domenica 23 marzo 2014

2012 Tytanchaos in Espana

TYTANCHAOS IN THE WILD UNKNOW
TYTANCHAOS NEL SELVAGGIO IGNOTO


Sverige & Espana, luglio 2012.

Martedì 3 luglio)  Questo è il virtuale addio a cui tengo di più. Perché la landa madre che ha partorito la mia essenza è questa. Perché vengo da qui. Perché amo questa enorme penisola più di ogni altra terra del pianeta. Perché le rocce che emergono sono eterne come l’ego. Perché la taiga è la foresta delle foreste. Atterro in Svezia alle 8.30. Quest’anno ho unito il 1° tratto del Kungsleden, una sezione del Nordkalottleden e tutto il Padjelantaleden: 272 km di marcia perché esagerare è bello e esagerare per noi titani del caos significa leteralmente usare la nostra tenacia al di là del nostro corpo. Andrò a vincere e questo lo so già. Ma la cosa più bella, più bella della sfida, è l’edonismo, la lussuria. E così dopo il crocevia di Singi devierò per terre a me ignote e per giorni vagabonderò libero per nuovi paradisi selvaggi che sono sconosciuti ai miei occhi. Per i primi giorni mi accompagnerà Cristian, un amico di vecchia data. La natura deve amarlo perché solo uno che è amato dalla natura può avere l’intuizione di scegliere il Kungsleden. Così un altro uomo si appresta a sudare e soffrire per scoprire il vero, antico volto della Terra. Ora è sera e il mondo intorno a me, fuori dal finestrino, profuma perché la foresta è buona; auto non se ne sentono da ore e ditte non se ne vedono da centinaia di chilometri e il silenzio della foresta è la beatitudine che mi spetta di diritto. La mia gatta è l’unica cosa che mi manca. Tra poche ore, quando mi risveglierò sballottato dal treno, so che la taiga sarà ancora più assoluta. Perché salgo sempre più su, fino a quasi dove finisce il mondo. O dove inizia il mondo.
M 4) Un tedioso ritardo e così scendiamo dal treno alle 16.00. Ultima spesa nell’avamposto della civiltà. Poi porto Cristian a vedere la potenza dell’Abiskojokk che ruggendo scompare nella caverna e sempre ruggendo esce sull’altro lato del tunnel. Il mio friend è ammirato, impressionato e anche preoccupato perché il path è lungo il bordo del canyon e non ci sono protezioni. Provo parecchia soddisfazione nel constatare che gli piace parecchio. Verso le 18.00 valichiamo il mitico portale di legno del Kungsleden e conduco Cristian nei territori selvaggi. Questo trekking è ancora più lungo dei 5 precedenti (06- 07 – 09 -10 -11) e lo zaino dai 23 kg usuali, quest’anno mi pesa 29 kg ed è un peso che mi rompe il culo. Nella taiga sterminata ci accampiamo di fianco al meraviglioso Abiskojokk, cuciniamo 3 salsicce svedesi sulla griglia che prepara Cristian e io mi sparo anche il risotto alla parmigiana. Conosciamo un boscaiolo svedese che mi spiega che sull’altro lato del fiume, la montagna è spartita territorialmente da 3 linci che non sono difficili da incontrare e poi mi spiega dove è più comune avvistare gli orsi. Altrimenti, come so benissimo, lui mi dice: “In 21 giorni passerai infinite volte vicino a loro, magari a 5 metri. Ma stanno fermi e ti guardano nascosti dalle betulle e tu non te ne accorgi.”
Ascoltando la potente melodia dell’Abiskojokk mi addormento.
G 5) Il freddo mi sveglia verso le 4.00 e devo attendere le 6.00 per riaddormentarmi. Cristian ha una tenda monoposto della Ferrino ma è ancora meno isolante. 29 kg sono veramente estenuanti da trasportare. Marciamo per 13 km e alle 19.00 ci accampiamo ai piedi delle Alpi Scandinave. La mia tenda è aperta sulla preistorica fenditura della cascata del monte Giron mentre a circa 300 metri, un altro fiume pieno di rapide, grosso e possente, ruggisce eternamente. Cristian è appagato dalla bellezza che lo circonda. Al secondo stop abbiamo conosciuto un gruppo di hikers colombiani.
V 6) Marciamo sotto la pioggia che cela l’eden dove ho portato il mio amico. 28 kg sulla schiena sono veramente estenuanti. Anche ieri, per esempio, anche se non c’erano dislivelli nei 15 km fatti, potevo dire che un solo giorno con 28 kg  è il 40% più duro della salita al Legnone dal classic Roccoli Lorla (1200 metri di up). Oggi, con i dislivelli (moderati) vado in continuo down energetico  e devo mangiare di più. Cristian trova una hut e c’infiliamo a rifocillarci ribeccando il nostro amico boscaiolo. Io mangio i noodles piccanti e quando ripartiamo il cielo è aperto, c’è il sole e il sipario delle alpi scandinave  è spalancato per il mio amico. Questo tratto di 20 km del Kungsleden  è una meraviglia continua  e dopo i guadi a piedi nudi nei torrenti subpolari ( che mi fregano le ciabatte), il trail termina nel paradiso del fiume Aleusjokk. Un luogo che amerò e ricorderò fino alla morte.
S 7) Viaggiamo nei paradisi incontaminati. Cristian è molto soddisfatto della infinita bellezza che scopre ad ogni passo. Mi pone anche qualche lecita domanda su come gestire psicologicamente una fatica e una sofferenza così grande come il percorrere decine di km con più di 20 kg sulla schiena. Lui non molla e questo è il centro di ogni risposta. Il tratto Aleus-hut – Tjaktja-hut è uno spettacolo continuo. Ad Aleus metto lo knapsack sulla pesa per curiosare. I 27 kg del mio zaino sono veramente un fardello rompiculo. In più il trek è tutto in salita, moderata ma continua. 12 km dove si trekka sul pianeta Terra così com’era quando l’uomo non l’aveva ancora violentata con il suo stolto, vuoto desiderio di ricchezza e potere. I supertrek precedenti erano sempre iniziati dopo il 15 luglio e infatti adesso le montagne sono più bianche e i ghiacciai che circondano il canyon di Tjaktja hut sono imponenti muri de neve. Ma il trek non finisce qui. Col cazzo che monto la tenda a questa altitudine, 200 km sopra il circolo polare artico. Dopo aver conosciuto un’ araba, guido Cristian lungo l’ultima ascesa e le ultime 2 h di marcia. Stanco, marcio verso il passo di Tjaktja: una dura salita fra sassi anneriti dalle paludi e ambigui ghiacciai dilaniati dai crepacci. Solo con le scarpe da trek e 27 fottuti kg sulla schiena, trekkare sui ghiacciai è lento, durissimo e devo stare attento a dove metto i piedi. Passiamo a 10 metri da un crepaccio. Vorrei fotografarlo ma sfidare la sorte non è cosa saggia. Partiti stamane alle 11.00, raggiungiamo il passo Tjaktja e la dolce, piccola baita alle 20.45. Il selvaggio e bianco mondo che mi circonda verso nord è bello, ma a sud, solo scendendo per 15 minuti, c’è uno dei paradisi più belli del mondo. La valle di Tjaktja, un luogo che appartiene al mio cuore. 
