martedì 5 luglio 2016

Tytanchaos in Italy.



HOWLINGS AFTER THE SUNSET

Italia, agosto 2014.

D3) Mi scolo una Guinness e una Ceres alle 7.00 del mattino, rigorosamente a stomaco vuoto perché 9 ore di noia abbisognano dell’anti-bore, la birra. Discendo l’ umida pianura padana e, superato il Po’, dopo circa 1,30 h, inizio la lenta, lunga discesa nel Mediterraneo. Oltre il Po’, l’Europa Cisalpina termina e comincia un’altra terra. Oltre il Po’, l’Europa si stringe e si allunga in una delle più bizzarre penisole del mondo: l’Italia. La penisola italica scende verso sud per 1000 km, nel cuore del Mar Mediterraneo. Ma fino a Cattolica la pianura padana e il clima umido confonderebbero un viaggiatore sprovvisto di mappa, soprattutto in questa debole e vuota era in cui l’umanità è deviata da tanti idioti laureati che credono a Darwin e nullità-prostitute ingioiellate che spesso si chiamano vip. L’umanità oggi è così istupidita che non sa neppure riconoscere la vera geografia e chiama l’Europa continente! Dopo l’orripilante Cattolica il treno si svuota e iniziano le Marche e anche un viaggiatore sprovvisto di cartina capirebbe che è entrato in un’altra landa. L’umidità si attenua, la foresta diventa macchia mediterranea e gli italiani parlano con l’accento di un  altro popolo. Le Marche sono un mare di dolci colline verde scuro dove tante città arroccate sulle sommità sono isole di storia medioevale nel tempo eterno della foresta. Gli italiani oziano lungo le sottili spiagge del placido Mare Adriatico. Una marchigiana e poi una nera ci provano con me ma io sono fottutamente assonnato e poi alle station le nostre strade si dividono. Le Marche sono lunghe e dopo circa 2 h il caldo diventa nettamente più forte e inizia l’Abruzzo, la landa italiana che amo di più. Con il Sud-Tirol, il Piemonte, la Val d’Aosta e la Sardegna, l’Abruzzo è la regione più bella d’Italia. La catena montuosa che solca la penisola latina come una spina dorsale, qui in Abruzzo si solleva rasentando i 3000 metri e si staglia immota e poetica nel cielo del Mediterraneo. Alla città che sta ai piedi del territorio selvaggio becco la cosa più bella che possa beccare  in una città nel 2014 d.c.: un corteo medioevale! Italiani, greci, tedeschi, inglesi e cechi sfilano fra la folla vestiti da re, regine, cortigiani, araldi, banditi e guerrieri. Alabarde, balestre e spade pungolano l’orizzonte tumultuoso della folla. Mi compro 2 dolci abruzzesi in pasticceria, mi mangio la pizza da un napoletano e infine mi corico nella mia stanza da 25 euro. Abruzzesi e milanesi (immigrati e non) sono due popoli diversi quanto i tirolesi e gli slavi. Le donne abruzzesi hanno sovente i capelli neri e gli occhi verdi. E caratterialmente sono molto diverse dalle milanesi. Enjoy Italy.
