mangio con una scozzese molto carina, biondissima, che dipinge quadri di lavoro. Sia le 4 samose che il riso speziato che mangio oggi sono piatti mediocri. Buonini, nulla di più. In Malesia la cucina indiana era un mix di sapori sublimi e sconosciuti all’occidente. Il dhal in Malesia era una leccornia, il lassi anche. Qui è tutto mediocre a parte le samosa di Dehli. Mi da la spiegazione un tipo. Dice che in Malesia non ho mangiato indiano, bensì le varianti malesi dei piatti indiani. Oh, cazzo, crolla un mito e se ne rinforza un altro! Quindi nuova verità: cucina malese autoctona the best in the world; cucina indiana-malese la seconda migliore del mondo. Cucina indiana retrocessa in basse posizioni. Però il tipo mi dice: “Guarda che qui stai mangiando rajasthani, nelle altre regioni, già  che vai nel Gujarat, cambia tutto.”
Uhm, vedremo. Intanto, siccome sono in anticipo sull’itinerario sto maturando una deliziosa tentazione. Devo solo studiare la mappa dell’India….è come una droga e la voglio ancora. Mi sa che andrò a morire prima o poi. Oggi ho informato mia madre dell’incontro con la campionessa giallo-nera e lei si è presa malissimo. Non può capire cosa sia per me quella gatta lunga 2 metri. È una droga. Il tipo della guest house sostiene che quando era povero nessuno gli parlava e ora invece gli leccano il culo e lui odia questa società. Beh, allora gli indiani sono già arrivati dove vogliono arrivare gli italiani e dove sono già arrivate le donne italiane.
Io: “Ora tipo, io ti spiego la filosofia matematica che alberga nei sensi ricettivi di noi figli del caos. Noi non abbiamo un guru ma arriviamo tutti alla stessa conclusione: il desiderio di ricchezza è nel cuore degli esseri umani perché è generato dal male che c’è in essi. Questo male è l’invidia, che è il più sporco fra i mali. Dal momento che uno è inferiore geneticamente o naturalmente, desidera battere gli altri con mezzi sleali e quindi inizia a desiderare la ricchezza. Questa è la radice del desiderio di ricchezza. Perché è il mezzo con il quale cercherà un riscatto illusorio dalla verità immutabile della natura: ricco o povero se la natura ha deciso che eri scarso rimani scarso. Se invece la natura ha deciso che sei il forte rimani il forte, da povero o da ricco. Il desiderio di ricchezza va a braccetto con il vuoto interiore che è altra merda.  E i fatti dicono chiaramente chi è più soggetto a questo stato di inferiorità interiore. E la moderna cultura sociale coccia ridicolmente e pateticamente contro la verità dei fatti….l’essenza è maschia, chi si situa in questa essenza gode del suo ego e realizza le verità tecniche. Chi si allontana dall’essenza maschia, cade nel vuoto, commette ogni sorta di abomini contro la dignità e vive per niente.”
E il bello è che gli umani si atteggiano a superiori verso gli animali selvaggi. Dove sei superiore essere umano? Dove? Presentandoti con il kalashnikov contro uno disarmato, come fanno i codardi? Oppure costruendo inutili gingilli-giocattolo che chiami soprammobili, gioielli, auto….oppure giocando al cash-game mentre gli animali selvaggi sopravvivono nella società più dura del mondo (la foresta)? Dove sei superiore? Comprando tua moglie al mercato delle offerte? “Che lavoro fai? Lo stipendio? Ah, ok sono innamorata….” Oppure riducendoti a una cagna che non capisce neanche come deve prendere il cazzo? Puoi vestirti come vuoi umano, addobbarti come vuoi. Ma io e le tigri rimaniamo i belli e tu il meno bello o il brutto. Quando gli umani si comporteranno con semplicità e cioè instaureranno relazioni d’amicizia veritiere, allora saranno ai livelli degli animali selvaggi. Quando invece si comporteranno in maniera equa e giusta e filosofeggeranno allora saranno superiori. Perché finora umano is lower.
V 11) Ho mal di gola e un accenno di febbre. Il sole del Rajasthan arde duro sopra di me. La luminosità del nostro astro qui è superiore rispetto agli standard europei e infatti ieri i primi secondi che gli ero esposto faticavo a vedere. Vado al forte Merengarh. Un forte maestoso in altezza e enorme in ampiezza. I bastioni, le torri militari e i merletti sembrano fusi con la parete della collina. La parete è nuda con fenditure naturali e colossali. Ovviamente l’architetta suprema, madre natura, ci mette parecchio del suo nella pagella di bellezza del castello. All’ interno della fortezza bellica ci sono i palazzi residenziali. Opulenti, sfarzosi e  enormi, sono scolpiti con minuziosi e spettacolari disegni di pietra. Le torri si protraggono dai cortili e dalle pareti ondulate della collina e sono anch’esse scolpite con grande maestria e mi ricordano i castelli delle fiabe. Dai bastioni si vede Jodhpur, la blu. Perché una fetta consistente delle haveli sono blu e la città sotto il castello è spettacolare. Sicuramente Jodhpur è una delle città più belle che ho mai visto. Con Ayutthaya forse la più bella. C’è un indiana che mi da puntello mentre il suo ragazzo sta fotografando dall’altra finestra. Spaccato dall’influenza, dal clima torrido, dal fottuto jat lag, dopo 3h, torno a piedi e poi vado a fare body building in una gym imboscatissima. Appena entro vengo squadrato da tutti gli indiani e appena carico la panca vengo circondato. Gli indiani mi prendono per il culo e sono curiosi. Non so perché sono così stupiti dalla mia presenza. Allora inizio a prenderli per il culo anch’io e faccio amicizia. Alla sera mangio ancora mediocre: il secondo è piselli, patate e crema tandoori.
S12) Lungo viaggio verso Jaisalmer. Dopo pochi km che iniziamo a dirigerci verso ovest, il territorio diventa subdesertico. Piccole, belle dune sabbiose sono chiazzate da decine di alberi isolati. Sono alberi tipo l’acacia africana e sono distanti qualche decina di metri fra di loro. Intorno agli alberi non c’è sottobosco o erba ma solo sabbia. Attraversiamo anche un tratto gustosamente strano: una stretta valle depressa nel subdeserto: stretti pinnacoli di sabbia salgono verso il livello della strada e sopra ognuno di essi cresce un albero! Attraverso anche una vasta steppa e un altrettanto vasta boscaglia di pianura dagli alberi divisi da meno di 20 metri di sabbia. Questa boscaglia confina con l’orizzonte. Arrivato a Jaisalmer vado a mangiare  montone al curry con un canadese. Poi lui mi porta in un locale che non mi piace. Mi diverte ciò che vende ma non mi piace quello che potrebbe succedere se la polizia volesse far succedere qualcosa….è gestito da un pakistano. Ha apposto il cartello: autorizzato dal governo a vendere bang. Siccome non può vendere marijuana da fumare ha ideato un menù legale con cui può sballare la gente: the alla marijuana, succo di questo alla marijuana, shake di quell’altro alla marijuana, biscottini all’ hashish etc.  Lui e altri 3 canadesi si sballano. Io no. Mentre loro si divertono vedo coi miei occhi i movimenti che il pakistano fa coi suoi nascondigli improvvisati al passare degli agenti. Fanculo, non ci metterò mai più piede. Il proprietario della mia gh è un rajput: discende dalla famiglia reale, appartiene alla casta degli ksatriya, i guerrieri. Ostenta parecchio il suo potere. Non lo sa che c’è una creatura del caos e della guerra in una delle sue stanze.
D13) Già da Jaipur, dopo solo 3 giorni, l’India mi aveva già rotto i coglioni. Cosa? Quasi tutto. L’unico obbiettivo per cui non compro subito un volo per Bangkok è che per principio io devo portare a termine tutti gli obbiettivi che mi sono preposto. Ma veramente mi sono rotto i coglioni, in primis del rumore. Il vizio del cazzo che hanno gli indiani di suonare ogni 30 secondi (per effettuare i loro sorpassi del cazzo) mi infastidisce parecchio. La seconda cosa che mi ha rotto il cazzo è la discarica a cielo aperto che è una città indiana. La 3° cosa è la puzza: bambini e adulti si fermano sopra le orribili latrine e pisciano senza ritegno. Uno però dall’estero non sa che le latrine scorrono abominevoli di un bianco schifosissimo fra il marciapiede e la strada. La 4° cosa è il clima.: detesto i climi caldi-secchi. Dall’ Italia del sud, passando per la Turchia e finendo in Rajasthan mi sento prosciugato come questa stessa terra. Proprio non mi piace, mi fa sentire fuori-armonia col mio corpo. La maggior parte della gente detesta invece il clima caldo-umido. Io invece adoro il caldo-umido: 40°, umidità 80%. Io desidero di essere in Malesia, a Krabi, nella giungla del Borneo. Adoro quel caldo, adoro sudare e non mi sento assolutamente senza fiato. I 3 motivi per cui non volo subito verso Bangkok: 3 io porto a termine i miei purposes a ogni costo; 2 i leoni di Sasan; 1 il mio amore sterminato: le tigri. La 5° cosa che detesto di questo paese è il cibo: o meglio non lo detesto ma è mediocre, lontanissimo dai piaceri sublimi di 5 anni fa del thai-food, del malay-food, lontanissimo dalla semplice bontà dell’italian-food, e anche dalla saggia abilità deutsch di cucinare la carne e i dolci. Ah, beh, comunque è un’ esperienza. E comunque ci sono anche delle cose di straordinaria bellezza: il forte di Jaisalmer è mastodontico, con bastioni e torri possenti. Percorro tutto il suo perimetro esterno: (anche se ogni 10 secondi qualche indiano mi rompe i coglioni proponendosi come guida, taxista, sarto, lucidascarpe, arredatore della mia casa in Italia…) il forte è di roccia gialla, i bastioni e le torri hanno i merletti; all’ interno c’è una città: è una delle poche occasioni rimaste al mondo di camminare in una città medioevale intatta. Perché Roma è costituita da rovine, sparse, Efeso è tutto rovina, etc. Jaisalmer invece è integra: fra i vicoli le pareti delle case di pietra gialla sono scolpite con minuziosa sapienza. I balconi, le finestre, le porte sono intagliate con capillari opere di grande bellezza. Tutte le case sono antiche, diverse e graziose. Un architettura secondo me molto più bella di quella dei romani. Affascinanti templi jainisti sembrano soffocare fra gli angusti spazi della città antica. Ecco, posso dire che fra tutto quello che non mi piace di questo paese, però i castelli e le opere architettoniche importanti sono sicuramente le più belle che ho mai visto assieme a quelle thai. E posso dire di poterle confrontare con quelle di tutta Europa (Iberia esclusa). Nei vicoli incontro una tipa dalla pelle praticamente nera, solo che non è nilotica. I lineamenti non sono rajasthani. Lei mi dice che è del Kerala, India del sud e mi dice che è la terra adatta a me: clima umido, cucina deliziosa. Decido di non andare nel deserto perché a causa della lentezza dei trasporti non avrei tempo per tornare dai miei amati gatti-guerrieri. E’ fottutamente problematico organizzarmi per raggiungere in tempo la foresta: e questo può succedere solo in India: India is special. Solo in India posso metterci 3 ore a capire come andare nel Madhya Pradesh (per poi scoprire che non farei in tempo a tornare….). Adesso devo scegliere fra Ramganga, ai piedi dell’Himalaya, oppure una delle 4 foreste del Madhya: Panna, Pench, Bandhavgarh o Kanha. Aha, dimenticavo la 6° cosa che mi ha rotto i coglioni dell’India: ogni giorno consumo 2 fialette di enterogermina e 2 antibiotici per il mal di gola. Io e il canadese andiamo a mangiare in un altro ristorante. Stavolta me la godo: pollo tandoori e poi pecora roger juice. Domani lascio il Rajasthan. Non vedo l’ora. Spero che in Gujarat si mangi diverso e che ci sia meno casino. La mia gatta mi manca.
L14) Al ristorante che ho trovato sto mangiando molto bene. Oggi mangio pollo tikka: pollo a pezzi marinato in una salsa cremosa. Ottimo anche il naan, pane all’aglio. Questi hanno i forni tandoori e tutto è più buono. Vanno a carbone! Fra internet e food tiro le 17.30. Poi, con una inglese e una deutsch prendo il bus per il Gujarat. A volte devo tradurre l’inglese degli indiani agli inglesi ma stavolta la situazione è da special India; solo in India possono succedere certe cose: un tipo si siede di fianco alla londinese. E gli propone qualcosa. Lei non capisce e mi chiede di tradurgli: il tipo ha una tenaglia (arrugginita) da muratore e altri aggeggi metallici in un sacchetto: vuole fargli un piercing al naso!! Ed è convintissimo. Lei risponde con un mix di terrore e tirate di culo. Sul bus c’è un etnia che non avevo mai visto prima. Le donne sono quasi tutte carine e me le scoperei alla grande. Hanno il sari diverso dalle rajasthani, sono basse di brutto (1,50), hanno la pelle color delle senegalesi e il viso è un mix nilotico-europeo ma non è né l’uno né l’altro. Sono anche tettone. Ma sono fottutamente timide e non riesco a soddisfare la mia curiosità. Viaggio nella notte stellata, sulla branda. Arrivo ad Ahmedabad di notte, alle 3.30! Gli dico a un tuk-tuk man di portarmi al mio albergo. Dopo 300 metri il cornuto s’inventa che è chiuso. Allora fermo il suo tuk-tuk del cazzo e lo mando a fare in culo. Ormai sono in procinto di menare qualcuno perché mi hanno rotto i coglioni. Allora il figlio di troia che ha anche la sorella puttana mi segue per tutta la via scassandomi i coglioni con le sue proposte-truffa e nonostante la mia indifferenza non demorde; appiccicoso come un cane e sudicio come un maiale vede che non può fottermi e allora ogni volta che devio verso una guest house, lui scende dal tuk-tuk, corre, mi supera,  imbocca le scale e mi precede alla reception fingendo che mi ha portato lui. Non posso trovare i miei 2 alberghi, questa è l’India. Tenendo a bada gli assalti dei cani randagi e con la “musichetta” del tuk-tuk figlio di troia che mi assilla torno a piedi alla stazione e attendo il treno  per Junagadh. Ovviamente dopo un ultima litigata  con il figlio di troia.