D 8) Stavolta, come la 1° volta, 6 anni fa, la valle di Tjaktja me la gusto tutta. Il suo fiume furibondo e libero partorito dalla genesi del mondo. Cristian condivide il fatto che Aleus e Tjaktja siano i luoghi più belli del Kungsleden-sezione A. E infatti, seguendo un culto proprio, seppelisce una pietra nella tundra, al punto migliore del point-of-view. Scesi nella valle di Salka, marciamo fra le imponenti montagne-puffo, seguendo il corso del Tjaktjajokka, che qui, più in basso, è già diventato una larga striscia blu che serpeggia fra la tundra sconfinata disegnando una poesia immota ed eterna. Ne ho visti più di 80 di territori selvaggi in tutto il mondo ma la bellezza della Svezia e delle Alpi Scandinave può essere pareggiata solo dalla Norvegia e quindi dalle stesse montagne sul versante occidentale. I 27 kg dello zaino mi hanno scassato i coglioni e non vedo l’ora, consumando provviste, di scendere a livelli duri, va beh, ma accettabili per la sciena, cioè circa 24. Accampati vicino a Salka hut, in mezzo a un mondo uscito dai balocchi del caos, Cristian dice: “E’ un lusso mangiare e dormire qui.”
Io: “Quando il sole spuntò per la 1° volta all’orizzonte, tutti gli umani e non-umani abitavano eden come questi. Perché la Terra selvaggia è tutta un eden. Dei maiali incravattati e le loro bastarde consorti ingioiellate hanno tramutato gli eden in vuote schifezze che chiamano città, centri commerciali, ditte e merdate varie. Ce l’hanno rubato l’eden e io torno sistematicamente a riprendermelo perché mi appartiene di diritto. E come mi appartiene l’amore per le linci che girovagano qui intorno, così mi appartiene di diritto l’odio totale e gustosissimo per i maiali e le cagne che si sono incravattati.”
L 9) 2 h dopo la partenza, al crocevia, a metà strada da Singi, io e Cristian ci salutiamo. Lui raggiungerà Nikkaluokta come la maggior parte degli hikers, nella classica, meravigliosa traversata del Kungsleden sezione A.Io devio a ovest, solo. Devio verso terre ignote. Imbocco il Nordkalottleden, supero un fiume incantato di un blu fatato e salgo in una valle perduta. Le Alpi Scandinave sono così, strepitose e stupefacenti ovunque. Devo fare 15 km fino a un punto che ho prescelto. Trekko in up; c’è un continuo dislivello. Ci sono carcasse di renne lungo il sentiero. Quanto bramo l’incontro con un orso. Mentre costeggio dei grandi laghi perduti, un’aquila, bassa e vicinissima, volteggia sui branchi di renne e le madri mettono in fuga i piccoli. Sui ghiacciai dimorano splendidi maschi dai palchi pittoreschi e bellissimi. Trekko e trekko e il passo non si vede, o meglio, ci sono dei passi ingannevoli e valicatili, non scendo, anzi, continuo in up. Incrocio l’unico altro hiker, un francese: “Down? No, rimane sempre così fino a Hukejaure hut. E poi ancora e ancora. Scenderai di quota solo domani pomeriggio.”
Cosa!? Merda, sono nei guai!! Non posso accamparmi a questa altitudine, 200 km a nord del circolo polare artico!  La temperatura scenderà a 1°. E cosa ancor più preoccupante sono le possibili tempeste di vento. Devo fare 25 km con 27 kg! E con il dislivello! Con la tensione e l’adrenalina che narcotizzano i morsi della fame trekko e trekko in un susseguirsi di mondi incredibili. Laghi lunghi anche 5 km, semighiacciati, che assomigliano alle coste della Groenlandia o dell’Antartide quando si sciolgono. La mia mente torna a quando avevo 14 anni e desideravo e sognavo luoghi così guardando i documentari. Verso le 17.30, guado un fiume freddissimo e profondo stando attento a non farmi ingannare dalla corrente. Il Kebnekaise e gli altri over 2000 ora non li vedo più. Ora sono dentro altri colossi subartici, montagne dimenticate dall’umanità. Ora sono al punto che mi ero preposto ignorando il fatto che è troppo in alto. Un luogo tanto bello quanto terrificante se dovesse cambiare il tempo…Trekko e trekko e arrivo su un altro pianeta, un plateau fra le cime, disseminato da enormi, infiniti macigni. E infatti per le leggende questo era territorio dei ciclopi. Spaccato ed esausto sono fra l’altro costretto a solcare o ad aggirare (quando posso!!)  decine di nevai e ghiacciai. Sono le 20.30 quando trovo il cartello: “ Norge, 5 km a ovest, Hukejaure, 2 km a sud.”
Merda, sono salvo! Finalmente ho raggiunto la hut! Ciò che c’è al di là del passo è un’altra incredibile visione per i miei occhi. Sono fra le cime innevate delle alpi lapponi, nell’Amazzonia d’Europa. Tundre, ghiacciai e nevai e macigni ricoprono un plateau digradante e sterminato. E in mezzo c’è un grande lago innevato, semighiacciato e in fase di scioglimento. La neve in poltiglia è il confine fra il ghiaccio letale e l’acqua assassina. E’ un landscape pazzesco, sono in un mondo pazzesco, mi sembra di essere in Groenlandia. La mia mente assorbe ogni dettaglio e viaggia nella remota essenza di questo heaven. Freddo, brutale e spietato, il landscape è un viaggio per un uomo che viene dalle Alpi, dove il sole può battere forte e la montagna è classica. Il mio corpo assorbe l’aria profumata dell’inverno eterno e io sento nel profondo delle mie viscere che questo incanto bianco mi accarezza la pelle con la tecnica e la sensualità che userebbe un pitone. Posso ucciderti quando voglio. Questo mi dice il sortilegio. Col cazzo che mi accampo qua! Anche se il sole splende ancora, l’aria è gelida e mi penetra le ossa. Chissà stanotte…Scendo in riva al lago. E il mondo intorno a me mi sussurra una sublime, splendida litania che ha per sottofondo un’ipnotica, costante, deliziosa minaccia di morte…Entro nel rifugio Hukejaure alle 21.45. Io e una svedese siamo gli unici ospiti della vecchietta rifugista. Mi dice che quando porta in giro il cane ha sempre con sé un ombrello che apre e sventola per sventare i frequenti tentativi delle aquile di rapirgli Fido.