L4) La città è deserta quando la attraverso al mattino presto. In un’oretta giungo  a uno dei villaggi ai piedi della mitica montagna: un piccolo villaggio nella foresta dei lupi e degli orsi. Da qualsiasi lato si prende la montagna, essa è lunga e dura, una delle più dure degli Appennini. Montata la tenda e preso lo stretto necessario (1 grosso pezzo di un pan-focaccia abruzzese niente male, 1 hg di salame piccante, 2 brioches, l’acqua e l’impermeabile) lascio il villaggio e trovo facilmente l’inizio del trail dopo 200 m, perfettamente segnalato! Come sul  Marsicano, l’inizio del trail, a 1000 m, è una lunga salita con inclinazione moderata, di quelle che ti fanno tirare e stancare. Ma poco dopo s’inclina e inizio a salire un duro path da montagna. Mi attendono 1800 m di up! Perché così è la mitica montagna, la seconda più alta degli Appennini. Becco subito la rete di un piccolo prato per arnie divelta: orso! E dopo 20 minuti ossa sparse (orsi o lupi). Verso i 1800 m la misteriosa e incantata foresta mediterranea termina e io sbuco sotto la maestosa forma della Majella. Una vasta  montagna  ammantata da un prato verde chiaro e da rocce bianche. L’ up s’inclina ulteriormente  e qui c’è il tratto più duro, fra i 1800 m e i 2400 m,  quando trekko di fianco a bizzarre zanne di roccia color avorio. A 2400 m valico la prima cresta e mi ritrovo in un eden infinito. Uno sterminato  prato pietroso e fiorito nascosto sotto il cielo italico in una conca colossale fra maestose pareti eterne. Rasentato il perimetro nord della conca, devio in mezzo a meravigliose dune argentate  chiazzate  e striate dalla prateria. Assomigliano in shape a quelle del Rondane anche se là c’è la tundra. Marcio in un mondo dalla bellezza immota e assurda. Una bellezza che la civiltà che nasce e muore in città non sa neppure che esiste. Il trek è infinito, la Majella è così, dura e lunga. Uscito dalle dune, vedo il picco massimo, il monte Amaro, laggiù, sopra un mondo spietato e primordiale, così bello che solo i lupi possono abitarlo. Salgo e marcio verso il picco, un colosso pietroso, salgo e marcio sul bordo del  burrone che cinge l’argentato  paradiso selvaggio senza tempo e senza acqua. Perché i fiumi che serpeggiano sul fondo del mondo sono tutti secchi. Il monte Amaro è ancora distante. Salgo e marcio circondato da un mondo strepitoso, gigantesco e antico come gli umani non possono neppure concepire. Marcio e marcio in up e la Majella è sempre lontana anche quando spuntano le possenti, bellissime montagne che la cingono a est. Nuvoloni neri, ogni tanto, importunano la limpidezza del monte Amaro e salgono minacciosi dagli ancestrali canyon grigio-verdi. Partito alle 8.00, alle 15.07 raggiungo la vetta della mitica montagna. L’Illiria, la ex-Jugoslavia, non si vede per via degli spettacolari nuvoloni che affondano nei canyon-burroni. Ma io sono a 2793 m in un mondo incredibile. Nel cielo dell’Italia primordiale. E sotto, i lupi, creature che amo svisceratamente quasi quanto i gatti e i gattoni, sanno che io sono qui perché mi hanno fiutato quando marciavo nella loro foresta. Gli ho lasciato dei regalini e non mi resta che sperare che l’incantato cielo italiano questa notte ululi di forza selvaggia e primordiale perché io so che loro non si faranno vedere.
M5)  E’ mezzogiorno quando giungo a 2000 m fra pendii di un verde così splendidi da sembrare le Highlands. Mi mangio un panino con porchetta e olio piccante che la signora del chiosco che sta giù in paese, a 1000 m, mi ha riempito come la lussuria comanda e come a Milano tante merde non farebbero mai. Sotto di me, verso est, l’Italia si riconferma in tutta la sua assoluta bellezza. Si chiama Campo Imperatore ed è una valle, un prato sterminato ancor più grosso di quello di ieri e circondato a sud da rilievi che ricordano le montagne della Scozia e dell’Inghilterra, e a ovest da 2 montagne, il Brancastello e il Prena, così maestose ed epiche da rendere Campo Imperatore una delle valli più belle che ho mai visto, pareggiare in bellezza con la valle Leviona nel Gran Paradiso ed essere battuto solo dalle supreme valli svedesi e da quelle indonesiane. E’ tardi, sono le 13.30 quando comincio uno dei trekking più belli della mia vita. Parto da 2100 m e superato il primo passo mi ritrovo a tu per tu con una montagna di roccia calcarea, immacolata, argentata