HOWLINGS
AFTER THE SUNSET
Italia,
agosto 2014.
D3) Mi scolo una Guinness e una
Ceres alle 7.00 del mattino, rigorosamente a stomaco vuoto perché 9 ore di noia
abbisognano dell’anti-bore, la birra. Discendo l’ umida pianura padana e,
superato il Po’, dopo circa 1,30 h, inizio la lenta, lunga discesa nel
Mediterraneo. Oltre il Po’, l’Europa Cisalpina termina e comincia un’altra
terra. Oltre il Po’, l’Europa si stringe e si allunga in una delle più bizzarre
penisole del mondo: l’Italia. La penisola italica scende verso sud per 1000 km,
nel cuore del Mar Mediterraneo. Ma fino a Cattolica la pianura padana e il
clima umido confonderebbero un viaggiatore sprovvisto di mappa, soprattutto in
questa debole e vuota era in cui l’umanità è deviata da tanti idioti laureati
che credono a Darwin e nullità-prostitute ingioiellate che spesso si chiamano
vip. L’umanità oggi è così istupidita che non sa neppure riconoscere la vera
geografia e chiama l’Europa continente! Dopo l’orripilante Cattolica il treno
si svuota e iniziano le Marche e anche un viaggiatore sprovvisto di cartina
capirebbe che è entrato in un’altra landa. L’umidità si attenua, la foresta
diventa macchia mediterranea e gli italiani parlano con l’accento di un altro popolo. Le Marche sono un mare di dolci
colline verde scuro dove tante città arroccate sulle sommità sono isole di
storia medioevale nel tempo eterno della foresta. Gli italiani oziano lungo le
sottili spiagge del placido Mare Adriatico. Una marchigiana e poi una nera ci
provano con me ma io sono fottutamente assonnato e poi alle station le nostre
strade si dividono. Le Marche sono lunghe e dopo circa 2 h il caldo diventa
nettamente più forte e inizia l’Abruzzo, la landa italiana che amo di più. Con
il Sud-Tirol, il Piemonte, la Val d’Aosta e la Sardegna, l’Abruzzo è la regione
più bella d’Italia. La catena montuosa che solca la penisola latina come una
spina dorsale, qui in Abruzzo si solleva rasentando i 3000 metri e si staglia
immota e poetica nel cielo del Mediterraneo. Alla città che sta ai piedi del
territorio selvaggio becco la cosa più bella che possa beccare in una città nel 2014 d.c.: un corteo
medioevale! Italiani, greci, tedeschi, inglesi e cechi sfilano fra la folla
vestiti da re, regine, cortigiani, araldi, banditi e guerrieri. Alabarde,
balestre e spade pungolano l’orizzonte tumultuoso della folla. Mi compro 2
dolci abruzzesi in pasticceria, mi mangio la pizza da un napoletano e infine mi
corico nella mia stanza da 25 euro. Abruzzesi e milanesi (immigrati e non) sono
due popoli diversi quanto i tirolesi e gli slavi. Le donne abruzzesi hanno
sovente i capelli neri e gli occhi verdi. E caratterialmente sono molto diverse
dalle milanesi. Enjoy Italy.
L4) La città è deserta quando la
attraverso al mattino presto. In un’oretta giungo a uno dei villaggi ai piedi della mitica montagna:
un piccolo villaggio nella foresta dei lupi e degli orsi. Da qualsiasi lato si
prende la montagna, essa è lunga e dura, una delle più dure degli Appennini.