M 10) Valli a 1000 metri e plateau infiniti. Così è la terra dei ciclopi. Narrano le leggende che qui abitavano dei giganti con un occhio solo che usavano lanciare dei macigni durante le battaglie. Le cime delle alpi si specchiano nei grandi laghi subpolari, laddove la neve è sciolta. E’ un mondo spettacolare e mortale quello che attraverso. Ed è un mondo che sembra non avere fine. Ci sono macigni ovunque e uno è in bilico sull’angolino in modo tale che anche uno scettico o un ottuso inizierebbe a dubitare seriamente della mitologicità dei ciclopi. Valico l’ennesimo passo. Ed esco dalla landa dei massi erratici e mi ritrovo su un altro plateau infinito, più basso in altitudine e aperto. Le montagne, ora, sono su, dietro. Trekko nella tundra per 19 km. Adesso, invece, marcio in un luogo grazioso ma lontano anni-luce dalla bellezza di prima, ieri o dei giorni passati. Questi fottuti 26 kg sulla schiena mi rompono il cazzo. Sono le 20.50 circa quando salgo l’ultimo crinale e sotto di me, dopo 7 giorni e 104 km rivedo un fottuto, schifoso pilone dell’elettricità. E un agglomerato di una ventina di case di legno. E le squallide cars. Non c’è asfalto ma una strada sterrata che domani dovrò percorrere per 22 fottuti chilometri.
M 11) Sotto la pioggerellina che va e viene, sotto le nuvole scure, m’incammino lungo la sterrata che porta a Ritsem. E’ una join-road che devo fare per congiungere la mia avventura Kungsleden-Nordkalottleden con il Padjelantaleden. Marcio per 22 km fra la tundra incontrando solo qualche sporadica abitazione e alcuni gatti delle nevi lasciati a marcire sul ciglio dell’infinita sterrata. Le alpi scandinave, lontane, sono innevate e i colossali ghiacciai splendono di una bianca luce fatiscente. Io trekko verso il massiccio Akkha, colosso di Stora Sjofallet. Arrivo a Ritsem. Un avamposto umano nella terra della natura. Un negozio, qualche cottage, un campeggio e un molo, questa è Ritsem. E una strada che penetra nella foresta. Mi mangio una spanish salsiccia Chorrizo e il cous cous. Nel territorio di Padjelanta i rifugi STF non vendono un cazzo fino a Saltoluokta (5 giorni di marcia). Devo fare i conti con la carne che mi devo portare perché ai sami di merda non gli compro neppure 1 gr di carne di renna e neppure di salmone perché la tundra è dei lupi e i sami devono andarsene. Che se ne vadano in città a fare business perché questa landa non li vuole più. 126 km di marcia. Sono a metà del trek in fatto di giorni. Chissà se Cristian è salito sul Kebnekaise? Le uniche cose che mi mancano della civiltà sono la Coca cola, la pizza e un pallone.
G 12) Prendo il battello al molo di Ritsem e attraverso il lago Akkhajaure. E’ pomeriggio quando approdo sull’altra sponda, nel territorio selvaggio di Stora Sjofallet. Ho già attraversato 2 volte Stora Sjofallet est, ma qui sono nella parte ovest, sotto il massiccio Akkha. Stanco, m’inoltro nella taiga di betulle, sotto la pioggia e sotto la mestosa e splendida montagna chiamata Akkha. Il suo ghiacciaio è come un’eruzione bianca in mezzo alla punta aguzza del massiccio innevato. Oggi devo fare solo 4 km per raggiungere il mio campsite. Arrivo al ponte sul Vuojatadno. E’ il fiume più potente che abbia mai visto. E’ largo e camminare sopra la sua schiuma ribollente è come camminare sopra un mostro titanico che può spazzarmi via come se fossi un moscerino. Proprio sotto le passerelle si gonfia e schiumando bianco ruggisce impattando il suo stesso letto d’acqua.
V 13) Sotto una pioggia intermittente marcio per 12 km fino al rifugio di Kisuris. Finalmente il peso dello zaino è calato sotto i 24 kg e marcio veloce sul Padjelantaleden, fra le betulle profumate. Verso la fine del trek passo sopra a un altro fiume furibondo e selvaggio, il Sjnjuvtjudisjakha. Arriva direttamente dal Sarek e il ponte segna il triplice confinecon i 3 parchi nazionali adiacenti: Stora Sjofallet, Sarek e Padjelanta. Dopo pochi centinaia di metri salgo su un altro ponte, sopra un fiume che scorre formando tantissime, basse rapide. Io entro nel Padjelanta national park ma alla mia sinistra parte il sentiero non segnalato che s’inoltra nel Sarek. E’ il trail che dopo 3 giorni serpeggia lungo il Rapadalen. E’ un sentiero carico di significato per me. Adesso sono accampato nella taiga, solo 500 metri dentro il Padjelanta, con il Gisuris, la prima delle montagne del Sarek, davanti. 140 km nelle lande selvagge.
S 14) Ho 2 giorni di vantaggio rispetto alla tabella di marcia e le previsioni che mi riferisce la rifugista prevedono che pioverà a lots. Così decido di andare in letargo per 1 giorno. La mia strategia è giusta perché piove ininterrottamente dalle 22.00 del 13 alle 21.00 del 14. Un ottimo libro sui vichinghi di Hickmann & Weis combattono la noia. Ho finito la carne e domani avrò la marcia più lunga del Padjelantaleden. Oggi mi sparo 180 gr di pasta e fagioli e domattina come carbo-energy mangerò il purè.
Quest’inverno ero ingrassato per abuso di cibo e ero salito a 97 kg! Da marzo a maggio sono poi sceso ai miei 83 kg. 14 kg in 3 mesi li ho persi applicando una dieta che mi sono fabbricato conoscendo il mio body e non rinunciando al piacere! Così ho cancellato completamente la colazione e tutti gli spuntini fuori-pasto. Mangio solo 2 volte al giorno. A mezzogiorno un 50 gr circa di carboidrato, 100 gr di proteine e una brioches anche con la nutella se lo voglio! Alla sera 150 gr di carboidrati (pasta, riso o patate), carne e gelato. E 1 volta alla settimana vegetarian day dove faccio scorta della miglior e più stabile energia: le fibbre delle verdure. Per 3 mesi avevo sempre fame e soffrivo sempre. Una sofferenza divertente e ovviamente lieve in confronto al soffrire del trekking. E ha funzionato e perdevo peso giorno dopo giorno senza perdere ne potenza ne il minimo di grasso necessario per poter trekkare. Adesso il mio corpo è abituato e manterrò questa dieta per sempre. Ovviamente durante un supertrek come questo devo applicare una dieta diversa: mattina prima di partire: carboidrato (polenta o pane), carbo e nutella; mezzogiorno: zuppe di verdure, pane e dolce; sera: carbo (pasta o riso o noodles), carne.