e bella come le Dolomiti, un grande sasso nel cielo dell’Italia: il Gran Sasso. Il grigio Gran Sasso, picco massimo di questa bitorzoluta penisola che penetra il Mediterraneo. Il picco massimo degli Appennini è circondato da verdi, lussureggianti monti over 2500 di incredibile bellezza che disegnano una corona di selvaggio splendore che l’inglese che incrocio definisce “unbelieveble”. Attraverso così, per 1 h forse, questo paradiso assoluto fino al 2° passo. Lì comincio davvero a scalare il Gran Sasso quando l’erba finisce e solo i nevai macchiano la liscia roccia grigia della meravigliosa montagna. Ma il paradiso italico ha altre porte da spalancare, e così, mentre il Pizzo dei Caprai, uno dei verdi over 2500, continua a estasiarmi, sul lato nord spunta il corno piccolo, altro capolavoro “dolomitico”.  La parte finale della scalata al corno grande è ardua per via dello steep che si attenua solo al 3° passo quando sbuco su un burrone innevato che è un anfiteatro di punte e rocce generati nelle ere ormai dimenticate. Alle 16.35 raggiungo il punto più alto degli Appennini e dell’Italia geografica, questa bizzarra penisola dell’Europa meridionale. A 2912 m. La natura, la grande madre, e il caos, il grande padre, dispensano opere meravigliose in ogni landa. E in ogni landa cambiano stile e colori perché gli artisti sono così. Al rifugio il tipo mi da una stanza al prezzo della camerata e così dormo e mangio nella prigione di Mussolini. Mangio gli arrosticini, ottimi spiedini abruzzesi di pecora adulta e un panino alla salamella che mi riempiono con 3 salamelle, peperoni e un chili pakistano perché il cameriere viene dalla terra del K2.
M6) Mi sveglio e Campo Imperatore è avvolto da nuvoloni minacciosi, le previsioni sono pericolose e poi inizia a piovere. Un gruppo di 30 hikers bresciani imbocca lo stesso il trail e marcia lungo il mio stesso itinerario fra una bellezza celata dal maltempo. Io non mi fido proprio e poi a 2000 m non si fa e così mi mangio un altro panino con porchetta, converso con il simpatico venditore abruzzese e scendo a L’Aquila, stendo la mappa e consultate le previsioni scelgo il paese dal quale ripartire. Salito sul bus viaggio verso nord nella nascosta Italia centrale, nel mezzo del mezzo fra popoli che per mentalità e stirpe appartengono a un’altra nazione rispetto all’Italia Cisalpina. Il bus mi scarica in questo nuovo villaggio immerso nella foresta appenninica. Chiedo a uno dove è l’imbocco del sentiero e lui mi risponde: “E non gliò so, prova a annà de là.”
Ma…che cazzo! Sono uscito dall’Abruzzo!! Sono nel Lazio!! L’accento laziale è il più bello d’Italia.  Mi fermo a comprare dolci e mentre la barista carina ci prova con me io realizzo che il trek in Italia ha un’altra difficoltà oltre alla salita: resistere alla tentazione di mangiare al ristorante e svuotare così lo zaino del peso fottuto. Dovrei cucinare il mio fottuto risotto in busta e diminuire così il peso dello zaino ma come cazzo faccio quando lungo la strada del paese ci sono 3 ristoranti che pubblicizzano spudoratamente un capolavoro della cucina laziale?! Non esiste. Valutati i 3 ristoranti scelgo il 2°. Il 1° non ha il menù, il 3° è il più caro. Il 2° è un locale vissuto, lo si vede dalle pareti e vissuto vuol dire che sa fare il suo mestiere. Il 3° fra l’altro da troppo peso all’immagine e allo sfarzo dell’arredamento e questo non ispira la mia fiducia culinaria perché io sono un maschio e la verità delle cose la carpisco  con grande naturalità. Mi siedo nel 2° ristorante fra le foto dei lupi e delle montagne e ci azzecco in pieno. Con 12,50 euro la tipa mi porta primo, secondo e bibita; inizio con un enorme piatto di spaghetti all’amatriciana; 200 hg di succulenti spaghetti che grondano sugo, guanciale e pecorino!!! Col cazzo che mi cucino i risotti in busta! Dopo aver goduto per lunghi, intensi minuti arrivano 8 arrosticini, gli spiedini abruzzesi: buoni. Questa è la prepotente risposta ai ridicoli ristoranti moderni proposti dalla televisione. Questo sublime piatto romano è un’umiliazione qualitativa, quantitativa ed economica per quelle merde che portano 50 gr di pasta ridicolmente arrotolata ai mongorincoglioniti che si siedono nei locali di merda moderni. Come dicono qui: “A stronzo, io non mi mangio i tavoli, vattene affanculo tu  e la tua presentazione di merda.”