Montata la tenda e preso lo stretto necessario (1 grosso pezzo di un
pan-focaccia abruzzese niente male, 1 hg di salame piccante, 2 brioches,
l’acqua e l’impermeabile) lascio il villaggio e trovo facilmente l’inizio del
trail dopo 200 m, perfettamente segnalato! Come sul Marsicano, l’inizio del trail, a 1000 m, è
una lunga salita con inclinazione moderata, di quelle che ti fanno tirare e
stancare. Ma poco dopo s’inclina e inizio a salire un duro path da montagna. Mi
attendono 1800 m di up! Perché così è la mitica montagna, la seconda più alta
degli Appennini. Becco subito la rete di un piccolo prato per arnie divelta:
orso! E dopo 20 minuti ossa sparse (orsi o lupi). Verso i 1800 m la misteriosa
e incantata foresta mediterranea termina e io sbuco sotto la maestosa forma
della Majella. Una vasta montagna ammantata da un prato verde chiaro e da rocce
bianche. L’ up s’inclina ulteriormente e
qui c’è il tratto più duro, fra i 1800 m e i 2400 m, quando trekko di fianco a bizzarre zanne di
roccia color avorio. A 2400 m valico la prima cresta e mi ritrovo in un eden
infinito. Uno sterminato prato pietroso
e fiorito nascosto sotto il cielo italico in una conca colossale fra maestose
pareti eterne. Rasentato il perimetro nord della conca, devio in mezzo a
meravigliose dune argentate chiazzate e striate dalla prateria. Assomigliano in
shape a quelle del Rondane anche se là c’è la tundra. Marcio in un mondo dalla
bellezza immota e assurda. Una bellezza che la civiltà che nasce e muore in
città non sa neppure che esiste. Il trek è infinito, la Majella è così, dura e
lunga. Uscito dalle dune, vedo il picco massimo, il monte Amaro, laggiù, sopra
un mondo spietato e primordiale, così bello che solo i lupi possono abitarlo.
Salgo e marcio verso il picco, un colosso pietroso, salgo e marcio sul bordo
del burrone che cinge l’argentato paradiso selvaggio senza tempo e senza acqua.
Perché i fiumi che serpeggiano sul fondo del mondo sono tutti secchi. Il monte
Amaro è ancora distante. Salgo e marcio circondato da un mondo strepitoso,
gigantesco e antico come gli umani non possono neppure concepire. Marcio e marcio
in up e la Majella è sempre lontana anche quando spuntano le possenti,
bellissime montagne che la cingono a est. Nuvoloni neri, ogni tanto,
importunano la limpidezza del monte Amaro e salgono minacciosi dagli ancestrali
canyon grigio-verdi. Partito alle 8.00, alle 15.07 raggiungo la vetta della
mitica montagna. L’Illiria, la ex-Jugoslavia, non si vede per via degli
spettacolari nuvoloni che affondano nei canyon-burroni. Ma io sono a 2793 m in
un mondo incredibile. Nel cielo dell’Italia primordiale. E sotto, i lupi,
creature che amo svisceratamente quasi quanto i gatti e i gattoni, sanno che io
sono qui perché mi hanno fiutato quando marciavo nella loro foresta. Gli ho
lasciato dei regalini e non mi resta che sperare che l’incantato cielo italiano
questa notte ululi di forza selvaggia e primordiale perché io so che loro non
si faranno vedere.
M5) E’ mezzogiorno quando giungo a 2000 m fra
pendii di un verde così splendidi da sembrare le Highlands. Mi mangio un panino
con porchetta e olio piccante che la signora del chiosco che sta giù in paese,
a 1000 m, mi ha riempito come la lussuria comanda e come a Milano tante merde
non farebbero mai. Sotto di me, verso est, l’Italia si riconferma in tutta la
sua assoluta bellezza. Si chiama Campo Imperatore ed è una valle, un prato
sterminato ancor più grosso di quello di ieri e circondato a sud da rilievi che
ricordano le montagne della Scozia e dell’Inghilterra, e a ovest da 2 montagne,
il Brancastello e il Prena, così maestose ed epiche da rendere Campo Imperatore
una delle valli più belle che ho mai visto, pareggiare in bellezza con la valle
Leviona nel Gran Paradiso ed essere battuto solo dalle supreme valli svedesi e
da quelle indonesiane. E’ tardi, sono le 13.30 quando comincio uno dei trekking
più belli della mia vita. Parto da 2100 m e superato il primo passo mi ritrovo
a tu per tu con una montagna di roccia calcarea, immacolata, argentata e bella
come le Dolomiti, un grande sasso nel cielo dell’Italia: il Gran Sasso. Il
grigio Gran Sasso, picco massimo di questa bitorzoluta penisola che penetra il
Mediterraneo. Il picco massimo degli Appennini è circondato da verdi,
lussureggianti monti over 2500 di incredibile bellezza che disegnano una corona
di selvaggio splendore che l’inglese che incrocio definisce “unbelieveble”.