M 15) Stanco per un sonno che non posso soddisfare viaggio nella penisola di Kathiawar e approdo nel cuore del Gujarat, a Junagadh, a poche decine di km dai gatti più potenti del genere panthera. Una tigre è un guerriero del caos, una fiera libera e anarchica, come tutti i panthera e i felinae. Paradossalmente, il leone invece è il re per eccellenza. Pigro, intelligente, scaltro, potente, coraggioso, fiero, così è il leone.  È un essenza affine ma diversa a quella dei giaguari o delle tigri, è un coraggio diverso. Domani spiegherò perché i leoni vivono in branco e perché le leonesse in pratica li servono ma sono socie e non suddite. Non c’è niente di mentale, non ci sono cazzate, tutto è tattica e la tattica viene dalla tecnica. Così è la natura delle cose e con le ridicole spiegazioni di troppi rincoglioniti che si laureano, che studiano, studiano e poi non ci capiscono un cazzo posso solo pulirmici il culo. Perché l’intelligenza è mia. Mangio un thali sul treno e poi scendo a Junagadh dopo 7 h di treno fra i campi coltivati e gli slums del Gujarat. Solo verso la fine ci sono delle interessanti montagne in lontananza. Ci sarebbero anche dei bei fiumi ma sono neri per l’inquinamento e gli  uccelli sono costretti a pescare in quella merda. Gli uccelli sono tantissimi, di diverse specie. I bambini fanno il bagno nei fiumi avvelenati e gli adulti lavano i piatti e i panni nell’ abominio. Intorno la spazzatura, ai bordi della strada e delle favelas, macchia  ininterrottamente il landscape indiano. Una fogna a cielo aperto. Inutile dire che gli slums sono schifezze che è impossibile non guardare. Rivoli di fogna e latrine superficiali scorrono fra le catapecchie e i bambini, a piedi scalzi, le attraversano ridendo e giocando. A Junagadh i tuk-tuk men non rompono eccessivamente i coglioni e alla mia indifferenza condita da insulti loro rispondono ridendosela. Scendo in canottiera e pantaloncini, ci saranno 40°, e me ne fotto il cazzo del fatto che tutti  mi guardano perché gli indiani sono in camicia e pantaloni lunghi. Le 3 moschee che becco poco fuori dalla stazione sono assolutamente eccezionali. Sono antiche. La pietra è bianco-grigiastra. I minareti della Maqbara sono indipendenti dall’edificio e delle scale a chiocciola di pietra le avvinghiano a spirale come serpenti attorcigliati da secoli. Assolutamente bellissima. Fortunatamente trovo una guest house in centro a 150 rupie. Il personale è gentile e non mi scassa il cazzo con nessuna proposta di tour etc. 1° volta che succede in India. La città è disseminata di negozi e bancarelle che fanno spremuto al momento, shake e se vuoi anche con il gelato. La frutta la spremono al momento. Dopo aver selezionato il negozietto più rassicurante da un punto di vista igienico mi sparo 2 spremute di mango ghiacciate e 1 shake, sempre al mango. Ci metto 10 minuti a finirne una, 10 minuti da ricordare per sempre…paradisiache! I pasticcini qui sono più buoni e costano solo 4 rupie. Alla sera mangio riso basmati al pesce fritto, ottimo, e poi pollo jaipuri. Il pollo è coperto da un sugo buono, strano e ovviamente piccante. Peccato che si tratta di ossa di pollo e la carne va poi cercata…2 piatti buoni ma per questo motivo l’India rimane un paese di merda  come l’Italia e la Turchia.
M 16) Giornata di relax fermo a  Junagadh. Mi fermo apposta per pompare nella gym della cittadina. Con le scritte in sanscrito e l’impossibilità di chiedere ai dealers (per non essere assalito dai tuk-tuk men) ci metto 40 minuti per trovarla. Ma apre alle 17.00 e così ozio. Mi sparo 4 bicchieri di succo di mango dal mio dealer preferito: prende il mango e te lo spreme davanti agli occhi aggiungendogli solo ghiaccio; è una bevanda così buona che devo sorseggiarla poco alla volta e tenerla sulla lingua  per un po’ prima di buttarla giù. Poi vado dal mio pasticcere preferito e mi prendo 7 dolcetti. Sono palline o cubi grossi e gommosi; eccellenti. Alla gym conosco un bordello di curiosi che si chiedono che cazzo ci fa un western a Junagadh e nella loro gym! In 2h faccio tutto tranne le gambe e la schiena. La maggior parte dei gujarati è vegetariana e sviluppano muscoli asciutti e longilinei alla mongolic type.  Ce né solo 1 grosso e prorompente, vegetariano. Dice di essere della casta ksatryia, i guerrieri, uhm, non è un caso! Entro nel cortile delle 3 moschee. La più bella, la Maqbara, ha i 4 minareti indipendenti dall’edificio e le scale intorno salgono a spirale fatte di roccia vecchia. Numerosi scoiattoli chipmunk  si arrampicano e sgattaiolano frenetici lungo le mura grigio-nere. Tutte e 3 le moschee molto belle ma la Maqbara è la mia preferita. Alla sera mangio bene: squisiti bocconi di capra accompagnati da una salsa verdastra. E poi mi gonfio con i noodles Sichuan.
G 17) E’ mattino presto, neanche le 7.00, quando salgo sul treno per Sasan. Stanotte ho dormito male e poco. Sul treno salgono tre donne rajasthani con 8 bambini sporchi e malvestiti. Sono molto povere. Una delle donne è molto carina ed è in assoluto la donna più affascinante che ho mai visto. Il fascino è un energia che ammanta gli occhi di alcune persone e di alcuni animali. Ed è la manifestazione metafisica di determinate caratteristiche interiori. I suoi occhi verdi hanno una luce calda, furba e forte. È veramente interessante. Nella parte finale del viaggio il treno corre nella foresta di tek del Kathiawar. Sono a casa. La foresta è bella. Tutte le foreste sono belle e tutte sono diverse. Madre natura è la varietà che non annoia mai, gli architetti umani sono la noia che ripete la noia. Scendo nel villaggio di Sasan, nel cuore del territorio dei leoni. 400 leoni asiatici girovagano e controllano queste colline per decine di km da est a ovest e da nord a sud. Ci sono anche 300 leopardi ( e infatti non si vedono branchi di cani randagi…..), iene, sciacalli, coccodrilli e il lupo indiano. Sasan gyr è uno dei paradisi selvaggi che mi sono preposto di vedere quando avevo 14 anni. E ora, 20 anni dopo, eccomi qua. Ieri mi sono sparato 4 bicchieri di mango, oggi è la volta di una new entry: succo di canna da zucchero. Hanno un macchinario che spappola la canna e filtra il succo: la bevanda è verdastra., idilliaca. Un piacere sulla Terra. 3 bicchieroni. Dopo una breve dormita mi rifocillo con un assortimento di thali: i thali gujarati sono nettamente più buoni di quelli rajasthani. Così mi presento all’ufficio alle 14.30 ma sono costretto a prendermi una jeep da solo perché non ci sono altri occidentali. Partono una decina di jeep ma sono zeppe di indiani. E noi western abbiamo una tariffa differente che potremmo dividere solo fra di noi e così sono costretto a sganciare 3400 rupie. Io, la mia guida e il driver entriamo nella foresta di Gyr. È una foresta di tek, tropicale secca. Gli alberi sono distanti anche più di 3 metri fra di loro, il sottobosco è arido e praticamente ininfluente alla visibilità. Siccome la mia intelligenza non si compra al mercato la verità è sempre tecnica e quindi tattica, mai mentale. I leoni sono panthere di potenza, a baricentro largo, tozzi e possenti. Il contrario degli altri che sono pantere di agilità, fluidi, elastici come i leopardi e le tigri. Non essendo agili come gli altri, i leoni non possono cacciare bene nella giungla, credo per una questione aereodinamica. Fra l’altro sembra che non sopportino i climi umidi. Sono quindi vincolati a territori aperti come la savana o ampi come le foreste secche. Ma i leoni non hanno la velocità dei ghepardi, né lo scatto dei leopardi quindi da soli avrebbero notevoli difficoltà a battere nella caccia le antilopi, le gazzelle etc. E’ per questo che sono a branchi. Per poter sfruttare la loro caratteristica vincente: la potenza,  la superiorità nel testa-a-testa-fighting e l’intelligenza. Si nascondono e circondano la preda; quindi la fottono ingannandola: una delle leonesse esce e si fa vedere, un diversivo, perché tanto le gazzelle o i cervidi o le zebre sono più veloci. I leoni non possono inseguirli né in velocità come i ghepardi né in resistenza come i lupi. Così la leonessa maliziosa scatta solo per spingere la preda dove vuole lei: in bocca a una delle sue compagne appostate strategicamente. Istinto, ah, ah, ah, ah, una parola da scemi per gli scemi. I leoni pensano, pensano da leoni. Hanno il livelo intellettivo che sarà almeno il 30-40% più alto di quello dei cani. Durante il safari incontro innumerevoli branchi di chital, sambar, langur. Incontro 3 nilgai, una stupenda antilope dalle corte corna. Un cucciolo di coccodrillo, diversi rapaci, una specie di lucertola e soprattutto spaparanzata contro una vasca piena d’acqua, da sola, the queen. Una delle queen di Sasan gyr. Mi portano a 3 metri dalla sicaria dal manto castano. La leonessa si gira e ci guarda. È impressionante vederla dal vivo, libera così com’è. I suoi occhi sono impressionanti. Quello che pensa emerge increspando appena la superficie delle sue iridi meravigliose. È come una droga, non posso farne a meno. Adesso ho due reliquie nella digitale. La n° 25 e la n° 462.
V 18) Il destino è generoso con me. Beata la mia essenza e beato il mio corpo. Sono indeciso se fare un altro safari. Sono under-budget di brutto e in più non ho ancora fottuto nessuna ragazza in gamba. La mia mente mi suggerisce di tenermi i cash e fantasticare su nuovi obbiettivi, il mio fuoco mi spinge dai leoni. Mente o fuoco, questo è il dilemma. Decido di puntare la sveglia e di scegliere al suo suono fottuto. Alle 5.30 mi sveglio e do retta al mio amore sterminato, alla mia passione infinita. Sono con due ceki, un tipo e la sua tipa che mi sta particolarmente simpatica. Così dividiamo la spesa. Consigliato da una guida scegliamo la route 4. Il safari si svolge come ieri: infiniti bambi, sambar, langur etc, ma dei leoni solo le tracce. Lungo la route 4 c’è anche un grande lago dove nuotano i coccodrilli e sulle spiagge i bambi duellano alla luce dell’alba per la gioia del ceko e della sua reflex. Ma dei leoni solo tracce. Mancano 20 minuti alla fine, la tipa è presa male e la jeep viaggia inesorabile verso la strada asfaltata che ormai è a meno di 1km. Ma le partite noi figli del caos le giochiamo fino al 95°, noi siamo come il Liverpool che pareggiò lo 0-3 nella finale del 2005. Perché così è la nostra stirpe. Li puoi vedere i leoni ma così è da National geopgraphic. Uno spettacolo commovente. Una gang di guerrieri disposta a formazione. Sono 4; 2 adolescenti, la regina, il re. Sono sdraiati in mezzo alla sterrata, in linea verticale. Prima i 2 giovani, qualche metro più in là la sovrana e altri metri più in là, il monarca. Gli adolescenti e la regina sono spaparanzati con lo stile pigro ed edonistico di tutti i felidi. Il re invece è fra due alberi. È disteso ma non dorme, ha la testa ritta e controlla ogni movimento nel suo dom. Ogni uccello che vola, lui lo osserva. Ogni movimento che noi facciamo sulla jeep lui lo segue con gli occhi letali. 4 leoni su una linea verticale. Non lasciano nulla al caso. Ogni cosa, anche l’ozio, segue delle regole tattiche. Noi siamo a 3 metri dal 1° adolescente. È bellissimo, ci guarda per un attimo. Questi leoni hanno il manto fulvio, castano chiarissimo. Sono più bassi delle tigri. La guida li aggira e porta la nostra jeep fra gli adolescenti e i due sovrani. Siccome gli animali pensano io so già cosa succederà subito. E infatti la leonessa traduce subito in malizia il nostro innocente spostamento. Lei si alza, viene verso di noi, mi passa di fianco, proprio sul mio lato a meno di 1,5 metro. Mentre cammina mi guarda. È attenta ma diversa, molto diversa dalla tigre. Mentre la tigre aspettava solo che sbagliavamo per saltarci sul van e spiegarci chi era lei, la leonessa ha un comportamento totalmente difensivo e mentre mi tiene d’occhio si allarga leggermente verso l’esterno per comunicarmi che non vuole casini e non vuole che noi ne facciamo. Attaccherebbe solo se sbagliassi i movimenti. La leonessa raggiunge i giovani e si sdraia davanti a loro. E ci riguarda. Il messaggio è chiaro. Li sta difendendo e sta costituendo una formazione unita. I leoni sono intelligenti e non vogliono farsi sezionare. È come il calcio, nessun difensore vuole farti passare in mezzo allo schieramento con la palla, cerca di tenerti fuori. La regina poi si gira a pancia in giù e invita i due giovani alle coccole e al gioco. Intanto il re controlla tutto. Il re non si rilassa. Il re continua a guardarci. Il verso di un cervo chital giunge da lontano. I 2 adolescenti si alzano, ascoltano e comunicano eccitazione con la coda e con l’impostazione del corpo. Perché non solo gli animali pensano ma gli animali parlano anche. Parlano così. Niente di più semplice. Poi la leonessa li spinge nel bosco e i 3 vanno a sdraiarsi nella macchia. Una 40na di metri da noi. Allora il re si alza e guardandoci li raggiunge. Uno spettacolo indecente. Beata la mia essenza e gloria ai leoni. Oggi mi bevo 4 bicchieri di canna da zucchero di cui 2 mischiati con ananas e ginseng. Poi m’incammino sotto i 40° lungo l’unica strada del villaggio di Sasan. Dopo 1 km arrivo a una valle che sembra un quadro vivente. L’erba è verde pastello, le mucche pascolano lungo il fiume serpeggiante e le indiane lavano i sari sgargianti sulle rive. Ecco com’è l’India dove gli indiani non possono sporcarla. Una poesia. Poco distante raggiungo un ponte. Sono ai confini del National park. Le brulle colline dei leoni ardono sotto il sole del Gujarat. Sotto, la foresta dei gattoni confina con l’erba color pastello nascondendo dell’ acqua verde. Il limitare della foresta erutta un fiume di un verde meraviglioso che scorre sotto il  ponte. Così è il 53° paradiso selvaggio che visito. Alla sera scopro il riso Hyderabad; ha la forma di un pudding ed è verde  intenso. Gusto superesotico. Buono anche il paneer tuva.