D 15) Dopo un giorno intero il diluvio è cessato. Alle 7.00 di mattina mi mangio il purè. Le patate danno sazietà, potenza e gusto. Mi serviranno per i 24 km che dovrò spararmi. La prima metà del trek percorre le creste di diverse dune tundrose fra la taiga di betulle e offre solo un modesto landscape. Ma dopo mezzogiorno le cupe nuvole temporalesche provenienti dall’Atlantico si diradano e salito di quota c’è uno spettacolare point-of-view over il Vastenjaure, uno dei grandi laghi collegati del Padjelanta N.P. E’ vasto e lo specchio azzurro lambisce le rive dell’orizzonte. L’orizzonte è la corona bianco-grigia delle immacolate Alpi Scandinave. Con li peso ormai sui 23 kg marcio più veloce e soffro ma meno di prima. (Mi sono liberato della prima bombola di gas). Raggiungo la baita Laddejakka. L’edificio di legno è sopra l’ansa di un verde fiume che curva placido e splendente come uno smeraldo. Ma poche centinaia di metri più a sud il fiume ha tutt’altro aspetto. Vado al mio solito bagno serale per la consueta pulizia ghiacciata. Giunto al ponte mi ritrovo un ennesimo corso d’acqua furioso e brutalmente selvaggio che schiuma e s’ingrossa in rapide terrificanti proprio nella zona del ponte. Guardo bene e trovo l’unico punto in cui è possibile lavarsi. C’è una spiaggetta lunga 1 metro fra i macigni lisci e preistorici che custodiscono il feroce fiume. E una micro-baia dove l’acqua giunge perifericamente e smorzata della potenza tremenda del river. Mentre mi lavo, a neppure 2 metri, il fiume, ruggendo, passa furioso schiumando e infrangendosi contro le rocce della Scandinavia. 164 km all’interno delle lande selvagge.
L 16) Up, plateau, down. Classico trek scandinavo. Qui le alpi della penisola vichinga assomigliano in tutto e per tutto alle Highlands britanniche. La tundra ha varie tonalità di verde pastellato che la fa assomigliare a una prateria scozzese. E le montagne sono gonfie e addolcite dalle ere passate. Le montagne primordiali e fiabesche invece, sono lontane, all’orizzonte, imbiancate. E sono il bordo del grande lago Virihaure che altrimenti precipiterebbe dall’altra parte del mondo. A metà strada passo accanto a un monolite alieno che in epoche remote fu probabilmente un tempio. Marcio nel freddo perché l’aria è uguale a quella che c’è in Italia a gennaio, poco prima di nevicare. L’aria profuma di neve. Alla notte il freddo mi sveglia 3 volte. Nonostante il saccoapelo e la felpa, mi entra nelle ossa e anche se mi raggomitolo come un lupo non riesco a scaldarmi.
M 17) Oggi è un trek easy perché sono solo 10 km. A parte qualche ora, sono 5 giorni che trekko sotto un cielo buio, minaccioso e totalmente coperto da nuvole di pioggia. Sembra che debba scoppiare un temporale nel giro di 10 minuti ma per 5 giorni, eccetto qualche ora, non piove. Così sono le lande estreme al di là del polar circle. Una natura senza mezzi termini, implacabile e imprevedibile.  E così dopo 5 giorni di preludio, oggi piove veramente. E sotto la pioggia salgo a 800 metri e trekko ancora sopra l’inviolato lago Virihaure. Il plateau è di un verde pisello ed è simile agli Appennini dopo il passo Cavuto. Ed è l’unico tratto degno di nota, perché forse complice il cielo cupo, questo Padjelantaleden non mi sta entusiasmando come le meraviglie che ci sono a est o a ovest, in Norvegia.  185 km all’interno delle lande selvagge. Oggi peso lo zaino: 19 kg.
M 18) Mi lascio alle spalle il lago Virihaure e salgo di quota. Sono 8 giorni che il cielo è nuvoloso e che il sole non si vede rendendo il trek molto meno bello e fotograficamente quasi inutile. La cortina buia delle nuvole si apre leggermente presso il passo, a 900 metri. Le alpi sono onde verdi e cascate a scala squarciano il green delle valli immense. Un guado più gelido dei soliti è l’ultimo ostacolo prima della baita Tuottar, gestita da uno svedese e da sua moglie, italiana. Oggi è stato il day più bello del Padjelanta. Immerso nel verde di una valle bellissima raggiungo i gelidi laghi semighiacciati del mio rifugio. Oggi dormo in baita perché a 900 metri, sulle scandinave lapponi fa freddo tosto e mentre cucino, di sera, cala la nebbia. Oggi ho varcato la soglia dei 200 km.
G 19) Nella nebbia m’incammino fra i numerosi laghi glaciali. Solo dopo 2,30 h raggiungo il passo e scendo di quota lasciando l’inverno delle alpi svedesi. Oltre il passo, un fiume sinuoso serpeggia fra le paludi in mezzo alle alpi che qui sono di un meraviglioso verde vellutato. Sono nell’angolino occidentale del Sarek e si vede. E’ una bellezza senza tempo e senza eguali. Il custode della baita Tarraluoppal mi dice: “Quella valle che tipiace tanto la devi percorrere domani. E’ piena di orsi. Hai paura?”
Piena di orsi ?! Domani sarà un trek magico. Sento l’irrequietudine ma non è una cosa saggia. Saggio è montare la tenda, godersi questa bellezza e lasciare con calma che il domani arrivi. E chissà, magari anche la fortuna di vederli. 214 km all’interno delle selvatiche lande. Bears free to be bears.
V 20) A quota 18 kg non sento neppure più il bisogno di soste e le faccio solo per il bruciore alle spalle. Scendo di quota e mi lascio i dannati nuvoloni alle spalle seguendo il fiume Tarratno che azzurro scorre fra le lussureggianti alpi che brillano cupemente di tanti verdi vellutati. Scendo nella taiga e trekko fra gli orsi. Laddove la taiga di betulle è squarciata da bellissimi prati ondeggianti, il Tarratno pennella di blu la selvaggia e meravigliosa valle verde scura, di un verde così intenso da far sembrare un dipinto le antiche alpi. Dopo 10 giorni un forte vento scaccia gli ambigui nuvoloni e dopo 10 giorni nel tetro maltempo rivedo il sole splendere e il cielo azzurro. Mi accampo nella foresta degli orsi in riva a un ruscello e sotto 3 montagne brutali: una granata, una che è un cono di buia roccia e la terza bassa e minacciosa. Lavo il pentolino e la scatola del tonno per evitare che i bears mi sfondino la tenda e perché non posso lasciare le scatolette fuori perché potrebbero tagliarsi la lingua. Sono le 21.15, ho appena finito di mangiare. Vieni orso, vieni. Io la conosco tutta la verità delle cose e non ho paura di te. Con me quel rincoglionito di Darwin non attacca. Oggi dopo diversi giorni in montagna sono sceso a 500 metri e dopo 16 giorni non ho freddo. Ci sono 4 donne che trekkano sul mio percorso e ormai sono 4 giorni che si accampano nei miei paraggi. Sono 2 austriache e 2 svedesi. Si vede dagli occhi che hanno una voglia di cazzo immenso. Ah,ah, beh, io sono 18 giorni che non faccio nessun tipo di sesso. Ho i coglioni che sembrano quelli dei boxer o dei rotweiller. Per una donna è più difficile resistere perché loro hanno un’energia sessuale ninfomane ma parecchi maschi di questa era oscura si fanno ingenuamente ingannare dalla pantomima femminile e credono che i maschi pensano al sesso più delle donne. Ah,ah, Darwin e compagnia bella, quanto non ci avete capito un cazzo. Sono a 2 giorni dal 1° villaggio, a 2 giorni dal ritorno nellaciviltà umana. Coca cola fredda, kebab & riso, salmone e dolcetti svedesi: queste sono le cose che non vedo l’ora di gustarmi appena lascio la taiga. 229 km nelle lande selvagge. Non li vedo gli orsi. Ma in mezzo a loro che stanno fiutando il mio cibo, io mi addormento.