Attraverso così, per 1 h forse, questo paradiso assoluto fino al 2° passo. Lì
comincio davvero a scalare il Gran Sasso quando l’erba finisce e solo i nevai
macchiano la liscia roccia grigia della meravigliosa montagna. Ma il paradiso
italico ha altre porte da spalancare, e così, mentre il Pizzo dei Caprai, uno
dei verdi over 2500, continua a estasiarmi, sul lato nord spunta il corno
piccolo, altro capolavoro “dolomitico”.
La parte finale della scalata al corno grande è ardua per via dello
steep che si attenua solo al 3° passo quando sbuco su un burrone innevato che è
un anfiteatro di punte e rocce generati nelle ere ormai dimenticate. Alle 16.35
raggiungo il punto più alto degli Appennini e dell’Italia geografica, questa
bizzarra penisola dell’Europa meridionale. A 2912 m. La natura, la grande
madre, e il caos, il grande padre, dispensano opere meravigliose in ogni landa.
E in ogni landa cambiano stile e colori perché gli artisti sono così. Al
rifugio il tipo mi da una stanza al prezzo della camerata e così dormo e mangio
nella prigione di Mussolini. Mangio gli arrosticini, ottimi spiedini abruzzesi
di pecora adulta e un panino alla salamella che mi riempiono con 3 salamelle,
peperoni e un chili pakistano perché il cameriere viene dalla terra del K2.
M6) Mi sveglio e Campo Imperatore
è avvolto da nuvoloni minacciosi, le previsioni sono pericolose e poi inizia a
piovere. Un gruppo di 30 hikers bresciani imbocca lo stesso il trail e marcia
lungo il mio stesso itinerario fra una bellezza celata dal maltempo. Io non mi
fido proprio e poi a 2000 m non si fa e così mi mangio un altro panino con
porchetta, converso con il simpatico venditore abruzzese e scendo a L’Aquila,
stendo la mappa e consultate le previsioni scelgo il paese dal quale ripartire.
Salito sul bus viaggio verso nord nella nascosta Italia centrale, nel mezzo del
mezzo fra popoli che per mentalità e stirpe appartengono a un’altra nazione
rispetto all’Italia Cisalpina. Il bus mi scarica in questo nuovo villaggio
immerso nella foresta appenninica. Chiedo a uno dove è l’imbocco del sentiero e
lui mi risponde: “E non gliò so, prova a annà de là.”
Ma…che cazzo! Sono uscito
dall’Abruzzo!! Sono nel Lazio!! L’accento laziale è il più bello d’Italia. Mi fermo a comprare dolci e mentre la barista
carina ci prova con me io realizzo che il trek in Italia ha un’altra difficoltà
oltre alla salita: resistere alla tentazione di mangiare al ristorante e
svuotare così lo zaino del peso fottuto. Dovrei cucinare il mio fottuto risotto
in busta e diminuire così il peso dello zaino ma come cazzo faccio quando lungo
la strada del paese ci sono 3 ristoranti che pubblicizzano spudoratamente un
capolavoro della cucina laziale?! Non esiste. Valutati i 3 ristoranti scelgo il
2°. Il 1° non ha il menù, il 3° è il più caro. Il 2° è un locale vissuto, lo si
vede dalle pareti e vissuto vuol dire che sa fare il suo mestiere. Il 3° fra
l’altro da troppo peso all’immagine e allo sfarzo dell’arredamento e questo non
ispira la mia fiducia culinaria perché io sono un maschio e la verità delle
cose la carpisco con grande naturalità.
Mi siedo nel 2° ristorante fra le foto dei lupi e delle montagne e ci azzecco
in pieno. Con 12,50 euro la tipa mi porta primo, secondo e bibita; inizio con
un enorme piatto di spaghetti all’amatriciana; 200 hg di succulenti spaghetti
che grondano sugo, guanciale e pecorino!!! Col cazzo che mi cucino i risotti in
busta! Dopo aver goduto per lunghi, intensi minuti arrivano 8 arrosticini, gli
spiedini abruzzesi: buoni. Questa è la prepotente risposta ai ridicoli ristoranti
moderni proposti dalla televisione. Questo sublime piatto romano è
un’umiliazione qualitativa, quantitativa ed economica per quelle merde che
portano 50 gr di pasta ridicolmente arrotolata ai mongorincoglioniti che si
siedono nei locali di merda moderni. Come dicono qui: “A stronzo, io non mi
mangio i tavoli, vattene affanculo tu e
la tua presentazione di merda.”