E per presentazione intendo la ridicola, superbabbazza presentazione dei loro meschini piatti da 30-50 gr. Il cibo è gusto, non forma e io gli piscio in faccia. E che se ne vadano affanculo tutte le trasmissioni che stanno cercando di cambiare, nel male, la tradizione culinaria mondiale. In culo a loro e alle troie delle loro madri. Tanto a me non mi fregano. Mi rimetto i vestiti da trek, entro nella foresta appenninica e trovo un posto per accamparmi. Appena cala il tramonto sento dei versi brutali provenire da oltre il ruscello che scorre alle mie spalle. Vado a vedere e scorgo 1, 2, 3 sagome enormi avanzare lentamente nel prato. Ci siamo…gli orsi…poi 4, 5, 6, 7!! Ma vaffanculo. Sono un branco di cinghiali grossi il doppio di quelli toscani e abruzzesi. Li osservo per un po’ fino a che uno dei suidi si accorge di me, da il segnale e scappano. E io nella notte dei lupi mi addormento pensando a loro, i banditi della foresta, i lupi, i miei amici.
G7) Con 20 kg sulla schiena salgo da 800 a 1700 m. La segnaletica italiana qui è assente e mi perdo nella foresta dopo 5 minuti. La macchia mediterranea ha il sottobosco fitto e pieno di rovi e così combatto e sudo per riguadagnare l’unico punto di osservazione che ho. I rovi lacerano per 8 volte la pelle delle mie gambe prima che riesca a riguadagnare uno sterrato che sale sulla montagna. Lo sterrato è infinito e sono le 15.00 (!!!) quando incontro una volpe ed esco dalla foresta e mi trovo la vetta della montagna davanti. Ma è lontana, ho finito l’acqua e richiede ancora 3 h di trek + 2 di discesa e 1 h per mangiare. Non ce la faccio a raggiungere l’acqua prima del tramonto così alle 16.00 riscendo nel bosco e mi dirigo verso il fiume più vicino e poi verso il nuovo giaciglio di questa  quarta notte fra i lupi. La segnaletica italiana è piena di falle e così mi perdo altre 2 volte. Scrutando dentro la foresta alla ricerca del segnavia, vedo giù, forse a 50-60 m, un gattone. E’ un attimo, poi lui si accorge e fugge elegantemente fra i tronchi. Per la prima volta in vita mia incontro una lince!! Rimessomi in marcia, alla fine, verso le 19.00 raggiungo il beato fiume che mi darà da bere e da cucinare e trovo un segnavia del 1800 che segnava il confine fra lo Stato Pontificio e il Regno delle 2 Sicilie!! Accampatomi in mezzo ai lupi mi cucino un minestrone che insaporisco con peperoncino pakistano e pepe. Enjoy the life. Gli ultimi cucchiai li assaporo nell’ombra della notte. E nella foresta mi addormento. 
V8) La segnaletica italiana è scandalosa qui e mi fa perdere senza pietà. I miei fottuti 20 kg mi spaccano per bene mentre scendo di quota verso l’ignoto verde. Il problema principale degli Appennini è che i fiumi scorrono solo in basso e sono anche pochi. Il fattore positivo invece è il numero infinito di diversi tipi di funghi con cui potrei insaporire i miei fottuti risotti preconfezionati. Dopo 4 h di discesa raggiungo finalmente un villaggio. I paesani sono seduti sui gradini delle case e riuniti stanno conversando. Quando mi vedono mi squadrano e uno mi dice: “Da dove vieni?”
Io: “Da là, da quelle montagne.”
“Ma che! Hai dormito nel bosco? Ma ci stanno li lupi, lo sai!?!”