S 21) Scendo dalle alpi marciando nella taiga di betulle e ascoltando il perenne ruggito del fiume Tarratno. Superata la baita di Tarrekaise, la taiga diventa una giungla subartica perché il sottobosco è fittissimo e alto circa 1 metro. Profuma dei fiori viola e di quelli gialli che colorano vivacemente il selvaggio bianco-verde della foresta boreale euro-asiatica. Il cielo oggi è bello ma nel tratto giungla scende un diluvio di circa 30 minuti, che complice il sottobosco, mi masarano completamente i miei rain-dress. Salito sull’altura che precede Njunjes, cessa di piovere e il vento in circa 2 minuti mi asciuga completamente. Sull’altura di Njunjes mi godo l’ennesima valle paradisiaca della Scandinavia. Il Tarratno scorre blu intenso fra le alpi spettacolari e solenni. La Svezia con Aleus, Tjaktja, Salka, Rapadalen e questa ha le valli più belle che ho mai visto su una trentina di nazioni visitate. Dopo 21 km mi accampo in riva al Tarratno che canta la sua potenza nell’ultima mia notte nelle terre selvagge.
D 22) Alle 9.00 comincio l’ultima marcia. L’ultimo trek. Ora sono nella taiga di pianura e le betulle hanno ceduto il mondo alle conifere. Le conifere da sogno dei confini del mondo. La classica taiga, quella che si vede anche dai finestrini della transiberiana. Esotica e infinita, questa foresta che percorro per 17 km è il confine del mondo, perché poi, più su, c’è solo la tundra, poi l’ Oceano Artico e poi il Polo Nord. Perché questa foresta sterminata, altro non è che l’estremità occidentale della foresta più grande del pianeta Terra. Inizia poche decine di km a ovest, sulla costa atlantica della Norvegia e continua verso est, verso l’infinito, attraversando la Lapponia svedese e finlandese, la Russia settentrionale, la Siberia e finendo solo dove finisce l’Asia, sullo stretto di Bering, dove l’orizzonte è l’America. Questa foresta è la taigaboreale euro-asiatica, più vasta della taiga americana e più grande dell’Amazzonia. Dopo 19 giorni e 272 km di trekking, alle 13.10, raggiungo un piccolo molo di legno sulla riva del Tarratno. 5 metri di assi che galleggiano fra le conifere senza fine. Le 2 austriache, le 2 svedesi e altri 2 deutsch attendono anch’essi la fine dell’odissea. Alle 14.00 arriva il motoscafo del socio di Bjorn, il mio amico. L’imbarcazione, dopo 4 km, mi lascia sul molo di Kvikkjokk e dopo 19 giorni rivedo un villaggio e una strada asfaltata. Kvikkjokk, una trentina di case di legno in mezzo alla foresta. Domani lascio il paradiso e torno in città.
L 23) Quando sono piccoli i leopardi giocano coi cani e coi lupi. Poi, quando crescono, camminano da soli. E si cecano una pantera nera da coccolare e amare. Quando sono circondati dagli altri, i leopardi sono pieni di sé per via della loro bellezza. E quando sono da soli sono ugualmente pieni di sé perché nella solitudine possono ascoltare se stessi. Se mi guardo indietro vedo un passato pieno perché i leopardi non buttano mai via la loro vita. E posso ricordare nitidamente tutte le persone che ho conosciuto. Le posso ricordare con amore o con simpatia o con divertimento o con odio. Intanto il tempo passa. Ore 8.50. Salgo sul bus e lascio le terre selvagge e dopo 20 giorni rivedo e torno in una città. Una fighissima botta mentale. Praticamente uno sballo ritornare nella civiltà dopo 20 giorni di rude, paradisiaca natura. Le città sono quelle che sono: brutte, noiose e sofisticatamente comode, l’opposto delle foreste. Sono 3 le cose divertenti da fare in città: mangiare, fare sesso e guardare il calcio. Così, alle 11.00, mi sparo una deliziosa colazione: 1 h di squisito salmone fresco; un trancio di very tasty pane svedese (ce ne sono circa 7-8 tipi): questo esteticamente assomiglia a una focaccia rotonda e morbida. Nel gusto invece è molto differente e non è così salato; Coca cola fredda; ciambella e dolce alle noci svedese che mi fa godere ogni volta. Sono le 14.00 invece quando giungo a Gallivare. La foresta e le montagne lontane sono silenziose ma io odo quel silenzio ed ella mi chiama. E da solo m’incammino verso i Pirenei.
M 24) Lavanderia al mattino e body building al pomeriggio e la giornata mi passa. Sceso a Malmberget scatto qualche fotografia ai vecchi edifici storici della città mineraria. Graziose case in legno colorate e una bella chiesa in stile scandinavo. Ha sia il caratteristico tetto che l’imponente campanile coperti con tegole di legno scuro. Alla gym pompo i pettorali, le spalle, i trapezi e le braccia in 2 ore. Tornato a Gallivare cazzeggio con una trentenne castana che mi vuole scopare e che ha come unico problema il trovare il tempo adatto in cui il marito “potrebbe tornare improvvisamente a casa”. Per cena mi sparo un filetto di maiale (pork filet) da 4 etti! (35 kr, circa 4 euro). Patatine fritte con mayo e ketch-up (comprate dove ho conosciuto la tipa) e 2 bicchieri di yoghurt alla pera. Uhm, me la godo alla grande.