E per presentazione intendo la
ridicola, superbabbazza presentazione dei loro meschini piatti da 30-50 gr. Il
cibo è gusto, non forma e io gli piscio in faccia. E che se ne vadano affanculo
tutte le trasmissioni che stanno cercando di cambiare, nel male, la tradizione
culinaria mondiale. In culo a loro e alle troie delle loro madri. Tanto a me
non mi fregano. Mi rimetto i vestiti da trek, entro nella foresta appenninica e
trovo un posto per accamparmi. Appena cala il tramonto sento dei versi brutali
provenire da oltre il ruscello che scorre alle mie spalle. Vado a vedere e
scorgo 1, 2, 3 sagome enormi avanzare lentamente nel prato. Ci siamo…gli
orsi…poi 4, 5, 6, 7!! Ma vaffanculo. Sono un branco di cinghiali grossi il
doppio di quelli toscani e abruzzesi. Li osservo per un po’ fino a che uno dei
suidi si accorge di me, da il segnale e scappano. E io nella notte dei lupi mi
addormento pensando a loro, i banditi della foresta, i lupi, i miei amici.
G7) Con 20 kg sulla schiena salgo
da 800 a 1700 m. La segnaletica italiana qui è assente e mi perdo nella foresta
dopo 5 minuti. La macchia mediterranea ha il sottobosco fitto e pieno di rovi e
così combatto e sudo per riguadagnare l’unico punto di osservazione che ho. I
rovi lacerano per 8 volte la pelle delle mie gambe prima che riesca a
riguadagnare uno sterrato che sale sulla montagna. Lo sterrato è infinito e
sono le 15.00 (!!!) quando incontro una volpe ed esco dalla foresta e mi trovo
la vetta della montagna davanti. Ma è lontana, ho finito l’acqua e richiede
ancora 3 h di trek + 2 di discesa e 1 h per mangiare. Non ce la faccio a
raggiungere l’acqua prima del tramonto così alle 16.00 riscendo nel bosco e mi
dirigo verso il fiume più vicino e poi verso il nuovo giaciglio di questa quarta notte fra i lupi. La segnaletica
italiana è piena di falle e così mi perdo altre 2 volte. Scrutando dentro la
foresta alla ricerca del segnavia, vedo giù, forse a 50-60 m, un gattone. E’ un
attimo, poi lui si accorge e fugge elegantemente fra i tronchi. Per la prima
volta in vita mia incontro una lince!! Rimessomi in marcia, alla fine, verso le
19.00 raggiungo il beato fiume che mi darà da bere e da cucinare e trovo un
segnavia del 1800 che segnava il confine fra lo Stato Pontificio e il Regno
delle 2 Sicilie!! Accampatomi in mezzo ai lupi mi cucino un minestrone che
insaporisco con peperoncino pakistano e pepe. Enjoy the life. Gli ultimi
cucchiai li assaporo nell’ombra della notte. E nella foresta mi
addormento.
V8) La segnaletica italiana è
scandalosa qui e mi fa perdere senza pietà. I miei fottuti 20 kg mi spaccano
per bene mentre scendo di quota verso l’ignoto verde. Il problema principale
degli Appennini è che i fiumi scorrono solo in basso e sono anche pochi. Il
fattore positivo invece è il numero infinito di diversi tipi di funghi con cui
potrei insaporire i miei fottuti risotti preconfezionati. Dopo 4 h di discesa
raggiungo finalmente un villaggio. I paesani sono seduti sui gradini delle case
e riuniti stanno conversando. Quando mi vedono mi squadrano e uno mi dice: “Da
dove vieni?”
Io: “Da là, da quelle montagne.”
“Ma che! Hai dormito nel bosco?
Ma ci stanno li lupi, lo sai!?!”