Oh no, ha un altro accento ancora…e anche la donna che mi offre l’acqua ha questo nuovo accento! Oh no, dove cazzo sono finito!? Oh no, tutti hanno questo accento…e il Lazio? E l’Abruzzo? Io: “Ma qui non è più Lazio?”
“No. Ma da dove sei partito?”
Una delle donne: “Siamo piceni, sei nelle Marche qui!”
Lui: “Aspetta, aspetta, dove devi andare?”
Io: “Sul Vettore.”
Lui litiga con la moglie sulle direzioni stradali e poi mi salva perché arriva uno che consegna formaggi, lui lo ferma e gli dice di portarmi ai Sibillini.
Raggiunto il paesino al confine con il Sibillini National Park conosco 2 romane che vogliono convincermi a salire sul Vettore dal versante est: col cazzo che mi faccio 10 km sull’asfalto! Poi un’edicolante romana mi spiega come raggiungere l’inizio del trail. Questa tipa giallorossa mi fa esplodere l’uccello mentre parla. E’ bella e sexy, castana con gli occhi azzurri. Poco prima del trail mi fermo in un ristorante e mi mangio i bucatini alla gricia e una grigliata mista. Fa caldo, over 30°. Il clima dell’ Italia centrale è una via di mezzo fra il piacevole umido e l’odioso secco e devo dire che sto beato in questa landa. Rientro nella foresta e fra i lupi attendo l’indomani quando con i miei fottuti 20 kg inizierò la scalata del  Redentore, una montagna stupenda. E per 3 giorni goodbye civilization. Mi lavo in una pool di un freddo ruscello. La luna è quasi piena e splende pallida sopra la foresta mentre cucino la zuppa di farro. Mentre mescolo lui canta. Canta dalle 19.00 alle 20.00. E’ veramente vicino, non oltre i 300-400 m di distanza dal mio accampamento. Lui è l’incanto primordiale della Terra, la sua voce vibra la canzone più bella mai cantata su questo pianeta. L’ululato penetra i cinguetti, i cupi versi dei rapaci notturni e persino l’eterno scrosciare del ruscello. Mentre odoro il farro, il lupo ulula quasi una decina di volte per circa 1 ora: “E’ mio questo territorio. Nostro. Voi altri state fuori dai nostri confini.” Questo canta il lupo nel suo incantato, meraviglioso linguaggio animale. Ma la gioia che vibra insieme a queste magiche note la possiamo capire solo noi figli del caos, i poeti e gli asceti. La gioia selvaggia di essere un lupo e di essere pronto per la caccia nel buio della notte. Una gioia che quel coglione di Konrad Lorenz non sapeva neppure che esistesse e che quel disastro di Darwin negherebbe solo perché lui non poteva assaporarla nel suo vuoto, squallido cuore. E io sotto la gioia astrale della luna, nella tenebrosa gioia della notte, fra loro, i banditi della foresta che amo visceralmente, fra loro e con loro mi addormento.
S9) Alla mattina il cielo terso e limpido e il caldo inizia a picchiare verso le 10.00. Riparto da 800 m. La segnaletica italiana mi fa perdere ancora a quota 1000. Così imbocco uno dei path più duri che possano esserci su una montagna. La pendenza è superiore a quella del sentiero dei morti della Grignetta e con i miei fottuti 20 kg salgo a passo di lumaca per più di 2 h. Il sudore mi cola dal mento e nonostante l’ombra della foresta il caldo è duro, over 30°. Quando sbuco dal limitare della foresta dei lupi, sono a 1500 m e c’è un prato. Poi una strada asfaltata, un parcheggio e il border del Sibillini national park. E il Vettore che domina maestoso sopra tutto ciò. Alle 13.00 mi compro un altro squisito panino alla porchetta e tabasco da un ambulante, coke in lattina e salgo per poco la montagna trovando un posto adatto. Mi sdraio e mi godo il pomeriggio leggendo, mangiando e aspettando il tramonto e il duro trek di domani quando salirò sulla ridge del Vettore a 2200 metri e poi in cima al picco ovest a 2400.