M 25) To rest. Riposare. Sostituisco il pranzo con la deliziosa colazione nordeuropea comprata al supermarket e consumata sui tavolini dei bungalows: 2 hg di salmone crudo e freschissimo aromatizzato con delle erbe (e godo come un porco), succo di mela, pane swedish e dolcetto svedese. Ne sto provando un paio al giorno (1 a colazione perché il lunch non lo faccio e 1 a cena). Sono tutti buoni ma quello alle noci è imbattibile. Quindi ho deciso di comprarlo ogni giorno più uno nuovo per la sera. Dopodichè me ne vado a leto e mi sdraio senza dormire. E in questa pausa, dopo 272 km di trek, sento tutta la stanchezza stagnare e cullarmi nel mio corpo, nele gambe, nella schiena e anche nella voglia di divertirmi (andare a bere, giocare a calcio etc). Gli scoiatoli litigano sugli alberi. In questi bungalows, praticamente ci sono 5 persone fra le 10.00 e le 18.00. Poi arrivano gli hikers che giungono via bus e treno dalle mie terre selvagge e in più arrivano, in macchina o in camper, i turisti che viaggiano verso Capo Nord. Tutti ci restano ovviamente solo 1 giorno. Ma io, avendo finito prima il mio trek, devo attendere venerdì per prendere il mio treno per il sud.
G 26) Altro giorno alla gym a ripetere pettorali, trapezi, spalle e bicipiti. Questo bis basterà a tenere tonificati i miei muscoli fino al ritorno in Italia. Alla mattina, invece, stando sdraiato, ascolto letteralmente il mio corpo. E’ un viaggio ascoltare questa sensazione. La stanchezza per i 272 km percorsi è come un eco che si propaga dai muscoli e dalle ossa del mio body. La sensazione che sento è come un eco continuo che dalle mie membra e viscere sale alla mia coscienza. Se mi metto in movimento, invece, sento solo una pacata stanchezza. Il corpo umano è una macchina sofisticata generata dalla natura selvaggia e facendolo faticare e soffrire non faccio altro che diventare più duro e più forte. Le automobili e le altre macchine inanimate (perché non hanno anima e quindi coscienza), invece, sono squallide, fredde cagate senza essenza e bellezza e sono ovviamente fottutamente fragili. Sono i giocattoli degli umani. La maggior parte degli umani vive per queste cagate e non coltivando l’essenza, squallidamente, ha come divinità il denaro e i loro volti, anche quelli belli, spesso sono scialbamente privi di fascino perché i soldi sono vuoti e nel vuoto non c’è magia. Il mio corpo invece è caldo, resistente, potente e filtra l’aria e i profumi del mondo. Ma il corpo degli animali appartiene a un altro livello. Loro sono più forti. E i predatori oltre che belli, sono totalmente strutturati per combattere. Su internet osservo bene la foto dei lupi russi. Anche se tanti hanno una stazza simile a quella dei pastori tedeschi, i lupi ti comunicano molta più potenza, massa e violenza. Hanno le gambe più o meno dele stesse dimensioni del cane ma le zampe sono grosse e solide. Il collo è più lungo e traccia una linea separativa fra la testa e il dorso cosicchè i lupi possono mordere velocemente e ritrarsi immediatamente esponendo al minimo il loro corpo a un contrattacco. Adottano la tattica che usavano i cavalieri sciiti: mordi e fuggi rapidi perché sanno quali sono i loro punti forti e quali i loro limiti. D’altro canto i canidi hanno parecchia intelligenza. A distanza di 21 anni dalla prima volta in cui vidi da vicino un lupo dal vivo, tuttora non ho mai visto un umano avere gli occhi più affascinanti di quelli di un lupo. L’alone metafisico ma carpibile alla vista che circonda e ammantagli occhi di un lupo è qualcosa che gli umani difficilmente possono avere. Questo alone è un fascino, un fascino speciale. I felidi, invece, dopo aver conquistato una distanza tattica ideale attraverso la malizia, impattano con tutto il loro corpo perché sono i Pelè del fare a botte e siccome oltre ad avere il fisico di Pelè hanno anche la tecnica di Maradona, un felide che ti salta addosso, spesso è una punizione all’incrocio dei pali, è la morte che ti ghermisce e dalla morte non si torna più indietro. Alla sera mi mangio un tipico piatto svedese, paltastugan, boh, un nome del genere: sono 3 gnocchi grossi come knodel  e fatti con le patate. Soo che non so come condirli. Me li mangio con il pepe.
V 27) Finalmente l’attesa è giunta al termine. Stasera prendo il treno per il sud. La prima parte dell’avventura è at the end. Colazione con prosciutto affumicato svedese (very good) e un formaggio che si chiama Grodd adel molto buono, in stile Stilton inglese ma meno amaro. E poi ciambella alla cannella che è il più classico dei pastry svedesi. Stasera hamburger, patatine fritte con senape al rafano, hot dog e altro dolce swedish. E mi bevo un succo di berry chiamato Ivertinbar. Alla sera scendo a sud del circolo polare artico e dopo 24 giorni rivedo un tramonto. E di notte, verso la Svezia centrale, dopo 24 giorni rivedo l’abbozzo di una notte, qualcosa di oscuro che assomiglia alla notte e una stella.
S 28) Stockholm. La receptionist dell’hostel cerca 3 volte d’incularmi e per 3 volte non ce la fa. Questa bastarda, grandissima faccia di cazzo, s’inventa 3 cazzate per fottermi sul prezzo e per 3 volte respingo i suoi giochi infelici. Non soddisfatto, perché  comunque l’unica cosa che da soddisfazine è la vendetta, domattina la fregherò ulteriormente. Nella mia stanza ci sono una coppia di lesbiche. Dopo 3 weeks di taiga & tundra le città mi appaiono più noiose che mai eccezion fatta per l’armoniosa architettura di Gamla Stan, quartiere reale di Stockholm. Ma gli esseri umani, soprattutto i turisti che vengono dalle mie parti e comunque da fuori dell’Europa del Nord, quanti di loro sono veramente il vuoto personificato, loro e i loro giocattoli che chiamano “averi”. E le loro femmine, beh, loro, quante di loro sono il vuoto che non ricorda neppure il tutto. Le uniche persone che mi divertono sono i passeri che danzano intorno alla mia brioches e un gatto. Alla sera mi mangio il solito kebab dal solito negozio in centro: squisiti peperoni verdi, un bordello di kebab tagliuzzato in grossi pezzi, salsette, riso e me la godo alla grande con 10 euro. Tornato al mio hotel, che è una nave, inculo per la 4° volta la troia figlia di puttana della receptionist e poi mi corico. Dopo 1 ora entra una svedese che inizia a parlarmi e così io ci provo.
D 29) Dopo aver rifilato la giusta vendetta alla bastarda della receptionist, alle 10.30 del mattino, mi mangio un vero breakfast svedese che io trasformo in un pranzo: attik strommings. Un pesce crudo cosparso di mayo e cipolle e di un erba che veramente mi fa godere. Poi, aringa fritta e cipolle. Good anche sela migliore versione dell’aringa rimane quella olandese a Volendam. Seduto davanti alla graziosa Gamla stan attendo il mio fly. Una nuova avventura. Un altro paese. Per la prima volta volo in Spagna.