Oh no, ha un altro accento
ancora…e anche la donna che mi offre l’acqua ha questo nuovo accento! Oh no,
dove cazzo sono finito!? Oh no, tutti hanno questo accento…e il Lazio? E
l’Abruzzo? Io: “Ma qui non è più Lazio?”
“No. Ma da dove sei partito?”
Una delle donne: “Siamo piceni, sei
nelle Marche qui!”
Lui: “Aspetta, aspetta, dove devi
andare?”
Io: “Sul Vettore.”
Lui litiga con la moglie sulle
direzioni stradali e poi mi salva perché arriva uno che consegna formaggi, lui
lo ferma e gli dice di portarmi ai Sibillini.
Raggiunto il paesino al confine
con il Sibillini National Park conosco 2 romane che vogliono convincermi a
salire sul Vettore dal versante est: col cazzo che mi faccio 10 km
sull’asfalto! Poi un’edicolante romana mi spiega come raggiungere l’inizio del
trail. Questa tipa giallorossa mi fa esplodere l’uccello mentre parla. E’ bella
e sexy, castana con gli occhi azzurri. Poco prima del trail mi fermo in un
ristorante e mi mangio i bucatini alla gricia e una grigliata mista. Fa caldo,
over 30°. Il clima dell’ Italia centrale è una via di mezzo fra il piacevole
umido e l’odioso secco e devo dire che sto beato in questa landa. Rientro nella
foresta e fra i lupi attendo l’indomani quando con i miei fottuti 20 kg
inizierò la scalata del Redentore, una
montagna stupenda. E per 3 giorni goodbye civilization. Mi lavo in una pool di
un freddo ruscello. La luna è quasi piena e splende pallida sopra la foresta
mentre cucino la zuppa di farro. Mentre mescolo lui canta. Canta dalle 19.00
alle 20.00. E’ veramente vicino, non oltre i 300-400 m di distanza dal mio
accampamento. Lui è l’incanto primordiale della Terra, la sua voce vibra la
canzone più bella mai cantata su questo pianeta. L’ululato penetra i cinguetti,
i cupi versi dei rapaci notturni e persino l’eterno scrosciare del ruscello.
Mentre odoro il farro, il lupo ulula quasi una decina di volte per circa 1 ora:
“E’ mio questo territorio. Nostro. Voi altri state fuori dai nostri confini.”
Questo canta il lupo nel suo incantato, meraviglioso linguaggio animale. Ma la
gioia che vibra insieme a queste magiche note la possiamo capire solo noi figli
del caos, i poeti e gli asceti. La gioia selvaggia di essere un lupo e di
essere pronto per la caccia nel buio della notte. Una gioia che quel coglione
di Konrad Lorenz non sapeva neppure che esistesse e che quel disastro di Darwin
negherebbe solo perché lui non poteva assaporarla nel suo vuoto, squallido
cuore. E io sotto la gioia astrale della luna, nella tenebrosa gioia della
notte, fra loro, i banditi della foresta che amo visceralmente, fra loro e con
loro mi addormento.
S9) Alla mattina il cielo terso e
limpido e il caldo inizia a picchiare verso le 10.00. Riparto da 800 m. La
segnaletica italiana mi fa perdere ancora a quota 1000. Così imbocco uno dei
path più duri che possano esserci su una montagna. La pendenza è superiore a
quella del sentiero dei morti della Grignetta e con i miei fottuti 20 kg salgo
a passo di lumaca per più di 2 h. Il sudore mi cola dal mento e nonostante
l’ombra della foresta il caldo è duro, over 30°. Quando sbuco dal limitare
della foresta dei lupi, sono a 1500 m e c’è un prato. Poi una strada asfaltata,
un parcheggio e il border del Sibillini national park. E il Vettore che domina
maestoso sopra tutto ciò. Alle 13.00 mi compro un altro squisito panino alla
porchetta e tabasco da un ambulante, coke in lattina e salgo per poco la
montagna trovando un posto adatto. Mi sdraio e mi godo il pomeriggio leggendo,
mangiando e aspettando il tramonto e il duro trek di domani quando salirò sulla
ridge del Vettore a 2200 metri e poi in cima al picco ovest a 2400.