S 19) Lasciato il pacato villaggio di Sasan torno nell’India degli umani, un paese che mi ha rotto i coglioni sin dal 3° giorno. Ecco l’India: rumore, sporcizia, folla ma soprattutto un paese dove ogni 20 secondi qualcuno ti chiama; io ormai ho l’antidoto: indifferenza accompagnata da un insulto qua e là. Basta che rispondi solo una volta e sei fottuto: il tipo ti seguirà per 400-500 metri rompendoti il cazzo e cercando, invano, di truffarti. È giusto specificare che l’80% degli indiani sono, come tutti i popoli, persone di tutti i tipi; c’è l’indiano bravo, quello cattivo, quello simpatico, quello gentile, quello invidioso, quello arrogante, etc. Ma oggi mi soffermerò sul restante 20%. Gli indiani qui a Veraval non sono abituati ai western e mi guardano in continuazione anche (ma non solo) perché ho i pantaloncini e la canottiera. E  io uso l’antidoto antiscassacazzo chiamato “indiffrenza seccata” più i surrogati, gli insulti. Mai visto un paese come l’India, mai. Bevo qualcosa e gli indiani senza neanche una furbizia, una copertura…senza niente, si fermano vicino e iniziano a fissarmi e ridacchiano con gli amici. Quindi la risposta: indifferenza più qualche simpatico scambio di cortesie.
Io: “Figlio di puttana convinci tua madre a prendere più cazzi così magari riderà anche lei.”
Mi fermo a mangiare e gli indiani mi fissano e cercano di attaccar bottone. Se c’è una cosa che detesto è uno che mi scassa il cazzo mentre mangio. Risposta: brevi, sibilline risposte deliberatamente scocciate. Antidoto che funziona a metà. Solo sul treno si può parlare normalmente e infatti ho conosciuto diverse persone simpatiche, soprattutto i brahmana, gli intellettuali. Ma in strada parlare con qualcuno vuol dire che dopo 30 secondi cercherà di venderti qualcosa oppure chiamerà qualche fottuto tuk-tuk man per fotterti dei soldi. E a me non mi fottono. Sasan è stato l’unico posto, assieme a Sawai Madhopur dove la gente ci stava dentro e non mi rompeva i coglioni. Gli altri con cui mi sono trovato bene sono state le guide dei National parks e i brahmana sui treni che mi spiegavano la loro religione e non facevano domande con doppi fini. Ma i peggiori, i n° 1 degli scassacazzo, la medaglia d’oro è dei piccoli figli di troia dei children: appena scendo dal bus o dal treno ne arrivano 2-3, sporchi dalla testa ai piedi, e mi seguono per 200-300 metri assillandomi con: “Mister, money, food, mister, mister…”
Se fai l’errore di dargli i soldi a uno allora tutti gli altri li vorranno e ti seguiranno per 400-600 metri. Coi bambini il mio antidoto-indifferenza è supportato da immediati: “Go, no, finish.” Una country che mi ha rotto il cazzo e non vedo l’ora di volare a Bkk. Oggi, dopo aver mandato a fanculo un tipo, aver invitato un altro a scendere dal motorino, aver scacciato un bambino e aver resistito per ben 4h a non menare nessuno, arrivo a Somnath per vedere il tempio che è molto particolare e spettacolare. Wow, è vietato introdurre camera e bisogna lasciare tutti i propri  averi ai custodi. E io dovrei separarmi dalla mia sacra pics n° 26 e da quelle dei leoni?! Te lo puoi scordare, police-man! Non se ne parla neanche. Fanculo, non posso fotografare il tempio di Somnath. È un tempio spettacolare, assomiglia a un astronave, ha i tetti bellissimi che sembrano gusci di tartaruga e in più è in riva all’oceano. Posso limitare i danni scendendo in spiaggia e fotografandolo da lì. Una vasta spiaggia  che nella metà sinistra brulica di indiani e dromedari. Le onde dell’Oceano Indiano si spengono sulla spiaggia marrone accarezzandola ampie e lunghe.  La metà destra è deserta ed è di fianco al tempio.  Cammino e lo fotografo da questa prospettiva molto bella. Mentre supero la metà sinistra, ovviamente gli indiani  cercano di scassarmi il cazzo, soprattutto i conducenti dei dromedari e poi gli immancabili nuclei organizzati all’ accattonaggio dei bambini. Cammino a piedi nudi sulle schiumose onde della riva. L’oceano Indiano cade nell’orizzonte. Non c’è nessuna terra verso quel sud. Solo oceano, fino all’Antartide. Quanto è semplice, monotono l’oceano. Eppure, come il cielo di notte, quanto è affascinante e bello. Al ritorno mi siedo fra gli indiani. Nessuno fa il bagno e sono tutti con abiti lunghi. Uomini e donne. Quelli che entrano in acqua lo fanno fino alle ginocchia e vestiti. Oggi uno mi ha detto che la prostituzione nel Gujarat è punita con la pena di morte; invece se uno si fa una tipa senza essere fidanzati  vengono emarginati entrambi dalla società. Invece per la serie India, l’inferno dei cani, oggi ne ho viste 3 di scene raccapriccianti: un cane lacerato sulla schiena che sanguina e si lecca le ferite fra l’indifferenza generale; un altro che ha un emorragia dal culo, inguardabile; e il 3°: sto per salire sul bus del ritorno e mi accorgo che c’è un cane sotto il pulmann. Lo chiamo e lui si muove, ma zoppica e si rimette sdraiato. Allora avverto il conducente. Un passeggero scende e ridendo comunica agli altri che il western sta parlando del “dog, dog, ah, ah,ah”: ilarità generale. Il tipo allora prende dei sassi e scaccia il cane zoppicante bersagliandolo.
“Ah, ah, ah.” Ridono.
Purtroppo a Veraval non ci sono i leopardi altrimenti la misericordia dei miei fratelli del caos calerebbe inesorabile su queste disgraziate creature ponendo fine al loro tormento. Se facessi un filmato di soli 5 minuti potrei documentare cos’è una città indiana: ruscelli neri, di un nero che vive, che si muove come un abominio; maiali che ci sguazzano dentro; mucche rachitiche che attraversano quiete le strade costringendo gli indiani a dare la precedenza (una cosa che non fanno mai perché la precedenza è di chi suona di più); spazzatura disseminata ovunque; clacson che strombazzano ovunque e sempre, dalle 7.00 alle 23.00; una folla infinita di persone che intasano i bordi delle strade; fra questa folla c’è un 20% di tipi che ti scassano il cazzo: “How are you? What’s your name? Come on.” Fra la ressa c’è un 3% di senzatetto  che sporchi dalla testa ai piedi, dormono per terra e chiedono l’elemosina; in questa folla ci sono poi i bambini scassacazzo e altre gang più numerose di bambini non sporchi che ti rompono i coglioni prendendoti per il culo; in mezzo a tutto questo, ci sono loro, i disgraziati, i dannati, i cani indiani. Sono a branchi, di 4-5. Dormono sui marciapiedi, non all’ombra ma sotto il sole cocente aspettando che la morte spenga il loro dolore. Rachitici e feriti, sono ignorati da tutti eccetto per qualche sassata occasionale. Sono così estranei all’affetto dell’ uomo che quando uno gli porta i chapati o i pasticcini si allontanano, abbaiano e hanno paura. Allora il western glieli lascia in terra  e solo allora e solo dopo che si è allontanato  tornano e li mangiano. La misericordia dei leopardi cadrà su tutti i disgraziati, cani e umani?
D 20) Viaggio verso Diu. Il bus è strapieno e siccome siamo in India il controllore invece di fare i biglietti giù e di far salire la gente gradualmente, ci fa salire tutti e una volta ammassati cerca di districarsi per fare il suo lavoro ma rinuncia dopo la 3° fila di sedili e così solo noi paghiamo il biglietto. Conosco una  coreana e mi da puntello a stasera. Arrivato a Diu m’incammino verso il forte vestito con la canottiera attillata e così l’India si manifesta in tutta la sua natura. Mi scassano il cazzo per 4h di seguito e stavolta non i tuk-tuk men ma i turisti indiani. I cornuti mi chiamano in continuazione e io, indifferente, resisto all’impulso di menarli. Fra le cattive abitudini di una fetta consistente di questo popolo ci sono: il cagare a lato delle strade, davanti a tutti; il ruttare quando ti stanno portando da mangiare; le donne invece, oltre a questo ti tossiscono in piena faccia e poi ridono scherzose; il fissarti mentre mangi; il circondarti in 4-5 e osservarti come un essere curioso mentre bevi un sublime succo di mango. E al forte di Diu, mi costringono a posare 6-7 volte con i loro amici/che sconosciuti solo perché vogliono una foto con un western in canottiera e per di più palestrato. La ceka mi aveva avvertito perché il suo tipo è più grosso di me. Vorrei gironzolare libero e divertito in questa country spettacolare ma ogni 5 minuti mi chiamano e ogni gruppo che incrocio mi scassa il cazzo. La tensione aleggia nell’aria. Su ogni torre e su ogni bastione che vado mi fermano, mi fissano e se la ridono ( perché un western è un alieno). E mi scassano il cazzo mentre io voglio solo gustarmi il grosso forte portoghese e l’Oceano Indiano che sterminato lambisce le sue mura. La tensione diventa palpabile quando a uno lo voglio menare e questo rincoglionito mi sfida a braccio di ferro. Poi mi tocca minacciare 4 ragazzi  di gettarli nell’oceano, decine di metri più sotto e l’apoteosi è quando uno degli infiniti indiani mi tocca. Sto camminando per i cazzi miei e questo passa con i suoi amici e mi tira uno schiaffetto sulla spalla. E lì ovviamente io parto per picchiarlo. Questo cornuto, aiutato dagli amici che si frappongono per impedirmi di colpirlo e aiutato dal fatto che si allontana, non subisce la giusta punizione. E ride e non capisce che lo voglio menare. Dall’Hawa Mahal di Jaipur alle moschee di Junagadh non ho mai potuto godermi in pace l’architettura indiana. L’India mi ha scassato il cazzo. Il forte di Diu è portoghese. Ha un doppio fossato e il 1° è ancora con l’acqua. Da una delle torri la costa del Gujarat è un plateau bellissimo che placido e diverso sfida l’oceano immenso e tutto uguale. Torno in città e conosco due slovacchi seduti sui gradini di una maestosa chiesa cattolica, tutta bianca, tipo haveli. E parliamo per un bel pò, perché la tipa, carina, è un ecologa e lavora per i Tatra slovacchi! Fatalità del destino, uno dei 2 ultimi paradisi europei che mi mancano e che forse conquisterò ad agosto. E mi da la bella novella che la popolazione di orsi sui Tatra è over e sostiene che in 4 giorni di trekking li incontrerò quasi sicuramente. Mentre parliamo di tigri, orsi e India passa una macchina zeppa di indiani e vedendoci si blocca di colpo sotto i gradini. Scendono 4 ubriachi e vengono verso di noi. La tipa impreca e lo slovacco dice: “Andiamo via, vengono a fotografarci.”
Io: “Anche a voi?”
Lei: “E’ tutto il giorno che ci stressano.”
Questi 4 rincoglioniti figli di puttana sono scesi apposta per fotografarci!!