D10) Salgo con i miei fottuti 20 kg la slope del massiccio sibillino del Vettore. Lo steep è ripido e a passo di lumaca avanzo colando sudore e soffrendo dai 1500 ai 2200 m dove raggiungo la cresta. Lo steep è superiore al muro del pianto del Grignone e al sentiero dei morti della Grignetta. Sulla ridge devio a ovest e salgo 5 anticime prima della vetta del Redentore a 2400 m, poco più basso del Vettore. Prima della vetta conosco 5 marchigiani. Iniziata la salita alla prima antecima il massiccio sibillino svela tutta la sua straordinaria bellezza. Il Redentore è un gigante di pietra calcarea che precipita in un ancestrale burrone argentato. Il Vettore invece è un maestoso e liscio pendio verde punteggiato da fiori gialli. Questo lungo, vasto scivolo green s’inclina vertiginosamente verso il burrone paradisiaco, dove, 2 laghetti di un alieno blu brillano magicamente come pozze marziane. I laghetti di Pilato sono di almeno 5 concentriche tonalità di blu e sembrano pozzi infiniti di una densa pittura topazio che ha perforato la montagna. In quei laghi, Pilato, tornando dalla Palestina e dalla velenosa condanna a morte di Gesù, morì misteriosamente. Scendendo sull’altro versante entro in una valle assurdamente bella. Assurda perché non sembra l’Italia. Lasciate le Marche sulla cima del Redentore, trekko in Umbria fra dune verdi, colline dipinte di tenui green, villaggi arroccati su di esse e campi di lenticchie blu! Dopo essere caduto, essermi ferito il knee e bucato con mezza dozzina di spine, raggiungo la fine del path e conosco un varesotto che mi da uno strappo a Norcia. A Norcia sbaglio ristorante e mangio una pessima pasta al tartufo e una mediocre grigliata. Ma becco un’altra sfilata medioevale.
L11) Sono agli sgoccioli di questo viaggio fighissimo nell’Italia centrale. Una landa fatta di bellezza, storia e cibo fottutissimamente  buono e tanto! In culo ai ristoranti moderni! Con un altro panino alla porchetta a 2,5 euro (non è buona come quella marchigiana e abruzzese però te la godi) giro in 3 h la cittadina medioevale di Spoleto, anch’essa, ovviamente, arroccata su una collina cinta da mura. Discrete chiese romaniche e qualche casa antica ne fanno una cittadina piacevole ma i villaggi deutsch e i castelli spagnoli battono l’Italia di netto. 
M12) H 4.00: mi alzo e marcio tosto percorrendo velocemente forse 2 km che mi separano dalla stazione di Spoleto. H 5.15: il treno parte e io torno nel Lazio. H 6.48: scendo a Roma, capitale dell’Italia. H 7.00: lascio il mio fottuto zaino e la tenda al deposito scandalosamente thief: 12 euro! H 7.10: scendo dal metro e mi compro un altro panino e porchetta da un simpaticissimo fast-food dealer. H 7.30: comincio l’ esplorazione della città più potente della  storia europea, la storia che si ricorda però…Una marcia che disgusterà i puristi del viaggio e del turismo perché Roma si dovrebbe visitare in circa 3 giorni…ma io lo farò in 4 h! 1° purpose: la nazione più piccola del mondo. Ah, che figata: arrivo in Piazza San Pietro ed è deserta. Ci sono solo io, qualche suora e una ventina di cunning turisti. Le bianche colonne che delimitano il perimetro della piazza dei cattolici sono notevolmente belle ma esteticamente la basilica più importante del mondo è uno dei siti architettonici più brutti che abbia mai visto assieme alla Tour Eiffel. Internamente invece è un sontuoso insieme di forme, colonne, marmi, statue e volte di egregio shape nobilitate dai materiali naturali quali il marmo appunto. Castel Sant’Angelo è un buon castello. Poi seguo il Tevere per quasi 1 km vedendo 1 chiesa gotica che si distingue nettamente dagli altri edifici storici romanici e degli altri stili. Immersomi nel centro inizio a imprecare perché il mio monumento romano preferito è sotto ristrutturazione! La fontana