D10) Salgo con i miei fottuti 20
kg la slope del massiccio sibillino del Vettore. Lo steep è ripido e a passo di
lumaca avanzo colando sudore e soffrendo dai 1500 ai 2200 m dove raggiungo la
cresta. Lo steep è superiore al muro del pianto del Grignone e al sentiero dei
morti della Grignetta. Sulla ridge devio a ovest e salgo 5 anticime prima della
vetta del Redentore a 2400 m, poco più basso del Vettore. Prima della vetta
conosco 5 marchigiani. Iniziata la salita alla prima antecima il massiccio
sibillino svela tutta la sua straordinaria bellezza. Il Redentore è un gigante
di pietra calcarea che precipita in un ancestrale burrone argentato. Il Vettore
invece è un maestoso e liscio pendio verde punteggiato da fiori gialli. Questo
lungo, vasto scivolo green s’inclina vertiginosamente verso il burrone
paradisiaco, dove, 2 laghetti di un alieno blu brillano magicamente come pozze
marziane. I laghetti di Pilato sono di almeno 5 concentriche tonalità di blu e
sembrano pozzi infiniti di una densa pittura topazio che ha perforato la
montagna. In quei laghi, Pilato, tornando dalla Palestina e dalla velenosa
condanna a morte di Gesù, morì misteriosamente. Scendendo sull’altro versante
entro in una valle assurdamente bella. Assurda perché non sembra l’Italia.
Lasciate le Marche sulla cima del Redentore, trekko in Umbria fra dune verdi,
colline dipinte di tenui green, villaggi arroccati su di esse e campi di
lenticchie blu! Dopo essere caduto, essermi ferito il knee e bucato con mezza dozzina
di spine, raggiungo la fine del path e conosco un varesotto che mi da uno
strappo a Norcia. A Norcia sbaglio ristorante e mangio una pessima pasta al
tartufo e una mediocre grigliata. Ma becco un’altra sfilata medioevale.
L11) Sono agli sgoccioli di
questo viaggio fighissimo nell’Italia centrale. Una landa fatta di bellezza,
storia e cibo fottutissimamente buono e
tanto! In culo ai ristoranti moderni! Con un altro panino alla porchetta a 2,5
euro (non è buona come quella marchigiana e abruzzese però te la godi) giro in
3 h la cittadina medioevale di Spoleto, anch’essa, ovviamente, arroccata su una
collina cinta da mura. Discrete chiese romaniche e qualche casa antica ne fanno
una cittadina piacevole ma i villaggi deutsch e i castelli spagnoli battono
l’Italia di netto.
M12) H 4.00: mi alzo e marcio
tosto percorrendo velocemente forse 2 km che mi separano dalla stazione di
Spoleto. H 5.15: il treno parte e io torno nel Lazio. H 6.48: scendo a Roma,
capitale dell’Italia. H 7.00: lascio il mio fottuto zaino e la tenda al
deposito scandalosamente thief: 12 euro! H 7.10: scendo dal metro e mi compro
un altro panino e porchetta da un simpaticissimo fast-food dealer. H 7.30:
comincio l’ esplorazione della città più potente della storia europea, la storia che si ricorda
però…Una marcia che disgusterà i puristi del viaggio e del turismo perché Roma
si dovrebbe visitare in circa 3 giorni…ma io lo farò in 4 h! 1° purpose: la
nazione più piccola del mondo. Ah, che figata: arrivo in Piazza San Pietro ed è
deserta. Ci sono solo io, qualche suora e una ventina di cunning turisti. Le
bianche colonne che delimitano il perimetro della piazza dei cattolici sono
notevolmente belle ma esteticamente la basilica più importante del mondo è uno
dei siti architettonici più brutti che abbia mai visto assieme alla Tour
Eiffel. Internamente invece è un sontuoso insieme di forme, colonne, marmi,
statue e volte di egregio shape nobilitate dai materiali naturali quali il
marmo appunto. Castel Sant’Angelo è un buon castello. Poi seguo il Tevere per
quasi 1 km vedendo 1 chiesa gotica che si distingue nettamente dagli altri
edifici storici romanici e degli altri stili. Immersomi nel centro inizio a
imprecare perché il mio monumento romano preferito è sotto ristrutturazione! La