Tornato in albergo mi porto la korean girl in stanza. Si chiama Nam-kyu. Ha le gambe chiare di quel sexy che hanno solo le occhi a mandorla, tipo Isaan. È da 20 giorni che non mi faccio nessuna. Di viso è bona, livello 8. Ha una 3°. Io ci provo e lei non ci stà e poi inizia a giocare. Il game dura 10 minuti. Lei è seduta e io la cingo da dietro, in piedi. Stringo leggermente le braccia intorno ai suoi fianchi e intanto la bacio sulla guancia e sul collo e  la desidero e a lei piace di brutto la mia passione. Ma non si fa baciare sulle labbra. L’altra cosa che le piace è il mio uccello che è duro e preme sulla sua schiena. Mi piace parecchio il suo viso e possederla mente accavalla le gambe è uno dei miei sballi preferiti. Io chiudo la mano sotto le sue ginocchia e poi scendo lungo gli stinchi perché la pelle delle mongoliche è supersexy. Ma fino a quando non cadrà non potrò toccarle le cosce caldissime…aaahh, si, si, ce le ho ancora stampate nella mente…poi cede e mi bacia muovendo bene la lingua e stringendomi i bicipiti. Wow, finalmente posso possedere le sue cosce, lo sballo sessuale più caldo e più bello. Leg-sex is the best for me. Lei si alza e mi leva la canottiera, io la sdraio sul letto e mentre la limono scivolo con le mani sulle cosce, aaah, this is sex, fino all’orlo della gonna, poi, sempre tenendo le mani premute sulla pelle, con il movimento, le sollevo piano, piano la minigonna e poi la scopo. Mentre spingo gli abbasso la sua canottiera e mi diverto con il suo seno. Lei mi stringe e mi accarezza le spalle. Io vengo sul suo seno e poi lei si spoglia completamente per la  seconda scopata. Ma io le faccio mettere le scarpe infradito e me la rido perché lei mi chiede: “Why?” Ridendo e spiegandogli le cose io le cingo la caviglia e comincio a leccarle la parte superiore del piede e poi su, su lungo le gambe, fino alle cosce super hot, aaah, si, si this is sex, lussuria, lussuria, join with you. Lei ansima e mi stringe e poi sorridendo mi chiede:
“Ti piace così?” Scrolla le spalle e dice: “E’ la prima volta che lo faccio così.”
Io:“Bah, senza leg-sex è come mangiare noodles senza olio piccante….perde tanto.”
Io la giro e la scopo in piedi e da dietro ma non anal, bensì nella pussy. Adoro le sue gambe, tutte, dalle natiche alle cosce, alla parte sotto le ginocchia e adoro i suoi piedi semivestiti dalle infradito. Mentre me la pompo lei tiene la sua guancia premuta contro la mia e io dallo specchio godo del suo viso sexy. E poi la convinco a fare una cosa che dice di non aver mai fatto…mah…sta di fatto che è lei che mi spinge a farlo perché quando voglio venire per la twice, lei s’abbassa e accenna a un blowjob senza però farlo e praticamente se lo mette sul viso muovendolo sotto la guancia e dicendomi: “Do you like korean girl, yes, aaaah, ssss.”
E io l’accontento e gli “posseggo totalmente” il suo volto. This is sex. Sinceramente mai ho capito e mai capirò quelli che fanno l’amore. Fare l’amore? Cazzo centra la bellezza e le curve con l’amore!? Il sex è questo, solo lussuria, giustamente e categoricamente e non c’è nessun amore. Lei, rimane nuda e si sdraia sul letto e mi racconta cose sulla Korea e sul cibo koreano e io ascolto e la sbaciucchio.
Alla sera vado a mangiare in un ristorante e conosco un koreano simpaticissimo e la sua amica. Lei mi piace di brutto, ha i fuseaux, le tette grosse, è bella e mentre mi parla mi manda l’uccello in tiro anche perché io ho ancora il corpo di Nam-kyu stampato nel cervello. Questa ha la voce calda, il viso da scopare e continua a toccarmi. Si chiama Min. Il koreano e la koreana confabulano, poi la koreana mi dice: “I’m so sad because soon i will go in mine room and i will be alone.”
E lui: “I like so much smoke and you?”
Fanculo, come cazzo faccio a reggere il gioco della sua malizia mentre un tipo mi sta dicendo che è bisex? Devo trovare il metodo per isolarla così la invito al barbecue di domani e le spiego fra le righe perché l’ho invitata. Me la voglio scopare.
L 21) Questa è la 1° e ultima volta che devio dal mio itinerario per dare retta a consigli altrui e quindi sbagliati. Diu, un paradiso tropicale. Una cazzata allo stato puro. Qui è come Sharm e Costanza, è un ovile dove non ha alcun senso fermarsi. C’è qualche discreta spiaggia, c’è l’ immenso e blu Oceano Indiano, ma per il resto è una cittadina stile tintarella e ombrellone. Faccio il bagno nell’Oceano Indiano. Tutti i western e gli indiani sono alla spiaggia Nagoa. Io sono a Sunset point, da solo, con 3 cani che giocano con l’oceano e la spiaggia e aspetto la mia korean-pussy. Gli indiani in verità ci sono anche qui ma arrivano a un centinaio di metri e salgono a un tempio su un promontorio. Vedono che sono in costume ma si limitano a guardare e a urlarmi qualche stronzata e a fischiare. Nonostante la distanza sono preoccupato anche se l’ho avvertita di non fare cazzate. Arriva una coppia di koreani in motorino, amici dei 2 che ho conosciuto ieri sera. Si fermano proprio dove inizia il sentiero utilizzato dagli indiani. Lui è in pantaloncini e canottiera, lei ha dei pantaloncini inguinali e…il bikini…wow, sono fottuti! Sembra un film comico ma è la realtà: 15-20 indiani si girano e corrono verso di loro liberando le digitali, urlando e ridendo. Il koreano scende dal motorino intanto che la sua girl gira il mezzo e tira un pugno al 1° indiano, poi sale e fuggono mentre i nativi li inseguono a piedi, in massa, stile Fantozzi. Ok, ok, fiuto nell’aria cosa sta per succedere se solo la mia figa arriva in maniera sconsiderata. C’è un luogo dove posso godermi questa country in pace? Mi butto nell’oceano sotto i 40° del Gujarat e attendo. Nam-kyu arriva. In bikini. Sono fottuto.
Lei: “Ma no, qui siamo in spiaggia.”
Io: “Cosa? Loro si buttano in acqua in camicia e pantaloni! Te l’avevo detto di….di…”
“Fuck! Che cazzo dovrei mettermi in spiaggia? Voglio fare il bagno!”
Gli indiani scendono in spiaggia, 20-30, uomini e donne. Ci circondano a semicerchio e scattano le fotografie. Poi arrivano delle anziane con un sari e solo in India può succedere una cosa del genere.
Una delle vecchie: “Devi metterlo!”
Nam-kyu litiga con le indiane e si rifiuta.
Una delle native: “Non puoi stare con quel costume, gli animali vanno in giro nudi.” E indica i cani.
Io: “A me!! Tu, a me! tu caghi davanti a tutti, rutti mentre mi porti da mangiare e io però sono l’animale!”
Va beh, comunque un 2 orette di oceano me le sono sparate, Nam-kyu invece deve “accontentarsi” dei piaceri primari, ma ha imparato la lezione. Sale in camera e appena richiusa la porta, tace per 1 secondo, e senza preavviso me lo tira fuori e mi fa un pompino. Poi mi scopa lei perché si mette sopra. Io gioco con il suo seno, lei stavolta mi palpa di brutto i pettorali. Tiene le mani costantemente sul mio petto e ogni tanto lo palpa come fosse un seno. Stavolta però voglio la più calda delle cum, voglio le sue cosce, così nella fase finale della scopata la faccio mettere in piedi e me la scopo da dietro, come ieri. Adoro le sue cosce, ovviamente non è grassa ma non stecchina. Mentre la scopo, con la mano sinistra, le accarezzo in continuazione la coscia sinistra. È una dolly, fa tutto quello che voglio, così deve essere una female. Divertito, voglio proprio vedere come reagirà quando capirà dove voglio venire e invece lei, quando lo tiro fuori, se lo mette in mezzo alle gambe, lo stringe e mi fa l’occhiolino: “It’s good so?”
Ok, ok, tanto posso lo stesso guardarle e toccarle le cosce mentre vengo. I peli della pussy delle mongoliche sono belli, lisci, ordinati. Io praticamente scivolo sulla sua pussy, sul suo clito e le sfioro i peli ma la cosa che più mi piace è la mia mano e i miei occhi sulle sue gambe. Ed è cum superhot. Si, beh, devo dire che Nam-kyu è una giustona, sa come fare sesso. Alla sera partecipo a un barbecue-festa con un mix di deutsch, inglesi, australiani, i miei 2 amici slovakki, la tipa ecologista e il suo tipo. È organizzato dietro la chiesa bianca che è anche un ostello. Uno dei clienti che mangia con noi è un reporter di una grossa rivista inglese tipo National geographic e ci fa vedere la sua macchina fotografica, un mostro tecnologico. Forse costa da sola come tutta la mia holiday! Altri ospiti sono un gatto e due cani. Il gatto si mette dietro la nostra panca, in posizione tattica per fottere i cani nel caso lo individuassero. Uno dei proprietari indiani e i suoi bambini invece si divertono a intimidire i propri cani, con qualche sasso, schiaffo o altre molestie. India, inferno dei cani. Nam-kyu viene a chiamarmi in camera ma io non ho voglia di altro sex perché non voglio prendere un bus indiano rincoglionito dal sonno così dormiamo insieme. E anche se mi provoca mi limito a qualche slinguatina, a fargli sentire l’uccello e ad accarezzare la sua pelle sexy.
M 22) Fanculo a quando ho deciso di venire a Diu. Perdo il bus e rimango ancorato a questo luogo scialbo e boring. È uno di quei luoghi che al più scemo di tutti piacerebbe. Il più scemo di tutti è un coglione che abita nel mio paese e lui predilige luoghi come Sharm, Costanza e Phuket. È uno storto incapace di elucubrare, è costantemente invidioso delle qualità altrui, si demoralizza appena cade una goccia di pioggia ( e promuove la sospensione delle partite…) o è sotto di 1-0 e siccome lui è debole cerca di far apparire gli altri come lui o peggio di lui, insomma è una merda e mi sta pure sui coglioni. Nefasta fu la mia scelta di fermarmi qui, fuck!! Devo rinunciare a Palitana. Perché non sono sicuro di come funzionino i trasporti in questo paese dal disordine assoluto. Potrei rischiare di perdere il volo per Bkk. Col cazzo che rischio! Il mio uccello me lo ricorda ogni ora: non rischiare!! A proposito di uccello, vado a chiamare Nam-kyu ma lei non c’è! Cazzo, il mio uccello è incazzato nero! Mi alleno nella gym di Diu e poi becco il miglior ristorante del mio soggiorno indiano: riso indiano ai gamberetti, calamari fritti e speziati all’indiana  e poi tonno alla brace con patatine fritte. E sono al tavolo con i miei amici slovacchi. Torno alla guest house e mi bussano; wow, i understand, il mio uccello è tutto contento. Nam-kyu ha i fuseaux oggi, oggi ci sono nuovi giochi da fare. Nam-kyu mi respinge, credo di capire a che gioco stia giocando. Inizia a parlarmi di varie cose e poi mi dice che devo assolutamente provare un piatto koreano chiamato kimchi che definisce il miglior cibo del mondo. Fanculo, mi hai messo la pulce nell’orecchio. Mentre gironzola per la stanza, ufficialmente per prendere aria alla finestra, io osservo il suo bel culo formoso sotto i fuseaux, uhm, mi sta provocando, lo fa apposta per fare in modo che io glielo guardo. Lo so a che gioco sta giocando. Così, io mi alzo e la cingo da dietro, giocando con il piercing che ha sull’ombelico. Sento il profumo della sua pelle, e sento il suo culetto sul mio uccello. Lei preme leggermente contro di me, lo sapevo che voleva giocare. La bacio e lei apre le labbra.
Io: “Oggi si cambia game, è colpa dei tuoi fuseaux.”
Lei: “No, no, te lo puoi scordare.”
Limoniamo per un bel po’ e ogni volta che le mie mani stanno per abbassargli i fuseaux lei mi blocca i polsi e dopo 1 secondo mi prende le mani e me le rimette sulle natiche stringendomele. Ho capito a che gioco vuole giocare. Nam-kyu è una giustona, mi piacciono le sue bugie. Allora le prendo la mano e gliela metto sul mio uccello. E lei diventa ancora più giustona. Mi tira fuori la lingua con l’altra mano dicendomi: “Give-me.”
E poi solo con le labbra (senza lingua) gli fa un pompino alla mia lingua. Mi accarezza per poco il petto e poi scende fino all’uccello. Me lo tira fuori, lo guarda, si gira e mi mette il culo contro.
“Do you like this? Ah, ah, ah.” Ride.
Io: “It’s dangerous.”
Lei ride. Io gli accarezzo il culo con il mio uccello ( una cosa che volevo fare da quando è entrata). Che sballo…se era in minigonna gli venivo diretto in mezzo alle gambe! Gli abbasso i fuseaux e lei se lo mette fra le mutandine e le chiappe. Io le lecco il collo e scivolo sul suo culetto asiatico. Ma lei non cede, niente anal. Ansimando calda e facendomi sballare sottilmente molto bene mi dice: “Come on.”