L 30) Beh, in effetti una delle poche cose che mi mancavano in Scandinavia era la notte, una vera notte. Blu, stellata e affascinante. Madrid, h 23.30. Esco dalla metro e per la prima volta sono in Spagna, la penisola più occidentale del continente asiatico. L’ Iberia. L’altra cosa che in Scandinavia non c’è sono i 35-38° torridi della meseta castillana. La receptionist del mio hotel è la più bona e sexy receptionist che abbia mai visto. Spagnola, mora, occhi azzurri, carnagione scura, tettona, scollata e in minigonna. Nella mia via c’è un bar che vende il prosciutto a 19 euro al piatto dicendo che è il migliore della nazione. Eh mio caro, a me non mi freghi. E domattina so già dove mangiarlo  e quanto all’incirca spenderò. Alla mattina scendo in strada aspettandomi di trovare una popolazine molto simile a quella italiana e invece mi ritrovo ad avere a che fare con un’altra tribù. O meglio…con altre tribù. Mi diverto parecchio in Spagna. Giunto a Manzanares, villaggio a 1 h da Madrid, giro intorno al perimetro del castello.La guardia mi dice che il lunedì è chiuso. No problem, troverò il varco per gustarmi la sua feature esterna che è quella che mi interessa. Ma sulle alture che dominano il villaggio ci sono delle strane, aliene formazioni rocciose. Un altro alien world! Godo! Oh, cazzo, non lo sapevo neppure se no mi portavo i vestiti da trek e l’asciugamano. Salgo nei vicoli, sotto il caldo torrido, e raggiungo le colline verdi-gialle-rossastre. Rossastre perché sono costellate da centinaia di enormi rocce tondeggianti, lisce e scolpite alienamente dalla natura. La bassa vegetazione che attraverso, risalendole, è costituita da erba ingiallita e secca e anche se il subdeserto è più a sud e questo è un habitat temperato caldo, il clima e l’aridità sono molto simili anche se nel subdeserto fa ancora più caldo e gli arbusti sono alti. Salgo fino a un passo per curiosare sul territorio celato dai massi levigati. La meseta è un mondo spettacolare, grottesco, dove la roccia liscia e granata prendono forme e dimensioni mitologiche. Risceso nel paesino vado nei negozi e al supermercato e con 3 euro mi compro 1 hg di chorrizo e 1 hg di lomo, forse si chiama così. 19 euro un piatto a Madrid, ah, ah,ah. E con 1,5 euro, un dolce gigante, il lazo. Gli spanish non parlano inglese ma lo capiscono e quando non lo capiscono, capiscono l’italiano e io capisco facilmente lo spagnolo. Qui nella Castilla e a Madrid sono per lo più castani, carnagione chiara e occhi di tutti i colori. Le donne belle mi piaciono abbastana e si vestono molto free: cosce al vento e seni scollati. Girando intorno al castello trovo 2 point-of-view perfetti, anche se nel 2° devo salire in piedi in piedi sul muretto suscitando la curiosa preoccupazione degli spagnoli. Il castello Manzanares è il castello da guerra più bello che ho mai visto. Ogni pietra è stata murata per la guerra e solo per la guerra e la forma è davvero una figata. Ha le torri coi merletti incassate in altre 2 torri merlettate più grosse e più basse. Il muro delle torri è edificato con sassi tondeggianti, magari per comodità logistica ma al contempo questo rende più difficile la sua distruzione alle catapulte e più pericolosa la scalata. E’ proprio una figata. Tornato a Madrid, l’autista del bus per Medina del Campo non mi fa salire perché non fa i biglietti e io non ho tempo per farlo in biglietteria e così pedo la visita a un altro castello superfigo. Così mi mangio il mio chorrizo che è un salame rossastro e piccante e uno dei salami più buoni al mondo. E mi mangio il lomo (?), un altro ottimo affettato. Il dolce, il lazo, è mandorlato. Mi sto veramente divertendo in Espana. Poi entro nel Santiago Bernabeu e visito lo stadio e il museo del club più vincente del mondo. Perché nessuno ha 32 scudetti, 9 coppe dei campioni e 2 coppe Uefa (che negli anni 80 era una coppa tosta). Uno stadio grande e bellissimo. 90000 posti. Davanti al mio hotel trovo una birreria che fa le medie a 2 euro! E io me ne scolo 4. Alla sera mi mangio 5 tipi di tapas, fra cui il gazpacho, una strana crema o zuppa o snack o cena. Il gazpacho è l’unica tapas che non mi piace tanto. Le altre sono almeno discrete. Molto meglio i salumi e il dolce.
M 31) Giungo a Zaragoza all’alba. Salito sul van scendo nell’anonimo villaggio di Sabinanigo per prendere il bus per il parco nazionale più bello di tutta la penisola iberica. Ho 2 h di stop e così vado da un salumiere e mi compro 1 hg di un tipo di jamon e il queso, un formaggio. Ho provato il prosciutto di un’infinità di nazioni, dagli italiani allo svedese, ai tedeschi, all’inglese, agli ungheresi etc ma questo spagnolo è il più buono del mondo. Puttana troia se godo. E anche il formaggio è buono. Proseguendo il viaggio attraverso questa bellisima terra dove le montagne sono verdi e gialle e i meravigliosi Pirenei si alzano maestosi sui prati giallastri dell’Aragona. Scendendo verso il mio camping, un tedesco riesce a fotografare un bellissimo viperide lungo e tigrato. Ed è solo per pochi secondi che io non lo vedo. Lo snake si nasconde nei muretti sassosi della mulattiera. Sono in un luogo idilliaco, con i Pirenei stupendi e lo stupendo canyon di Ordesa davanti alla mia tenda. A Torla, dopo aver litigato con una stupida francese, mangio la mia prima paella. Ottima. Ma i risotti del nord-Italia rimangono i piatti di riso più buoni al mondo. E poi mangio il churro, un dolce zuccherato anche in superficie, di discreta bontà. Anche qui, però la versione argentina è molto più buona.