fontana di Trevi è oggi un’impalcatura protetta da delle vetrate (!!) e io non
posso gustarmela! Compratomi un dolce napoletano grosso come 3 fette di torta
(che si chiama appunto napoletano) raggiungo La Vittoria, raro esempio di
edificio moderno di grande bellezza e poi i fori dove posso curiosare sul
passato di 2000 anni fa. E infine, alle
11.00, raggiungo l’obiettivo finale, il Colosseo. Un enorme, mastodontico
stadio che ospitava i giochi di guerra quando la guerra richiedeva tanta
tecnica. Ci sono 40° ma il Colosseo è comunque gremito e clamorosamente ci sono
gli indiani (!!) che osano scassarmi il cazzo coi loro ombrelli, cappelli e
bottigliette d’acqua! Roba da non credere! Roma, una grande capitale, fra le
più belle d’Europa. Ma contro le asiatiche non c’è partita. Bangkok e Yangoon
sono nettamente più belle. H 13.00: lascio Roma. H 15.52: scendo a Siena e la
maledizione delle feste colpisce con tutta la sua forza e la sua precisione
temporale! Senza saperlo sono capitato nella festa più famosa d’Italia: il Palio
di Siena. Il palio ci sarà tra 2 giorni ma alle 18.00 faranno le prove. Non c’è
il deposito bagagli! E io devo arrivare alla Piazza del Campo prima delle
fottute 18.00! Uhm, che posso fare per fottere la maledizione?! C’è un centro
commerciale con 4-5 ristoranti e fast food. C’è una boliviana da scopare e una
romena da scopare anch’essa. Gli spiego la situazione e gli dico: “Se mangio
qui mi tenete lo zaino per 2 orette?”
Il compromesso va in porto e le 2
fighe mi nascondono lo zaino e la tenda nel retro. Poi non so perché ma mi
regalano una salsiccia più un trancio di focaccia! H 17.15: la sfida fra me e
il palio comincia. Ho 45 minuti per trovare e raggiungere quella fottutissima
piazza prima che i cornuti dei fantini calchino la sabbia. Entrato nella
graziosa città medioevale supero la folla e alle 17.45 devio nella più bella
piazza italiana. Un grottesco catino di antichi edifici che sembrano gli spalti
di una stramba arena. Il castello risalta bello nel grottesco mentre la sua
torre esagerata ne conferma la bizzarria. Lasciata la piazza ai fantini vado al
Duomo. Uno splendido edificio con uno splendido campanile bianco-nero che
determina definitivamente il sorpasso nella mia classifica di città italiane
più belle: 1 Siena, 2 Venezia, 3 Roma. Al ritorno mi sparo qui (perché a Roma
non avevo tempo) i pici (pasta fresca homemade) al cacio e pepe in una
fighissima osteria a 6,5 euro e godo di brutto. Ma siccome i guerrieri sono di
parola e i boliviani sono dei guerrieri anch’essi, tornato al fast-food mantengo
la parola e mi sparo pollo e una pizza margherita incredibilmente gustosa per
un fast-food.
M13) E’ mattina presto quando
salgo sul treno per tornare nella landa del vuoto. Una delle tettone prostitute
africane mi vuole spompinare dicendo che tanto c’è poca gente nel vagone. Ah,
ah, ah!
Che possano i lupi correre liberi
e felici in tutte le foreste e le linci sonnacchiare oziosamente sui rami,
libere e selvagge in tutte le foreste. E che possano i pastori di renne della
Lapponia morire nel dolore più atroce con le loro bastarde famiglie perché la
foresta e le renne sono dei lupi e delle
linci che lottano con tenacia e tecnica per vivere. La foresta non è per il
business dei pastori lapponi grandi devoti del dio denaro che in elicottero
prosperano con la mattanza delle renne (i ricchi, codardi pastori lapponi) che uccidono solo per
arricchirsi. Se uno vuole fare business che se ne vada in città o in campagna,
quello è il giusto posto per lui perché le foreste appartengono ai lupi, agli
orsi e alle linci. E perché le renne appartengono alla foresta! I pastori di
renne sono il cancro della taiga e le loro famiglie sono errori della natura
che la Terra non vuole. Lupi liberi di essere lupi!
By Fabio Tomasetta.