Io la scopo nella pussy ma la faccio abbassare a 90 così posso lo stesso gustarmi e possedere il suo culetto, perlomeno con gli occhi! Quanto è bona Nam-kyu. La seconda scopata invece la concludo con un beato leg-sex, baciandole e leccandogli la parte bassa delle gambe. Poi ci salutiamo perché domani assolutamente devo prendere il bus! Sto buttando giù queste righe e mi telefonano in camera!....E mi dicono di salire sul terrazzo. Che cazzo di storia è questa?! Salgo e c’è un gruppo di persone al tavolo: il koreano simpatico ma bisex, una inglese, un francese, una koreana e…..Min. Ma io ti scopo sul tavolo, io ti scopo la faccia. E succede la cosa che succede spesso. Io mi voglio scopare Min solo che l’amica koreana si presenta con grande calore ed entusiasmo e mi da chiari segnali di piacergli. Tanto è vero che dopo pochi secondi la sua gamba è sulla mia, la sua mano sulla mia, e l’altra mia mano gironzola selvaggia sulla sua pelle, nelle zone dell’eros periferico. E io ce l’ho duro, così decido che anche se Min mi piace di più, l’amica ci sta sicuramente e così continuo a flirtare con lei. Intanto il koreano che è simpaticissimo e mi fa spaccare dalle risate continua con il suo comportamento ambiguo rivolto al francese. Non riesco veramente a capire se è bisex o no. Comunque, tornando alla korean pussy, alla fine finisce sempre come finisce in queste situazioni. Io lo sapevo che dovevo provarci con Min, lo sapevo. Eppure ho scelto la soluzione apparentemente più facile. Così, appena io e la korean rimaniamo da soli (perché dorme nella stanza davanti alla  mia) io ci provo e lei non ci sta.
Io: “Sei tu che hai iniziato.”
Lei: “No, no.”
E’ la 1.00, certe cose non si fanno ma…sono certo che non si arrabbierà. Così vado all’albergo di Nam-kyu. Notte indiana, nessuno che scassa il cazzo e nessun rumore fottuto, ah, che pace. Inculare il receptionist è facile facile. Toc, toc. Nam-kyu non si arrabbia. E  mi fa sdraiare sul letto. E la korean-girl è mia ancora.
M 23) Non mangio niente fino alle 18.00 perché mangiare in India dagli ambulanti o ai restor degli stop dei bus significa rischiare fortemente la diarrea e su un viaggio di 10h non è particolarmente consigliabile. 10h dura il viaggio dalla stupida Diu alla merda Ahmedabad, dalle 7.00 alle 17.00. Il Gujarat è campi coltivati a cotone, grano e cipolle. Ci sono pochi, bassi, aspri rilievi simili alle Vindhya e qualche nilgai ma per il resto niente. Ad Ahmedabadh mangio vicino alla bus station un buon thali del Punjab, peccato che anche qui l’India si manifesti in tutta la sua brillante simpatia: ci sono 10 tavoli, 3 occupati e 7 vuoti. Io sono quello che fra l’altro, fra dolci, cena e bere ha speso di più, e il proprietario, grandissimo interprete dei meravigliosi comportamenti indiani  appena ho finito dice: “Alzati adesso, se arrivano i clienti dove si siedono? Siediti sui gradini, no problem.”
Io: “Fai sedere tua madre e in minigonna su quei gradini.”
L’India è uno di quei paesi dove ogni 5 minuti ho l’impulso di scassare qualcuno a calci in faccia e anche l’unico paese dove in meno di 20 giorni ho consumato quasi tutto il pacco da 40 di enterogermine. Qui ho anche il record di medicinali assunti: enterogermine, 8 immodium, 4 antibiotici per il mal di gola. All’ autostazione i cornuti procacciatori di clienti cercano in mille modi di fottermi ma non hanno speranza e devo usare l’indifferenza condita da insulti sparsi solo per 5 minuti, il tempo di trovare lo sportello giusto. Così con un under budget fighissimo salgo sul bus per Udaipur e mi sparo altre 6 ore di viaggio fino alla “ Venezia d’oriente”. La polizia presidia le strade e ha un tavolo fra i figli di puttana tuk-tuk man e segna la targa di tutti i tuk-tuk man che partono con i western! Chissà che cazzo gli avevano combinato prima!
G 24) Udaipur era preventivato come break logistico nel lento ritorno verso Dehli. E questo è. Gli addetti turistici la chiamano la Venezia d’Oriente, chiamano il lake palace “un sogno che galleggia sulle acque”; ed è normale che gli umani, grandissimi adoratori del vuoto e quindi della ricchezza scrivino certe stronzate ed è altrettanto ovvio che le umane, oltre a scriverle le pensino pure. Ai miei occhi il lake palace e gli altri edifici che gli fanno da contorno appare si come qualcosa di opulento ma di bellezza non ne vedo. Sono edifici paragonabili alle ville dei ricchi in Europa. Di bello non c’è un cazzo. Fra una palazzina alla periferia di Sesto e la villa di un riccone c’è poca differenza: esteticamente sono 2 cagate fottutamente squallide e noiose. Anzi il lake palace e l’altra reggia sull’altra isola li vedrei bene su un volantino di tecnocasa, poi sarebbero cazzi dell’agente venderle…! Allora, spieghiamo agli umani stolti e deviati che cos’è la bellezza: Bessegen è bellezza, il lake palace è mediocrità; Geirengerfjord è bellezza, il Lake Pichola è una piscina e una piscina non può essere bella; la valle di Aleus è un sogno, il city-palace è una squallida realtà. Le poche cose graziose che ci sono a Udaipur sono qualche haveli scolpita e colorata e poi di bellissimo, strepitoso, c’è il tempio di Vishnu. Sembra un astronave, è scolpito con miriadi di ordinate e minuziose opere d’arte. All’ingresso stavo per menare uno. Inizio a gustarmi il tempio da varie angolazioni e arriva un cornuto figlio di puttana che senza preavviso mi recita quasi nell’orecchio la storia del tempio.
Io: “Non mi interessa. Vai via.”
Il cornuto: “Non sono una guida. Non ti costerà niente.”
Io: “Non mi interessa.”
Il cornuto mi segue e continua a recitare la storia del tempio nonostante io azioni l’antidoto indifferenza e così mi rompe il cazzo mentre vorrei gustarmi in pace una delle architetture più belle del mondo. Ci vuole un po’ prima che si rassegni.
“Potresti farmi una donazione per i bambini…”
“Non ce la fai a incularmi. Bye.”
Finito di fotografare il tempio a 360° mi rimetto le scarpe e un rincoglionito mi dice: “Devi pagarmi. È il mio lavoro custodire le tue scarpe.”
Io: “Of course. You’ll get money.”
Il rincoglionito capisce subito che lo sto provocando e mi dice: “Tu mi darai i miei soldi.”
Io: “C’è un rituale che devi fare se vuoi i miei soldi: provare i 92 kg dei miei muscoli sulla tua faccia. Ah, va bene, parla, parla. Se vuoi che ti lascio in terra sui gradini, vieni.”
Il desiderio di menare qualcuno è tanto, tanto, tanto. Al pomeriggio conosco 2 finlandesi e parliamo sul tetto della gh. Loro sostengono che l’italiana è la miglior cucina e poi seguono la thai e  le altre degli occhi a mandorla. Anche questi finnish vanno matti per i risotti del nord Italia e ovviamente per la pizza.
V 25) Lunga attesa del bus finale. La passo studiando le tattiche degli scoiattoli che gironzolano sul terrazzo della mia guest house. Scelgo un punto intermedio fisso per  mettergli i pezzi di torta. Loro si sdraiano sulla tettoia della finestra e mi studiano. Non vanno subito a godersi la delizia. Aspettano sempre circa 150-180 secondi prima di andare a fottersi il pezzo. Se in quella attesa io mi alzo loro tornano sulla tettoia e aspettano altri 150-180 secondi di mio “non spostamento” altrimenti rinunciano momentaneamente al dolce. Grazie ai bus statali ho risparmiato 600 rupie. Ovviamente anche oggi litigo con uno che vorrebbe vedere il mio biglietto del bus ma si deve fare i cazzi suoi perché tanto non ce la fa a fottermi. Per la serie India, un paese assurdo, oggi scopro che anche i cani sono contagiati da comportamenti eccezionali, eccezionali perché non  comuni. Gli porto i chapati a un cane a cui ieri diedi i biscotti. Il cane mi scodinzola, annusa il cibo e poi…invece di mangiarlo mi salta sulla pancia e mi comunica la sua felicità e la sua amicizia con un comportamento tipico da cane: sottomissione e ricerca di affetto. Non ci sarebbe nulla di strano se non fosse che il povero animale così facendo si fa fottere il chapati niente po po di meno che da una mucca!! Quando imparerai a essere un gatto smetterai di soffrire…! La mia tenacia non è solo una forza che mi permette imprese come 200 km nella tundra e rimonte impossibili quando gioco; la mia tenacia è anche potere e libertà. Perché grazie alla mia tenacia io posso guadagnare giorni e poi salire su un fottuto bus indiano e spararmi 14 h di viaggio senza mangiare e bevendo pochissimo. E così arrivo a Dehli alle 9.00 del mattino del 26 marzo. A un 1 giorno da un volo speciale. Dove inizieranno 70 giorni di edonismo totale: cibo, sex, wildlands e antiche rovine. Ancora per 1 giorno devo sopportare i fottuti scassacazzo che mi assillano ogni 5 metri e ogni 10 secondi. Ancora per un giorno devo mangiare solo discretamente bene, ancora per 1 giorno e poi sarà libertà totale. Thailandia, 5 anni dopo.
S 26) A Dehli litigo subito con uno e poi mi fanno girare i coglioni 2 bambini. Fra tutti i rincoglioniti ce ne sono 2 che sono speciali: uno mi vuole vendere un ventaglio gigantesco e l’altro che è ancora più figlio di puttana, mi vuole vendere una frusta da cavallo! Ma io dico: dimmi chi è quel cornuto occidentale zaino in spalla che ti compra un ventaglio con piume di pavone e alto 2 metri o una fottutissima frusta da cavallo!! Ma vai a fare le rapine, vai a rubare, chi te lo fa fare di essere così rincoglionito? Io odio le città, odio ogni forma e ogni odore delle città. Ma su tutte io odio le città indiane. Che però, paradossalmente, custodiscono gli edifici fra i più belli al mondo come il Merengarh castle, l’Hawa mahal e il tempio di Vishnu. A Pahangarj, dove dormo, becco anche due piacevoli sorprese: incontro Min e l’amica koreana. La koreana è imbarazzata perché io ci ho provato e perché le parlo del fatto che ho messo la bocca e ho intenzione di rifarlo. Una thai non sarà mai in imbarazzo in una situazione simile. Min invece è contenta di vedermi. E lo sono anch’io. Saremmo andati ancora più d’accordo se avessi fatto un’altra scelta quella notte. E va beh. In una vietta becco un ristorante dell’India del sud. La cucina è totalmente diversa. Nettamente più buona e finalmente esotica. Mangiare vuol dire anche viaggiare mentalmente, assaporare gusti nuovi. Con 100 rupie mi portano 6 pietanze e un pesce fritto molto buono. Il riso è mescolato con qualcosa di arancione, simile a uno spicchio di mandarino. E fra le 100 rupie ce ne sono 30 di Coca cola. Fanculo, sono tuo cliente fisso. I miei vicini di stanza fumano in continuazione e siccome siamo in India ci sono varchi di muratura vuota fra le finestre che ci dividono. Così la mia stanza è costantemente pervasa dal profumo della marjuana.
D 27) Già 10 minuti prima di scendere le scale della gh mi girano i coglioni. Qui in India ogni volta che sto per uscire dalla mia stanza mi girano i coglioni. Con le uniche eccezioni di Sasan gyr e Ranthambore. E infatti lungo il percorso che mi porta al ristorante litigo con 3 rinoglioniti. Ma stavolta ho la soddisfazione di potergli (seppur indirettamente) alzargli le mani. Siccome gli indiani scavallano le file con grande ignoranza e menefreghismo, uno di questi, al nastro controllore della stazione, mi mette il suo bagaglio di merda davanti al mio e così con una malizia riesco a farlo volare in terra. Con una spinta. Prova a reagire che ti infilo dentro la macchina! Prima litigo con i soliti scassacazzo che vogliono vendermi le loro truffe. Di solito è indifferenza ma questo ha la malaugurata idea di venire a scassarmi il cazzo mentre sto sorseggiando una delizia locale: succo di papaya appena spremuto. E così litigare è un must. Poi provo un nuovo succo: questo frutto si chiama morombi, gusto nuovo per la mia lingua. Buono. Al ristorante mi prendo un thali con diverse buone pietanze e poi capra fritta e gli indiani che sono come i turchi e gli italiani mi portano un pezzo di carne grande come un biscotto e 3 ossa impregnate di salsa. Della serie un paese che mi ha rotto i coglioni da 20 giorni. Assieme all’Italia e alla Turchia, l’India è l’unico paese dove sento sovente l’impulso di fare a botte (almeno 5 volte al giorno). 32 fialette di enterogermina, 8 pastiglie di Sandoz e un po’ di saggezza mi hanno evitato pessime, improponibili esperienze. Adesso sono solo le 15.00 e sono già all’aereoporto. Ho il volo alle 23.00! Ovviamente all’internet store i tipi avevano capito che partivo  e mi hanno detto: “Taxi per l’aereoporto? 250 rupie.”
Io: “Vado in metro.”
Loro: “Il taxi costa 250 e arrivi in 40 minuti. Il metro costa 170 e arrivi in 1,30 h.”
Io: “Eh certo, non ho mai visto in nessuna parte dell’universo un taxi essere più veloce del metro!...”