di Trevi è oggi un’impalcatura protetta da delle vetrate (!!) e io non posso gustarmela! Compratomi un dolce napoletano grosso come 3 fette di torta (che si chiama appunto napoletano) raggiungo La Vittoria, raro esempio di edificio moderno di grande bellezza e poi i fori dove posso curiosare sul passato di  2000 anni fa. E infine, alle 11.00, raggiungo l’obiettivo finale, il Colosseo. Un enorme, mastodontico stadio che ospitava i giochi di guerra quando la guerra richiedeva tanta tecnica. Ci sono 40° ma il Colosseo è comunque gremito e clamorosamente ci sono gli indiani (!!) che osano scassarmi il cazzo coi loro ombrelli, cappelli e bottigliette d’acqua! Roba da non credere! Roma, una grande capitale, fra le più belle d’Europa. Ma contro le asiatiche non c’è partita. Bangkok e Yangoon sono nettamente più belle. H 13.00: lascio Roma. H 15.52: scendo a Siena e la maledizione delle feste colpisce con tutta la sua forza e la sua precisione temporale! Senza saperlo sono capitato nella festa più famosa d’Italia: il Palio di Siena. Il palio ci sarà tra 2 giorni ma alle 18.00 faranno le prove. Non c’è il deposito bagagli! E io devo arrivare alla Piazza del Campo prima delle fottute 18.00! Uhm, che posso fare per fottere la maledizione?! C’è un centro commerciale con 4-5 ristoranti e fast food. C’è una boliviana da scopare e una romena da scopare anch’essa. Gli spiego la situazione e gli dico: “Se mangio qui mi tenete lo zaino per 2 orette?”
Il compromesso va in porto e le 2 fighe mi nascondono lo zaino e la tenda nel retro. Poi non so perché ma mi regalano una salsiccia più un trancio di focaccia! H 17.15: la sfida fra me e il palio comincia. Ho 45 minuti per trovare e raggiungere quella fottutissima piazza prima che i cornuti dei fantini calchino la sabbia. Entrato nella graziosa città medioevale supero la folla e alle 17.45 devio nella più bella piazza italiana. Un grottesco catino di antichi edifici che sembrano gli spalti di una stramba arena. Il castello risalta bello nel grottesco mentre la sua torre esagerata ne conferma la bizzarria. Lasciata la piazza ai fantini vado al Duomo. Uno splendido edificio con uno splendido campanile bianco-nero che determina definitivamente il sorpasso nella mia classifica di città italiane più belle: 1 Siena, 2 Venezia, 3 Roma. Al ritorno mi sparo qui (perché a Roma non avevo tempo) i pici (pasta fresca homemade) al cacio e pepe in una fighissima osteria a 6,5 euro e godo di brutto. Ma siccome i guerrieri sono di parola e i boliviani sono dei guerrieri anch’essi, tornato al fast-food mantengo la parola e mi sparo pollo e una pizza margherita incredibilmente gustosa per un fast-food.
M13) E’ mattina presto quando salgo sul treno per tornare nella landa del vuoto. Una delle tettone prostitute africane mi vuole spompinare dicendo che tanto c’è poca gente nel vagone. Ah, ah, ah!
Che possano i lupi correre liberi e felici in tutte le foreste e le linci sonnacchiare oziosamente sui rami, libere e selvagge in tutte le foreste. E che possano i pastori di renne della Lapponia morire nel dolore più atroce con le loro bastarde famiglie perché la foresta e le renne  sono dei lupi e delle linci che lottano con tenacia e tecnica per vivere. La foresta non è per il business dei pastori lapponi grandi devoti del dio denaro che in elicottero prosperano con la mattanza delle renne (i ricchi, codardi  pastori lapponi) che uccidono solo per arricchirsi. Se uno vuole fare business che se ne vada in città o in campagna, quello è il giusto posto per lui perché le foreste appartengono ai lupi, agli orsi e alle linci. E perché le renne appartengono alla foresta! I pastori di renne sono il cancro della taiga e le loro famiglie sono errori della natura che la Terra non vuole. Lupi liberi di essere lupi!

By Fabio Tomasetta.