Martedì 1 agosto) Con i 272 km ancora nelle gambe e con il corpo ancora indurito dai 20 kg trasportati per 19 giorni, i 900 metri di dislivello senza zaino, li faccio sentendomi un maestoso gigante contro gli altri, buoni, escursionisti.Li asfalto, li faccio a pezzi, tranne 2 francesi più veloci di me e una bonazza française che mi sta in culo fino al rifugio senza demordere. Parto da 1300 metri e salgo a 2200. All’inizio marcio in una stupenda foresta di enormi, alte e massicce betulle e pini. Ogni tot c’è una cascata meravigliosa che precipita in ruscelli dai poetici blu. Le cascate dei Pirenei sono fra le più belle d’Europa e scendono a gradoni fra stretti e pericolosi canyon. Ma il canyon dei canyon è il gigantesco Soaso: raggiunti i 1900 metri trekko verso le lontane cime dei Pirenei lungo valli dimenticate dalla civiltà. Il Soaso è un fantastico muro di roccia ondulata e levigata. E’ gigantesco, bellissimo e sull’altro lato il canyon è formato invece da Pirenei ammantati dalla prateria alpina. Ma sono praterie uniche in Europa perché sono verdi ma anche gialle, colorate non so se da infiniti fiori o erba abbrustolita dal torrido sole della penisola iberica. Io trekko in un vasto paradiso fra i bastioni invalicabili e dolomitici del canyon. Intanto le cime over 3000 davanti a me diventano sempre più vicine. Salgo di fronte a una cascata strepitosa e osservo il canyon di Ordesa dall’alto: un’enorme fenditura nella Spagna, uno spettacolo imponente e selvaggio. Raggiunto il rifugio Goritz scopro che ci si può accampare e mi girano i coglioni perché i 3000 metri dei Pirenei sono sopra di me, a poche h di trek, ma per farli dovrei dormire qui, a 2200. Dopo 8 h di trek esco dal paradiso e vado a mangiare in un altro ristorante e io godo della Spagna. Mi porta una gustosa zuppa di fagioli, bacon, salumi e peperoni verdi very good. E poi 3 bistecche sapientemente condite con una salsa rossastra che sa di piselli e aglio. Infine patate fritte speziate con prezzemolo e aglio. E io godo.
G 2) Sul Cotatuero trail c’è molta meno gente rispetto a quello di ieri. Ho parecchia gamba e salgo potente e veloce la ruvida salita fino ai 1800 metri del Cotatuero. I possenti muri di roccia s’innalzano anche qui. Le splendide praterie alpine verde-giallastro formano un selvaggio puzzle con le conifere. Le praterie sono costituite da una dura e quasi spinosa flora verde e il giallo è determinato da miriadi di fiorellini color del sole. Trekko fra il limite della foresta e i possenti muri di roccia che si ergono a 90°, invalicabili fino oltre i 2300 metri. Solo con il climbing si può scalarli e accedere al plateau che conduce ai 3000 pirenaici. Sono mura stupende dalle forme selvagge. Il limite del massiccio, invece, è una punta pratosa che sale in cielo modellata dallo scultore per eccelenza, l’artista che non si ripete e non annoia mai: madre natura. Alla sera, a Torla, il mio viaggio nella cucina spagnola prosegue egregiamente. La mia cena oggi è un classico mix di tapas succulente; il t…boh de cerdo è una dura e spessa striscia di carne di pig, le alette di pollo sono condite con qualche spezia, la crocchetta spagnola è molto più buona dell’italiana e delle altre europee. E’ ripiena di carne e di un succulento formaggio. Ma il top del piacere sono le anchoas. Le modeste acciughe, che ovunque sono un normale spuntino o un buon ingrediente, qui in Espana sono un capolavoro. Sono impregnate di aceto bianco e altri sapori. Il tedesco è accampato dietro di me e siamo amici. Oggi ha fatto una cosa pazzesca: è salito sul Perdido in 1 giorno! 2000 metri di up e 2000 di down. E alle 20.00 ora è a Torla. E’ ovvio che ha un fisico speciale. Infatti i ranger inorridiscono al pensiero della fatica che ha fatto.
V 3) Dopo l’usuale breakfast delle 8.30 in riva al fiume, composto da 1 hg di affettato (oggi un altro tipo di salame), pane, yoghurt, the e dolce ( una torta ripiena di crema con la pasta mandorlata), salgo il duro trail chiamato senda de los cazadores. 600 metri di dislivello molto duri. Praticamente, partendo da A, tracciando una verticale perpendicolare, sopra, ti ritrovi sulla linea A. Senza soste e devastando un bordello di spagnoli e stranieri raggiungo così i 1900 metri del trail Pelay. E trekko nel paradiso di Ordesa. E’ nuvoloso oggi e il torrido caldo iberico non picchia. Cammino sul canyon di Ordesa ma sull’altro lato rispetto al Soaso.  E’ un canyon fantastico e levigato come le torte a spirale. Sopra di me, anche qui, i Pirenei sono appuntiti e colossali muri di grigia, roccia verticale e nuda. Anche qui invalicabili per gli hikers. E’ un trek bellissimo fino al circo di Soaso dove torno indietro dal sentiero di mercoledì. Il deutsch, invece, compie un’altra impresa. Stavolta non di tenacia ma di coraggio. Fa una cosa temeraria e pericolosa: sale la parete attrezzata a 32 chiodi senza corda e va in cima al monte Salarons, sopra dove ero io ieri. Stasera purtroppo sbaglio completamente la scelta del ristorante e quella cornuta di merda della padrona mi porta altre 2 specialità spagnole, ma riscaldate. Roba da sbattergliele in faccia.
S 4) Dopo aver mangiato la longaniza (la loro salamella) e i boquerones, lascio i Pirenei e approdo a Huesca, anonima cittadina all’interno della torrida piana aragonese. Giungo con 1 giorno di anticipo per evitare di non trovare posto sugli affollatissimi bus per Barcelona. Dopo essermi ubriacato in un pub con le pinte di San Miguel a 2,5 euro, anche oggi sbaglio ristorante e questo cornuto mi porta la paella riscaldata (dopo 5 minuti che l’ ho ordinata…) e di secondo le albondigas…fanculo! Ma sono le polpette al sugo uguali, identiche a quelle italiane. Fanculo!
D 5) Sto male di brutto tutto il giorno e vomito 2 volte. Ho delle forti fitte all’intestino e un malessere con nausea. Quel cornuto mi ha dato il pesce avariato?
L 6) Cazzo, non è il pesce. Bensì la fottuta infezione che mi è risalita. Evidentemente non l’ho curata perfettamente e a distanza di 15 mesi mi è risalita. A digiuno perciò prendo il bus per Barcelona gestendo il dannato malessere. C’è una montagna incredibile poco prima della città azulgrana. Sull’autostrada superiamo tanti camion coi maiali destinati al macello. Guardo i loro occhi assonnati e mi dispiace di brutto. Dovrei diventare vegetariano per non partecipare a questo infame scempio contro queste povere creature. Ma la mia lussuria è tanta. In meno di 2 h giro la città catalana e osservo le opere di Gaudì, dall’eccezionale Sagrada Familla agli altri edifici curiosi ma francamente sopravvalutati. L’ingresso al Camp nou mi costa 23 euro! Cornuti. Dall’esterno è brutto mentre all’interno è enorme e spettacolare anche se meno bello del Santiago Bernabeu.
M 7) Volo sull’Italia. Sto male, sono digiuno e resisto alle fitte fottute. Tra poco sbaciucchierò la mia gatta.
By Tytanchaos