Per il resto le loro affermazioni sono tutte cazzate e infatti io prendo il metro e spendo 80 rupie. E ci metto 25 minuti! Il bilancio finale annovera comunque 2 fra i momenti più spettacolari della mia vita: i leoni di Sasan e la tigre di Ranthambore, annovero anche la bellissima Jodhpur e il suo castello maestoso, annovero la città medioevale interna di Jaisalmer, le bellissime moschee di Junagadh e l’Hawa mahal di Jaipur. Quindi incontri speciali e una delle scuole architettoniche più belle del mondo. Di un livello che batte qualsiasi scuola europea e anche gli spettacolari castelli francesi, tedeschi e spagnoli. Per quanto riguarda il confronto India-Italia, se prendo i considerazione le rovine degli antichi romani, l’India appartiene a una bellezza nettamente superiore e addirittura fuori portata. Se prendo in considerazione scuole più recenti come le città toscane allora per i miei occhi il confronto diventa addirittura ridicolo perché l’India è magnificamente superiore. Per tenergli testa bisogna volare a oriente, dagli occhi a mandorla. L’India è disseminata di meraviglie architettoniche speciali, foreste magiche abitate dai più bei terrestri del mondo ma intorno a queste oasi (anche vastissime) c’è l’inferno. Un inferno prodotto dagli umani. Tigri e leoni a parte, ciao India senza rimpianti ne nostalgie. Se uno mi chiedesse: “La rifaresti questa esperienza?”
“Certo che la rifarei.”
“E ci torneresti?”
“Certo che ci tornerei.”
Ma domattina inizia il vero paradiso. Domattina atterro in paradiso. Leoni a parte.
L 28) Notte. Al gate n°6 non mi sembra vero di essere in mezzo ai thai. Dopo 20 giorni di India non mi sembra vero che nessuno mi rompa i coglioni, che tutti si sanno comportare, che mi lasciano nel mio e che un sacco di tipe sappiano dove mettere gli occhi. Sull’aereo pago coi dollari che ho portato per la Cambogia. E mangio subito il nasi lemak. I miei sensi tornano al paradiso che ho perduto 5 anni fa. Dopo 20 giorni di India e 5 anni di italian food, questo si che è mangiare per godere. Poi mi prendo il chicken rice thai con la salsetta piccante. E io godo. Il peperoncino più buono del mondo con la sublime salsa che trasforma in delizia ogni chicco di riso e la carne di pollo. Dopo 20 giorni a mangiare ossa di pollo e di capra finalmente un popolo serio mi porta un piatto serio: fette di pollo a volontà. Fanculo all’India, alla Turchia e pure all’ Italia. Ci sono le 2 hostess di air asia che sono bellissime, da picchiargli la cappella sugli occhi a mandorla. Appena arrivo a Krabi ne prendo 2 e le smonto.
L 28) Mattina. Appena esco dall’aereoporto all’umidità dell’aria thai è come se mi risvegliassi da una malattia. Mi sento troppo bene. Questo è il mio caldo. Detesto i climi secchi! A causa del sonno decido di andare a Hua hin. E’ una cosa che non dovrei fare perché so già come andrà a finire. Ma si, dormirò e alle 2.00 di notte scenderò a Suratthani. So già che non prenderò quel treno delle 2.00, mai. Se scendo a Hua hin ho il destino segnato. Cazzo, com’è pulita la Thailandia, sembra di essere nel nord Europa. Cazzo, come sto bene. Nessuno che mi rompe i coglioni, nessuno che mi segue, un clima perfetto, i profumi dei cibi thai, le gambe super sexy delle thai, le cosce nude delle thai, i piedi sexy delle thai-girls. India-Thailandia: l’inferno e il paradiso. In India ogni 5 minuti volevo menarmi con qualcuno, i thai invece sono i thai, gentili, calmi, tosti quando devono esserlo. Lungo la strada sento gli aromi dei cibi e tutti i profumi di questa terra ora me li ricordo, anche quello dell’aria. I cibi deliziosi. Hua hin, 5 anni dopo. Dopo 100 metri so già come andrà a finire. L’ultima volta mi ero slinguato 11 tipe e scopate 2. E così accade. Me ne limono subito 2. La seconda ha la pelle delle cosce scure e sexy come solo le asiatiche ce l’hanno. Mentre la limono gli accarezzo le sue gambe in continuazione, dai piedi, sulle caviglie, su fin sotto il ginocchio e poi su, lungo le cosce. E così mi esplode l’uccello. Mi alzo e decido di andare comunque a riposare ma lei chiamando le sue amiche dice che non posso camminare così.
Io: “Tanto ho il marsupio davanti.”
Così cammino fino alla guest house con il cazzo duro che non vuole assolutamente seguirmi nel sonno. E così mi convinco che non è il caso di dormire. Ormai in fissa con quella tipologia di gambe, torno indietro e ne trovo una più carina ma con quel tipo di gambe: scure, lunghe e carnose, non la voglio stecchina ma ovviamente neppure grossa. La pelle delle gambe thai è supersexy e così il sonno se ne va. Ci sono dei miei amici che credono che la cosa che più mi piace sia il seno ma in verità la cosa che più mi piace sono le gambe, dai piedi fino all’inguine. E così dopo essermela slinguata e accarezzato le sue gambe di fuoco, gliele lecco dalle ginocchia fino all’interno coscia e me la scopo e mentre la pompo gli accarezzo costantemente le gambe e vengo guardandogli le cosce. Uuuh, this is sex. Ogni parte del proprio corpo e del corpo della partner da uno sballo diverso a seconda di dove riponi gli occhi e le mani. E lo sballo più caldo è quello delle cosce. Attraverso gli occhi io posseggo le sue cosce con il mio cazzo. Ovviamente lei si vanta con le sue amiche perché ho il cazzo che mi esplode anche dopo essere venuto e così una di queste 2 si avvicina per toccarmelo, mi limona e mi sussurra: “I do everything.”
E io gli infilo l’uccello fra le tettone e voilà, un 20 minuti di titjob. È carina di brutto e ha la 3°. Ha le gambe scure, in carne  e le scarpe coi tacchi, wow, this is double lussuria. Mentre mi spompina con il seno io le stringo le caviglie e gli accarezzo la parte superiore dei piedi. Siccome noi figli del caos non proviamo rimorso e non abbiamo inibizioni, io, beato nella lussuria e deliziato dal mio corpo esco e in 2 ore me ne slinguo altre 3. Sempre con le mani lungo le loro cosce supersexy. M’intrippo con una che mi è affine. Ovviamente è dell’Isaan e ha le gambe più chiare. Tettona siliconata, carina da 7. Lei mi tocca in continuazione i pettorali e così via al sex-narciso. Prima mi tocca l’uccello, glielo fa vedere alle sue colleghe, si alza la gonna lunga e mi chiude fra le sue cosce. Lo fa apposta. Le mie mani salgono lungo la pelle delle gambe e poi sotto la gonna fino…gambe calde, tette siliconate + pretty face: “Andiamo su.”
Questa scopa con particolare passione. Devo chiamarla zoccola per come le piace particolarmente il cazzo. Mi lecca lo sterno, fra il petto, mi limona, mi tocca e in questo mix di eros la cosa che più mi sballa sono i suoi capezzoli sempre in tiro e così ovviamente io vengo sui suoi seni sodi. È anche parecchio simpatica. Ce la ridiamo e vuole venire nel mio albergo.
Io: “No, ho già speso 2500 baht.”
Lei: “Alla 1.00 vienimi a prendere. Dont worry.”
Io: “Dont worry?”
Lei: “No pay.”
Thaigirls the best of the world. Isaan girls the best of the best.
Beato nella lussuria do un break al festival del mio uccello e vado a mangiare gli spiedini di calamari con salsetta piccante thai. Godo, 5 anni dopo. Pad thai sea food. 5 anni ho aspettato per sentire ancora questo gusto. Thailandia, il piacere in terra. Donuts per 10 baht, ah come godo. Sulla via del ritorno gioco con altre due thai 40nni ma tettone. E vicino alla gh chi becco? Ora ricordo, 5 anni dopo! I fottuti negozi di camice indiane. Con l’indiano che mi scassa il cazzo in perfetto stile-india. Due sono i vestiti che odio: la camicia e la giacca e tu mi scassi il cazzo con il tuo stile di merda quando posso farmi chi voglio nel raggio di 20 metri?! Ma vai a fanculo tu e i tuoi vestiti! Alla 1.00 toc-toc. Wow, non so se mi desta il toc-toc o il mio cazzo. L’isaan-girl mi fa sentire come i leoni di Sasan che quando le leonesse vanno in calore devono scoparle 35 volte al giorno.
M 29) Anche quando mi siedo a gustarmi la zuppa thai ho le sue tette stampate nella mente, le sue cosce stampate nel cervello, nitide come se le avessi davanti e i suoi piedi nelle scarpe decolté stampati nelle mie memorie. Salgo sul treno e scendo nella penisola di Malacca. Poco dopo le meravigliose colline a limestones appaiono fra le risaie. Sono le colline più belle del mondo, sia in terra, sia in mare. E sono la 2° range più bella del mondo dopo le alpi scandinave. Ammantate dalla giungla lussureggiante, primordiali e antiche come la terra stessa. Me le gusto sorseggiando per 30 minuti il caffè ghiacciato thai. Amo tutte le foreste ma la taiga e la jungla sono speciali, sono mie. Scendo a Chumpon perchè a sud il paese è allagato dal maltempo. Mangio i noodles larghi, altri meravigliosi ricordi che affiorano nella mia mente. La tipa della guest house dice che devo dimenticarmi Khao sok perché il maltempo ha cancellato i bus e mi conviene andare a nord. Mai ascoltare gli altri, sempre e solo se stessi. Su internet dicono che ho g, v e s di break del maltempo e poi ci sono delle strade alternative per evitare Chaya e Suratthani devastate dall’acqua. Io andrò a Khao sok, non me ne fotte un cazzo. È un’ossessione, una passione, un amore sterminato. Stavolta, come 5 anni fa, senza jeep e senza guida io camminerò fra le tigri.
M 30) E’ un lungo viaggio dalla costa est alla costa ovest. 8 h di bus fra boschi di palme e stupende jungle vergini. Non ha senso arrivare a Krabi di notte e così mi fermo a Phuket, luogo improponibile altrimenti. Sono le 22.00 e non ho un cazzo da fare. Vado a curiosare fra le  sex-house. Sto camminando in una vietta e una tipa in motorino mi si affianca: “Che fai qui?”
Io: “Boh, walking.”
Lei: “Vuoi venire a casa mia?”
Io: “Why?”
Lei: “Speaking.”
Questa è carina (7) e mi carica. Appena mi va in canna lei ferma il motorino e mi chiede: “Uhu, you want lady?”
Così mi presenta una sua amica superbeauty (9), proprio bellissima e limoniamo. Mi vogliono scopare in 2 e mi porta anche a vedere il campanello che dovrò suonare appena la superbeauty finisce di mangiare. E qui faccio l’errore più grande della mia sex-life. Dovrei stare con loro; perché è bella, perché ha un corpo armonioso e con le curve, perché gli piaccio e non vogliono cash. E invece io non seguo la logica ma seguo la mia fissa momentanea che è rivolta a una massaggiatrice del mio hotel. È carina, ha la faccia da zoccola, ha le gambe e i piedi sexy ma è nettamente inferiore alla superbeauty e io però vado dalla massaggiatrice e il destino giustamente mi punisce al completo. Si presenta in camera senza scarpe coi tacchi, a piedi nudi! Faccio pure l’errore di non chiarire subito i  termini del contratto e così dopo averla denudata, scopata e posseduto le sue cosce lei si rivela essere una delle poche thai, anzi isaan girls che si comporta come le isaan non si comportano: si riveste, non mi fa più toccare il seno, ma solo le gambe! Non mi slingua e si inventa che non fa i blowjobs ne i titjobs. Fanculo! L’unica consolazione è che è pur sempre una thai girls e mi dice: “Mancano 40 minuti, ti faccio una sega visto che ti rimane duro?”
Io: “Fanculo, io non pago per farmi fare una sega!”
Lei mi rimette la mano sulle cosce e m’invita ad accarezzargliele. “Visto che ti diverti lo stesso?”
E  poi mi fa giocare con le sue gambe. Gambe si, seno e resto no. Cazzo gli devi dire a una così?! Ha anche la strana usanza di stiracchiarmi i peli delle palle e ride quando lo fa, mah! L’unica altra cosa divertente è che la mia stanza è separata solo da una finestra-vetro tipo ufficio e aperta e da una tenda con la stanza di un’americana e la u.s.a. sente tutto e vede tutte le ombre. Così io vengo la twice giocando con le sue cosce. Non è una vera isaan girl.
G 31) “Forget it” mi aveva detto la tipa a Chumpon e infatti io sono a Krabi. Mai ascoltare gli altri. La strada che collega Phuket con Krabi passa da Phanga-nga e Ao luek. Il mio paese dei balocchi. Solo la Cappadocia turca e lo Utah sono più belli di questa landa preistorica. Le colline a limestone sembrano giganti di ere remote che uscendo dal loro selvaggio nascondiglio cercano invano di scrollarsi la jungla di dosso. Meravigliose e primordiali le colline sono tante e la jungla è meravigliosa come esse. Arrivato a Krabi, mi ricordo tutto della topografia di questa beata cittadina. Anche la mia guest house e la sua padrona che mi volevo scopare e con cui ci provavo ogni mattina. Eccola lì, sdraiata sul divano, Mem; ma lei non si ricorda di me. Io mi ricordo parecchie cose di lei invece. Fatalità del destino mi dà la stessa identica stanza di 5 anni fa. Piove, sono giorni e giorni che piove sulla penisola di Malacca. Su internet controllo le previsioni. Ci sono mattinate libere, giornate libere e notti libere ma il maltempo continuerà e così stilo il programma per tutte le escursioni che farò dalla mia base: Green tea guest house. Domattina è bello ma dalle 13.00 piove quindi niente cruise e niente spiaggia. Domani torno a Ao leuk e metto a ferro e fuoco i miei occhi e la mia digitale. Alle 17.00 vado al molo e mi prendo uno shake di mango. Il dealer prende un mango, lo sbuccia , lo taglia e me lo frulla. La quantità di liquido aggiunto è irrilevante e il gusto sublime di mango domina la bevanda. Il mango indiano è buonissimo ma quello thai è più buono. 60 centesimi per un bicchierone: ci metto 20 minuti a finirlo. 20 minuti di lussuria. Non saprei dire se è meglio il sesso o il cibo perché sono 2 piaceri veramente tosti. Però posso stilare una classifica dei miei sballi sessuali preferiti: 1 legsex, il piacere delle gambe è il più caldo; 2 boobsex; 3 facesex,  scopargli la faccia è tutto un altro tipo di sballo e la bellezza qui fa ancora di più la differenza; 4 feetsex, i piedi; 5 il culo. Scopare al buio o senza usare gli occhi è come mangiare insipido, non vuol dire un cazzo. Noi figli del caos conosciamo benissimo l’essenza delle cose. E la bellezza del viso è la cosa più importante. Perché anche nel legsex comunque io gli scopo anche la faccia. Ovviamente tutti questi dettagli femminili sono subordinati al mio corpo e al mio viso; perché la cosa più eccitante rimane il mio cazzo, poi i miei pettorali e le mie spalle ( che posso sbirciare dall’alto mentre gli do il cazzo alla fortunata ) e infine la mia bellezza del viso. Sentire il mio corpo che prende il suo corpo è lo sballo. Se non mi toccassero i pettorali o se non pensassi al mio corpo il piacere sarebbe inferiore, quasi scialbo. Alla sera cerco la mia ambulante preferita. Ma la mia bancarella non c’è più. Il 2° miglior pad-thai  della mia Thailandia non c’è più. E va beh. Mangio anche green curry fish, buono, thai food è thai food.  I thailandesi sono furbi, calmi, in gamba in ogni cosa, si sanno comportare, non sono mai arroganti ma non  si fanno neppure mettere i piedi in testa. Queste caratteristiche sono riscontrabili anche nelle donne e bisogna fare una distinzione fra 4 tipi di thai-lady: le isaan sono le più toste, sono scuola-strada e scuola-povertà; le malacchiane sono le più buone; quelle del nord siam sono le più tranquille; quelle mischiate con il sangue cinese ( visibile sui lineamenti) sono le uniche acidelle.
Venerdì 1 aprile) Il maltempo da un break e io non riesco a resistere alla tentazione di rivedere le spiagge Ray leh. Così m’infilo in questo varco temporale. In barca giungo alle spiagge Ray leh. Sono 3 spiagge, fra le più belle al mondo. L’Oceano Indiano è azzurro perla e la jungla  mista alla foresta secondaria di palme cresce sul bordo della spiaggia dorata. Le falesie di calcare bianco sono preistoriche, bellissime e affascinanti. Sono 3 spiagge dominate e nascoste da numerose colline a limestones dalle bizzarre forme aliene. Sono troppo felice di essere tornato e di calcare i passi di 5 anni fa. Sono troppo felice di rivivere questa terra di piacere che lasciai con nostalgia, una dolce, gustosa nostalgia. E stavolta ho la digitale e tutta questa bellezza me la porterò a casa. Le previsioni danno pioggia per le 13.00 e così alle 11.40 sono veramente tirato col tempo e ho 4 cose da fotografare. Vado subito al sentiero per la laguna. Finalmente trekko nella jungla. E’ ripidissimo in salita, scivoloso e tecnicamente divertente. L’ultima volta che entrai nella jungla fu a Khao yai.  Tutte le foreste sono belle e affascinanti ma la taiga e la jungla lo sono di più. Amo tutto di questa foresta: il canto perpetuo degli insetti e degli uccelli, gli alberi stupendi e lussureggianti, persino il fango marrone chiaro del terreno. Amo questo caldo umido che mi fa sudare dopo pochi passi. Aiutandomi con le corde fisse arrivo al point-of-view: e l’aria della jungla mi fa bruciare i polmoni mentre scalo e io adoro questo dolore. Il point-of-view su Ray leh est e Ray leh ovest è una meraviglia equatoriale. È un landscape da 10 senza discutere: la foresta di palme, che divide le due baie, la jungla di dipterocarpacee che ammanta le bianche colline calcaree, le pareti preistoriche che si stagliano sopra l’oceano. Faccio in tempo a fotografare e dopo 5 minuti scende il diluvio.  Proteggo la digitale mettendola nella tracolla, avvolgo la tracolla con asciugamano e impermeabile e infilo il tutto nello zainetto. Ma nella digitale c’è la reliquia 25  e le 530. Non posso permettermi di rischiare. Così rinuncio alla discesa nella laguna e ridiscendo in spiaggia. Sporco di fango raggiungo le grotte di Ray leh est e controllo: ok, ha funzionato, tutto è masarato tranne l’interno della tracolla. Le reliquie sono salve. Raggiungo i turisti all’estremità di Ray leh est, lascio tutto sotto le grotte. Sotto la pioggia mi butto nell’oceano per pulirmi mentre i russi giocano a palla. Ma il destino mi sorride. Smette di piovere e le previsioni risultano sbagliate. Non pioverà più. M’ incammino così lungo tutta la spiaggia est davanti agli isolotti a limestones e e i pinnacoli-colline dalla fantastica e spettacolare bellezza aliena. Poi vado a Ray leh ovest che è ancora più bella. E metto a ferro e fuoco la digitale. Mangio wide-noodles ai calamari. I noodles larghi sono una variante che adoro quanto i classici. Il gusto è diverso. Alla sera Mem mi fa un supersconto sulle due escursioni che io book per domani e lunedì: 1400 invece che 1800. Vado a mangiare con un siciliano e sua moglie portoghese, il 1° backpackers italiano che incontro quest’anno. Fanculo, ci sono il triplo delle bancarelle di ieri, allora forse c’è la mia dealer preferita! La bancarella in fondo, l’ultima. La figa non c’è. Ma ci sono i pesce-gatto e la vecchia assomiglia alla figa: è lei! È la madre! Pad-thai chicken, pesce gatto e salsiccia thai. Il 2° e il 3° in compagnia di un gatto che ha capito con chi deve stare. Concludo con mango-shake. Anche oggi niente sex.
S 2) Faccio il bis del boat-tour nella baia di Krabi; siamo solo in 4. Io, un inglese e una coppia di sposi spagnoli in viaggio di nozze. La gente ha paura della pioggia ma il mio calcolo funziona e l’acquazzone si abbatte solo alle 15.00 quando siamo ormai sulla via del ritorno, già sulla statale. La nostra imbarcazione scivola sull’Oceano Indiano fra le colline limestones che sono una favola preistorica. È una delle coste più belle al mondo assieme ai fiordi norvegesi e alla baia di Halong in Vietnam. Sulla sinistra l’oceano si nasconde nella foresta di mangrovie e a destra brilla blu sotto le meravigliose montagne ammantate dalla giungla. Montagne che sembrano i disegni dei libri di paleontologia quando devono ambientare i dinosauri nel giurassico o nel cretaceo. Una di queste sculture della natura è capovolta e sembra la punta di una lancia che trafigge il blu e sprofonda nel mare. È spettacolare, piccola e famosa per il film di James Bond. Dopo aver mangiato al villaggio di palafitte musulmane finiamo in una doppia caverna. Le tipiche bellezze sotterranee (stalattiti e roccie cavolfiore le chiamano qui, delle pareti di roccia colata )circondano dei Buddha grandi. Mi diverto a dare le banane ai macachi. Sono decine e appena vedono che la dealer mi da il casco mi circondano e io gli do le banane direttamente fra le mani. Sono meno aggressivi di quelli malesi ma un cucciolo si arrampica comunque sulla mia schiena.  Facile e divertente tenerli a bada comunicandogli con la “vera etologia”. Sapere è potere. Certo che se uno non sa finisce diretto all’ospedale. Alla sera, stanco, incrocio una isaan girl che mi mette le mani sull’uccello e mi vuole portare in stanza ma è bruttina e io vado a dormire.
D 3) Il più bel biking della  mia vita comincia alle 9.00. Devo solo ricordarmi costantemente di tenere la sinistra. Mappa e segnaletica e pedalo per 40 km fra le meraviglie preistoriche che dimorano fra Krabi e Ao nang da ere dimenticate. In verità le meraviglie fra cui gironzolavano i tirannosauri proseguono per altri 80 km passando da Ao leuk e quindi dal Than bokkharani e poi arrivando alla baia di Ao phang-nga dove ieri ho navigato. Il sole arde forte sulla mia schiena nuda e io sfrutto le discese e pompo nelle salite. Quello che c’è ai lati della statale è il mio paese dei balocchi. Come Goreme in Turchia e lo Utah in U.s, le meraviglie preistoriche sono belle, affascinanti e la jungla  che non riesce ad ammantarle totalmente le rende ancor più affascinanti. La jungla e la taiga sono le foreste più belle del mondo. Gli stop per le pics mi valgono ben 70 foto. In un campo di calcio scatto la pics più spettacolare. Le colline dei dinosauri intorno al campo sono estasi selvaggia.  Poi sbaglio strada e arrivo sulla spiaggia Nopparhat, classica spiaggia con palme, acqua cristallina, isole a largo e il villaggio con i turisti tintarella e ozio 24/24 h. Mi fermo a Ao nang. È la cittadina dove Mem mi aveva portato alla celebrazione buddista. Scopro un nuovo frutto, il dragon fruit; shake eccellente di colore blu. Poi mi mangio il som tom ponendo fine a un’altra nostalgia. Il som tom è l’insalata più buona del pianeta. Ovviamente non c’è nessuna insalata tipo lattuga, rucola etc; è fatto con papaya, peperoncino, limone, arachidi, una verdura sconosciuta etc. Compro qualche vestito. Da Ao nang si vede Ray leh dalla parte opposta. Ma la bellezza di Ray leh è nettamente superiore. Ao nang è solo una spiaggia con palme, comodità e un bel mare, nulla di più. It’s not for me. Al ritorno mi si buca la ruota e solo il fato mi salva perché il ciclista è a soli 500 metri dall’incidente. Alla sera, a Krabi, mi mangio yellow fried noodles, una versione cinese del pad-thai, anche questa sublime. Ma prima di sedermi noto che ci sono 2 meraviglie preistoriche anche qui, a Krabi town! È quasi il tramonto, il cielo è madreperla, la foresta di mangrovie è ancestrale e l’acqua del fiume colorata con il blu-violaceo del sunset. E vicine, parallele e ai 2 lati del fiume, ci sono 2 colline isolate, a limestones, aliene e strepitose. Thailandia, gioia mia.
L 4) La 2° boat-cruise si sviluppa nell’arcipelago più vicino ad Ao-nang. Siamo in 25 su una long-tail boat. Facciamo tappa in 3 isole. La 1° è discreta con qualche landscape interessante da 7. La 2° è Chicken island, l’isola a forma di pollo. Chicken island è un isola graziosa (8). All’estremità il suo pinnacolo roccioso è alto e sottile e sembra il collo di un pollo che si protende dall’isola boscosa. La 3° isola è una micro-isola con una bella spiaggia chiara e si può camminare nell’oceano da questa isoletta a Chicken island. L’Oceano Indiano intorno è bellissimo, cristallino, e chiazzato da varie tonalità di azzurro e blu. È una discreta crociera. Ma gli altri 2 arcipelaghi (Phi-phi e Hong) sono molto più spettacolari. Sul songthaew del ritorno c’è un italiana che ragiona da italiana e sostiene fra l’altro di adorare gli indiani. Quasi a Krabi si accorge che ha lasciato la borsa e la digitale chissà dove e scoppia a piangere chiedendo vanamente ai drivers di tornare indietro. Viene salvata dai deutsch che le regalano 800 baht per tornare in taxi a Ao nang. Dice che aveva tutto: documenti, cash e carte di credito. Chissà che fine avrà fatto. In una situazione del genere io ho consigliato la polizia e poi chiamata al consolato. Nella borsa dice che aveva 300 euro, vale a dire 2 stipendi mensili thai. Impossibile che la trovi un anima onesta…Alla sera stanco per aver dormito male declino un appuntamento piacevole. È la thai receptionist di un'altra guest house. Molto carina, scura e con le gambe sexy sexy. Mi vuole deliberatamente scopare e mi da puntello alle 9.00. Un vero peccato ma sarebbe inutile fare sesso così assonnato. Sarei solo una macchinetta senza coscienza. Io arrivo alle 20.40 e glielo dico. Lei mi solleva la canottiera e  mi palpa i pettorali e poi scrolla le spalle e mi dice: “Eh va beh, sei stanco…..stanotte hai scopato?”
Io: “No. È che non sono riuscito a dormire.”
Così vado a mangiare da solo ma al ritorno una isaan girl esce da un go-go bar e mi trascina dentro. È molto carina, è isaan…uhm, vorrei andarmene perché ho sonno ma questa mi fa rizzare l’uccello subito, subito e dopo aver giocato sul bancone me la porto sul retro.
M 5) Fa sempre male lasciare la Thailandia, anche quando mancano ancora 7 giorni al fly. E lasciare Krabi fa sempre male. Alla gym le thai ballano la tecno. Siccome una balla come scopa, anche a ballare le thai ovviamente sono le migliori. Scendo a Takua-pa dove devo fermarmi perché non ci sono bus dopo le 16.00 per la jungle. È una cittadina non turistica.
M 6) Un’altra nostalgia placata. Welcome to the jungle scrivevano i Guns n’ roses parlando di Los angeles. Nulla di più sbagliato. Una metropoli è l’opposto della jungla. La jungla è una poesia selvaggia, violenta e affascinante. La jungla è un luogo ove tutte le creature fanno ciò per cui sono nate. Fanno ciò che sono. Sono libere di essere. Ci sono assassini, ladri e rapinatori nella jungle ma non ci sono schiavi. Nessuno vive invano nella jungla. La jungla, 5 anni dopo Khao yai. La jungla profuma, suona, brilla. Profuma di forze, suona eterne melodie e brilla di tanti verdi. Le differenze fra le foreste tropicali secche e le jungle sono abissali. Dormo in un bungalow di legno sollevato dal terreno. L’aria è umida e il caldo tosto. Camaleonti, varie lucertole e scoiattoli gironzolano intorno a me. Innumerevoli uccelli cantano note sconosciute. Io sorseggio il mio shake di cocco. Nella mia casa. Che è nella mia casa. This is Khao sok jungle. 5 anni dopo, io e le tigri.
G 7) Partecipo all’escursione con guida e boat. Il gruppo è costituito curiosamente e solamente da tutti i paesi dell’Europa latina: io (Italy), un francese con la sua tipa portoghese e 2 sposi spagnoli. C’è un’ ora di pick-up per raggiungere il molo del grosso lago Chiaw lan. La jungla di Khao sok è enorme. La statale corre fra le montagne dei dinosauri. Le limestones mountains sono di forme preistoriche e fantastiche, impregnate di fascino e bellezza. Ho un fottuto mal di denti ma non ho nessuna intenzione di rovinare l’escursione agli altri e così sopporto e tacio. La barca naviga nel lago circondato a 360° da altre meravigliose montagne dei dinosauri. È un paradiso straordinario. Le pareti bianche delle rocce-limestones emergono dall’acqua blu e dimorano fra la jungle che non le può conquistare. Mangiamo su delle palafitte nel cuore della sterminata giungla della Malacca. Mentre le tigri chissà che fanno? Il lunch è ricco: omelette, 2 grossi pesci fritti, green curry, riso dolce al cocco, uno squisito dolce di cocco, un mango a testa, ananas, anguria, misto di verdure alla thai: sono seri i ranger di Khao sok. Terminato il lunch, approdiamo in una piccola baia del lago e trekkiamo per 1h nella jungle. Passiamo per una caverna dove incontriamo ben 4 serpenti delle caverne: tipacci lunghi 2 metri. Molto belli e viperidi. Usciti, arriviamo su un’altra sponda del lago dove le montagne dei dinosauri sono strepitose. La jungla di Khao sok è la jungla più bella dove sono mai stato, più bella del mitico Khao yai, del Taman negara e di Leuser. Torniamo alle 18.00. Alla sera l’antibiotico placa il dolore. E mi godo il pad-thai fatto coi wide noodles. La jungla suona sempre, è un luogo che non conosce il silenzio; di giorno le cicale cantano il loro alieno e perpetuo beee-eeeeee (eh si, adesso ho scoperto chi fa quel suono!) e innumerevoli uccelli cinguettano versi sconosciuti. Alla sera invece, le cicale tacciono e si destano le rane. Qui nella mia casetta di legno mi addormento con la ninna-nanna eterna degli anfibi.
V 8) Io e le tigri, 5 anni dopo. Io da solo e loro come nel 2006. Come sempre senza guida e senza compagni, come da mia abitudine; ma qui non ci sono lupi o orsi, qui ci sono loro, le supreme. È il mio cuore che me lo chiede. Scarponi da trekking, chicken rice, bottiglia d’acqua e a petto nudo entro nella giungla alle 9.30. Dopo 100 metri sono già zeppo di sudore. Tanti pensano che nella jungla le zanzare ti fanno a pezzi se non ti copri ma invero le mosquitos sono quasi assenti. Nella taiga ti fanno a pezzi, nella jungla (paludi escluse) di giorno non rompono il cazzo. Chi rompe il cazzo è qualcun altro: fottuti come vermi, bastardi come aguzzini in una segreta, strutturati come i troll dei libri fantasy, i lychees sono un nemico che noi umani non possiamo vincere; posso solo sopportare e fare un censimento di abomini sui miei piedi ogni km. Brutti figli di puttana, i lychees non si possono accoltellare, (perché non muoiono), se li tagli non muoiono, se cerchi di spappolarli non puoi perché sono gommosi (come i troll!) e quandi li prendi per strapparteli dalla pelle i cornuti hanno due bocche e così tac, ti si attaccano alle dita e solo scrollando le mani li fai volare lontano. Solo bruciandoli li puoi uccidere e io non ho tempo per questo e perché se ti fermi a bruciarli altri 10 lychees ti salgono sulle scarpe…lychees: in italiano sanguisughe. È una guerra persa. Che dura per tutto il trekking. Marcio lungo lo scuro fiume Sok. La jungla è spettacolare. È costituita da dipterocarpacee, poi ci sono zone a bamboo, di un verde che pulsa e poi, isolati, delle specie di banani equatoriali che hanno le stesse enormi, bellissime radici dei tualang. Sono gigantesche opere d’arte di madre natura. Con le radici lunghe anche 10-15 metri e alte 1,00-1,40 metri, formano delle rocambolesche geometrie intorno ai tronchi secolari e enormi. Devo rimarcare il discorso sulla foresta a bamboo: è una bellezza diversa e assolutamente eccezionale. Banian e bamboo sono bellezze e fascini diversi. Lungo il path che mi conduce alla cascata Ton kloy ci sono altre 6 cascate. E io, a ognuna, ne approfitto per fare il censimento delle bastarde sanguisughe sui miei piedi e per buttarmi nel fiume e ripulirmi momentaneamente dal sudore. Quando mi levo le scarpe ci sono abomini tipo 4 sanguisughe  avvinghiate che mi ciucciano lo stesso punto del piede; io le stacco, le lancio lontane e sanguino per diversi minuti…alla 2° cascata, in riva al fiume c’è una inglese con il piede disseminato di cerotti. La jungla è dura e per via dell’ umidità e del terreno scivoloso si viaggia lenti: anche se sono in 5° cammino in 3°. Arrivo alla cascata Ton kloy alle 13.15. E’ piccola, bassa, possente e non può reggere il confronto con la Suwat di Khao yai o con altre meraviglie assolute tipo Niagara o Kaiteur. Però la Ton kloy è un must. Perché è magica. Ruggisce nel cuore della foresta lontana dai villaggi. Ruggisce piccola ma potente in una conca perduta del fiume scuro. Sicuramente di notte i leopardi o le tigri ci nuotano. Mangio su un masso in mezzo al fiume, davanti alla conca della Ton kloy, dove le bastarde lychees non possono importunarmi. Sosto 1 ora. Ci sono le monitor lizard, dei varani. 3 corrono veloci quando mi avvistano, a meno di 4 metri. Uno invece nuota nel fiume Sok. Al ritorno la marcia è dura per via dei sali & scendi lungo il fiume. Termino i 14 km alle 16.30. 2 h prima che si sveglino le tigri. È un’ ossessione, un amore sterminato, una passione profonda come la Fossa delle Marianne. A quanto pare tornerò in Italia perché dopo Khao sok le altre jungle sono abitate solo dalle pantere e dai nebulosi. Nel giardino del mio bungalow incontro un bellissimo serpente verde e poi lungo la strada per il ristorante un altro tipo che mi sta fottutamente simpatico. Non ci penso mai a lui ma per l’astrologia hindu io sono fortemente influenzato dalla sua essenza. E infatti con lui condivido un principio che va portato a termine a tutti i costi, come una missione: il principio della vendetta. Lo scorpione è grosso. È calmo e si ferma e attende quando gli punto la luce. Ma non gli do motivo di minacciarmi. Mangio il pad seuw, un pad thai fatto con noodles enormi, buonissimo, coi gamberi. Poi ordino un piatto sconosciuto e invece quando arriva lo conosco. È l’unico piatto thai che detesto e l’ho provato paradossalmente proprio la 1° volta che mangiai thai, a Bangkok nel 2006. Immangiabile: si chiama raa…boh, raa-qualcosa.
S 9) Lascio la jungle e torno in città, a Suratthani. Treno per Bangkok. È un lungo treno che parte alle 18.00 e arriva a Bangkok alle 10.00 per via di un incidente (2h di ritardo).
D 10) La penultima “nostalgia” è placata. Bangkok, capitale del regno di Thailandia, 5 anni dopo. Come vuole la tradizione mi prendo una vaschetta di donuts ( 6 ciambelle U.s.a., ognuna diversa) alla stazione. Poi torno a Khao san, dove lasciai la Thailandia 5 anni fa. Khao san è una via che vive sempre. C’è un break di quiete solo fra le 4.00 di notte e le 8.00 am. Per il resto vive sempre. Farang e thai affollano la via dei pub, dei negozi, delle guest house, delle discoteche. Khao san è casino 20/24 h. la musica techno-thai pompa attraverso le finestre della mia stanza ininterrottamente fino alle 4.00. Se mi affaccio, sotto, ho il Silk bar, dove iniziò tutta la mia avventura 2006. Oggi, affacciandomi, posso vedere Bologna-Napoli perché il maxi-schermo del Silk bar è enorme. La burma non c’è più. Ci sono altre gestrici sempre di Myanmar. Ma lei non c’è più. Ogni mattina scendevo, gli facevo i trabocchetti e ci provavo. Non la rivedrò mai più. Khao san è in festa perché si avvicina il Songkram, il capodanno lunare buddista. È allarme rosso perché festeggiano a colpi di gavettone e bisogna proteggere la digitale con i sacchetti di plastica. Vado dalla dentista e in pochi minuti di intervento mi estrae 2 denti. Tutte le dentiste sono bone. Alla sera è impossibile mangiare bene perché a Khao sok cucinano da cani.
L 11) Pompo 2h nella gym di Khao san. C’è anche un muay-fighter canadese che mi chiede consigli sul training delle gambe allo squat. Poi m’incammino e vado al Wat phra kaew. Sinceramente non me lo ricordavo così spettacolare, così bello. È un insieme di meraviglie architettoniche che per me consacrano Bangkok come la capitale più bella del mondo. Sono edifici della stirpe mongolica  i cui colori luccicano e le cui forme dominano. Paris, ad esempio, è un’insieme di cagate architettoniche. Roma è antica, maestosa e carina ma ha ben poco di bello. Istanbul è graziosa ma non supera certi limiti. London anche. Bangkok invece è bella. E bisogna considerare che Bkk ha anche il Wat pho, altro capolavoro spaziale. E dall’altra parte del fiume c’è il Wat arun. Il Wat arun è come una tigre: è bello, è potente ma elegante, è alto ma massiccio. È una specie di astronave in stile hindu e infatti ricalca l’architettura indiana che è maestra. L’unico edificio che stona nella capitale thai è proprio il palazzo reale che non mi piace assolutamente e infatti ha uno stile stranamente europeo. Anzi, direi addirittura italiano stile 1800, una scialba schifezza. Bkk è anche il Lumphini stadium, il fun: thai-boxe e intorno caos e scommesse a tutto spiano. Bkk è anche nana: 1km (?) di 18-20 vicoli dove puoi scopare le pussy, le tits, le cosce, il culo, la faccia, i piedi del tipo di girl che vuoi farti oggi. Le ragazze in gamba sono centinaia: le vuoi tettone? Eccola qui. Ah, no le vuoi con una 2°, allora eccola qui. La vuoi con le cosce scure? Eccola qui, ah no, la vuoi con le cosce chiare, eccola qui. E i lineamenti del viso? Come la vuoi? A te la scelta. Età: 20-40 anni, a te la scelta. Bkk è una figata.
M 12) Proteggo la mia digitale con 2 buste di plastica, la tracolla e un altro sacchetto di plastica. Oggi inizia il Songkran e i thai e gli occidentali festeggiano con fucili lancia-acqua collegati a zaino-serbatoi di 4-5 litri!!! E non guardano in faccia nessuno. Minacciando 2 bambini e ammonendo 1 thai   e 2 farang riesco a evitare gli attacchi perché è mattina ma dopo le 16.00 sarò costretto a rintanarmi in un pub per proteggere la mia sacra reliquia pics n°25. Passeggio così fino al Wat pho. È un altro complesso di edifici fantastici che rendono Bangkok la capitale più bella del pianeta.  Nel cortile del Wat pho, i chedi svettano bellissimi verso il cielo azzurro e vuoto. Il tempio conserva un enorme Buddha dorato, lungo 46 metri. A pomeriggio, al ritorno a Khao san, m’infilo nel Silk pub e mi scolo 2,5 litri di birra  fra le 17.00 e le  22.30. Sono seduto in posizione strategica dove i cornuti in strada non possono colpirmi. La folla in Khao san è masarata. Per fortuna che alle 22.00 mene vado! Perché la guerra ad acqua durerà ben 72 ore. C’è una tipa inglese che vuole limonarmi e poi scoparmi. In effetti è un buon passatempo considerando che ha la 4°, le cosce nude ed è carina. Alle 22.00 il tipo del minibus viene a prendermi a piedi perché Khao san è bloccata. Riesco a fotterli e a cavarmela con una sola raffica sul busto  da una cornuta western! Le mie holy pics sono salve: tigri e leoni hanno superato la prova dell’acqua. All’aereoporto sto male: ho delle forti fitte alla pancia. Peggior situazione possibile. Ma con digiuno e un cazzo di antibiotico riesco a evitare il cesso. Alle 6.45 il mio Air asia decolla. Fa sempre male lasciare la Thailandia; fa male al mio cuore e anche al mio uccello. La Thailandia è una terra che si ama.



by Tytanchaos